Satelliti e frequenze

Torniamo ad occuparci di televisione dopo quindici giorni dal nostro ultimo intervento che ha avuto numerosi riscontri. Lo facciamo per aggiungere alcuni passaggi alla  riflessione precedente. Passaggi utili e urgenti, a nostro avviso, e anche estremamente “moderni” nonostante l’apparecchio per la visione delle immagini a distanza abbia quasi 150 anni di età,  e le prime trasmissioni tv risalgano alla fine degli anni ’30:  1937 per la precisione. Con l’avvento della transizione digitale, tra l’altro, come si legge nella definizione di televisione dell’enciclopedia Treccani, la tv si è parecchio rinnovata e adeguata al senso generale di “grande novità” incombente :

 

 

 

 

Nel 2002, a seguito dell’avvento della tecnologia digitale, l’Unione Europea ha adottato un quadro normativo unico per tutte le reti e i servizi di comunicazione elettronica, realizzando la convergenza regolamentare di tutti i mezzi di comunicazione, tra i quali sono compresi le telecomunicazioni e la radiotelevisione.

 

La legge individua i principi generali del sistema radiotelevisivo nazionale, regionale e locale, tenendo in considerazione l’introduzione della tecnologia digitale e il processo di convergenza tra radiotelevisione e altri settori delle comunicazioni interpersonali e di massa, quali le comunicazioni elettroniche, l’editoria, anche elettronica, e la rete Internet, in tutte le sue applicazioni.

 

 

 

 

Facciamo un nodo ai nostri fazzoletti, per ricordarci di tornare sulla questione “frequenze” fra poco, perchè con l’arrivo del 5g, le carte sul tavolo di leggi e frequenze di trasmissione, sono state un pochino “imbrogliate”, o forse “sparigliate”, come vedremo fra breve. Tornando alla televisione, vorremmo in primis,  sottolineare un’iniziativa “meritoria” di mamma Rai. L’emittente pubblica di Stato a cui diligentemente versiamo – direttamente nelle bollette dell’energia elettrica grazie ad una geniale intuizione, che forse la UE sta per abolire, dell’ex presidente del consiglio Matteo Renzi, –  un  canone annuo obbligatorio di 90 euro; ha recentemente avviato una campagna tecnico-divulgativa che riguarda i contenuti informativi delle sue redazioni regionali.

 

In effetti, qui a bottega,  ci eravamo chiesti da tempo, come mai,  con l’avvento del digitale – anche in tv – la Rai non rendesse possibile “ovunque” e “gratuitamente”,  la fruizione dei programmi regionali – tg e informazione varia –  prodotti dalle sedi dell’emittente di Stato dislocate nelle  regioni italiane?  Fino a qualche giorno fa, questa cosa, in effetti, non era possibile. O meglio, si potevano vedere soltanto – e per ragioni di cui non siamo riusciti a conoscere le reali motivazioni – alcune emittenti locali Rai, sul digitale terrestre. Ad esempio in Toscana, oltre al tg3 della regione medesima, si possono ricevere “in digitale” i canali del tg3 del Lazio e dell’Umbria, mentre su altre frequenze occupate anche esse dal terzo canale Rai, arrivano a settimane alterne – per una scelta e una logica di servizio che non siamo riusciti a capire – , i tg della Campania, del Piemonte e ancora una volta del Lazio.  Ebbene, da qualche giorno la Rai ha avviato una rivoluzione all’interno dei propri canali locali che introdurrà novità sostanziali proprio nella fruizione dei tg regionali. EccoVi lo spot che spiega tutto:

 

 

 

 

 

 

Mentre il mondo intero abolisce le antenne e pure le parabole – a Siena, il Comune ha emanato una disposizione in tal senso  subito dopo averne emanata un’altra per “cablare” la città  con la fibra ottica, già nel 2000, come recitava il comunicato stampa:

“Siena cablata, televisione via cavo per tutti, canali televisivi senza antenne e parabole grazie alla rete in fibra ottica, servizi interattivi

Il tessuto connettivo telematico sarà integrato dalle Server Farm di Telecom Italia per promuovere le attività produttive del territorio, sia grazie all’erogazione di servizi applicativi e di e-commerce in modalità “pay per use”, cioè senza costi fissi, sia attraverso l’housing delle risorse di fornitori di contenuti, per ampliare l’offerta disponibile in rete.

Ma il dato forse più interessante è che, per ancora molti mesi, saltare sul carrozzone in fibra alle famiglie non costerà quasi nulla.

Il “collegamento al futuro”, come lo chiama il Comune, è completamente gratuito. A Siena, collegarsi alla rete a larga banda di Telecom Italia e vedere la tv senza bisogno dell’antenna o della parabola è gratuito fino al 30 giugno del 2001”.

 

 

Questo era il “futuro” all’incirca vent’anni fa. E oggi – squillino le trombe –  la Rai si inventa questa particolare procedura che, riportandoci indietro nel tempo, come abbiamo appena scoperto; ci autorizza, anzi richiede specificamente, che applichiamo una bella “parabolona” sul tetto o sul balcone di casa e la colleghiamo ad un decoder provvisto di apposita smart card – “gratuita” – che collegheremo a sua volta al nostro apparecchio televisivo. E poi, con questa specie di macchina del tempo, che è anche un ricevitore satellitare, tutti noi, saremo  in grado di vedere le varie edizioni, tutte le edizioni,  dei  telegiornali  prodotti dalle sedi regionali della Rai. Lo spot parla di 25 edizioni. E se lo dice lo spot.

 

 

 

 

 

A questo punto la domanda sorge spontanea: possibile che la tecnologia digitale non ci permetta di fare altro, e in modo meno invadente e problematico,  per riuscire a vedere i tg regionali? In Rai avranno mai sentito parlare di “smart tv”? Quegli apparecchi televisivi con i quali si naviga direttamente online, senza cavi, senza tastiera, con il solo telecomando, e dove oltre  a “navigare” ovunque ci porti il web – parafrasando la Tamaro –  si vedono pure centinaia di canali tv grazie al decoder incorporato? Che poi, all’iniziativa senese partecipava in gran spolvero pure Telecom Italia, che nel frattempo di italiano ha conservato giusto il nome,  e che da quell’esperimento così innovativo cosa avrà portato a casa, ci chiediamo?  Noi intanto abbiamo chiesto al fido Google – non gli abbiamo parlato, non preoccupateVi, abbiamo scritto il comando come sempre –  di mostrarci una veduta dei tetti senesi e l’abbiamo copia-incollata qui sopra. Non siamo certi di riuscire a distinguere eventuali antenne o parabole sui tetti, magari sopraggiunte nel  “ventennio” successivo alla “cablatura”;  ci accontentiamo di continuare a sognare, un mondo intero,   senza antenne, parabole e altri ammennicoli sui tetti.

 

 

 

 

Ma, scherzi a parte , e tornando al digitale terrestre, Vi ricordate, come ci era stata “venduta”, dai maggiorenti, “pubblici per la maggior parte”, questa  epocale rivoluzione digitale televisiva iniziata poco dopo essere arrivati a bissare la boa del secondo millennio? Andiamo a vedere:

 

 

“In Italia, –  come riporta la pagina dedicata alla “transizione alla televisione digitale” di Wikipedia –  lo spegnimento totale della storica televisione analogica terrestre è avvenuto il 4 luglio 2012

 

 

Proviamo ad approfondire brevemente,  quale fosse il senso di questa innovazione, e come mai,  abbiamo dovuto, tutti, per legge –  una disposizione emanata addirittura dall’Europa – abbandonare la tv analogica  per quella digitale? Quali dovevano essere gli enormi vantaggi che tale “transizione” – comincia a farci venire l’orticaria questa parola, a Voi no? – avrebbe dovuto garantire.   Vi rimandiamo ad una pagina di Wikipedia molto ben fatta, a nostro avviso, in cui fra le altre cose si legge:

 

 

 

 

I principali benefici derivanti dall’introduzione della TDT sono:

  • un maggior numero di canali disponibili, grazie a tecniche di compressione dati che permettono di occupare solo 1/5 circa della larghezza di banda utilizzata per la trasmissione di un canale analogico;

  • una migliore qualità immagine/audio, grazie a tecniche di codifica di canale che lo rendono meno soggetto alle interferenze rispetto al segnale analogico, al prezzo di una quasi completa illeggibilità al di sotto di una certa soglia di potenza ricevuta;

  • la possibilità di veicolare contenuti video e audio con formato (16:9) e qualità molto simili ai DVD;

  • la possibilità di trasmissione di audio multiplo, per esempio in più lingue;

  • la possibilità di trasmissione ad alta definizione

 

 

 

Quindi è stato un bene, verrebbe da dire, questo passaggio al digitale. Meno potenza erogata e migliore ricezione –  a rigor di logica dunque:  meno inquinamento, si potrebbe pensare – e poi moltiplicazione degli spazi e quindi dei canali,  occupando la stessa banda, lo stesso spazio – anche in questo caso sembrerebbe essere un aspetto positivo:   più posto per altre emittenti e relativa crescita dell’occupazione nel settore radio televisivo del nostro Paese,  verrebbe da dire.  Ma siamo sicuri che sia andata a finire davvero bene?  Estraiamo ancora un breve passaggio dalla pagina apposita di  Wikipedia:

 

 

 

 

Le frequenze per ogni regione sono aggiudicate all’asta dal Co.re.com, istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico. I criteri di aggiudicazione tengono conto della copertura del territorio, del patrimonio netto, longevità e numero di dipendenti dell’emittente, e un bonus per le piccole emittenti locali che si consorziano per condividere lo stesso mux di frequenze in regioni differenti. La norma vigente non considera un criterio di pluralismo dell’informazione, specialmente a tutela delle piccole emittenti locali, come il conferimento di un bonus alle emittenti che non sono già aggiudicatarie di altre frequenze nel medesimo territorio; né considera un criterio conservativo, per il quale, in modo indipendente dal prezzo d’asta, le emittenti che già esistevano al momento dello switching non potrebbero essere penalizzate da un cambio di tecnologia imposto per legge, e non dal mercato. Chi si aggiudica le frequenze non è tenuto al loro effettivo utilizzo, ovvero può non trasmettere nuovi canali o subaffittarle a canone libero a altri soggetti che non hanno vinto l’asta.

 

 

 

 

Troppo bene, allora,  non è finita. E per avere la conferma, dieci anni dopo il primo switch off, basta accendere la televisione e sfogliare “più o meno distrattamente”, i canali che si ricevono e le corrispondenti emittenti sintonizzate. Regione per regione le differenze sono minime e l’andamento generale molto simile. Quello che è successo balza agli occhi con facilità. Senza garanzie per i deboli, i piccoli e il pluralismo;  le frequenze sono state assegnate in gran parte alle emittenti più potenti, in particolare al cosiddetto “duopolio” Rai-Mediaset.  I milioni di uno e la potenza politica dell’altro, decidete Voi chi sia l’uno e quale l’altro, a noi appare indifferente,  hanno prodotto l’escalation che si è andata via via consolidando anno dopo anno. In tv va in onda lo sfacelo, letteralmente. Pochissime emittenti locali, nessuno spazio all’informazione, nessuna produzione sul territorio. Solo televendite – a dir poco improbabili –  numeri del lotto,  maghi, cartomanti e oroscopi – e se erano improbabile le vendite fate Voi questi altri – e poi “porno vendite anche del terzo tipo”.  Mentre sulle numerose e inutili  – per la maggior parte – nuove emittenti del rinnovato duopolio pubblico-privato vanno in onda repliche di programmi e film per arricchire i proprietari dei medesimi film e programmi,  nel resto del sistema radio televisivo tramutatosi per incanto in digitale “nonchè terrestre” c’è il deserto dei Tartari.    In barba alle presunte positività del passaggio al nuovo sistema di trasmissione digitale, i programmi di informazione sono letteralmente scomparsi dall’etere – e pensare che quella degli appuntamenti  informativi obbligatori era stata forse l’unica regola davvero importante introdotta dalla “famigerata” legge di riordino del settore radio televisivo in Italia meglio conosciuta come “Mammì” –  e insieme ad essi migliaia di posti di lavoro e centinaia di emittenti locali. Altro che  moltiplicare le tv. Vi ricordate cosa era successo solo qualche anno prima con l’arrivo delle private solo in ambito “locale” prima via cavo (1974),  e poi anche via etere (1976),  e soprattutto quante ne sorsero nel giro di pochi anni? Più di 2000 nel 1978.

Come è potuto succedere tutto questo? Davvero ci siamo dimenticati di questa sentenza della Corte Costituzionale del 1988 che sottolineava,  fra le varie cose,  a proposito di pluralismo e informazione:

 

 

 

possibilità di ingresso, nell’ambito dell’emittenza pubblica e di quella privata, di quante più voci consentano i mezzi tecnici, con la concreta possibilità nell’emittenza privata che i soggetti portatori di opinioni diverse possano esprimersi senza il pericolo di essere emarginati a causa dei processi di concentrazione delle risorse tecniche ed economiche nelle mani di uno o pochi.

 

 

 

siamo davvero certi che il problema dell’informazione siano le  “fake news” ?

 

 

CONTINUA ./.