I media vouchers e la democrazia dell’informazione

Julia Cagé è una grande sostenitrice dell’intervento pubblico a sostegno dei media. E’ stata ospite del Festival dell’Economia di Trento, dove ha tenuto un seminario dal titolo “I media vouchers e la democrazia dell’informazione”. Il tema come forse alcuni di Voi sanno ci sta particolarmente a cuore (anche con la Q).   Il nostro Marco Dal Pozzo ci studia e ci ha studiato da epoca non sospetta. Nel 2013, al termine di un primo lungo ciclo di ricerche ha pubblicato un e-book sul tema intolato: “1 news, 2 cents la qualità costa. Un modello sociale per l’editoria”.  C’è vita sul Marte, persino per il giornalismo. Si potrebbe dire. E dopo che le tesi enunciate dal nostro ricercatore, amico e sodale; sono state ampiamente respinte dal consesso ufficiale e ufficioso dei dotti medici e sapienti della categoria. Finalmente arrivano altre tesi: simili, molto vicine, per non dire uguali e in fotocopia; a quelle del nostro associato. Contenti e per nulla turbati dall’evento, vorremmo ribadire il concetto e per questo Vi proponiamo l’intero resoconto dell’incontro, con Julia Cagè al Festival dell’economia di Trento;  guidato da Alessia Rastelli, giornalista del Corriere della Sera. Per documentare meglio, accludiamo al resoconto,  anche alcune delle slide presentate dalla studiosa francese nel corso del suo intervento.

Chissà che i tempi non siano davvero maturi per tornare a ragionare di un modello sociale e anche produttivo – sebbene in modo diverso da quello esistente – del giornalismo, se non altro per richiamare una serie di punti e altrettante  riflessioni, sulla nostra professione e più in generale sulla nostra società,  a nostro avviso,  mai sufficientemente affrontate e approfondite.

 

 

 

Alessia Rastelli, giornalista Corriere della Sera

Il tema di cui parliamo è cruciale per noi che viviamo nelle redazioni. Ma cruciale per il futuro delle società e della democrazia. Julia Cagè studia modelli e in questo seminario ce ne presenta uno perché i giornali sopravvivano come baluardi di democrazia. Cagè studia da anni questo tema, e ha scritto già due libri. Uno è “Salvare i media” in cui si affronta il tema media-democrazia. L’altro è “Il prezzo della democrazia” (un tema è il finanziamento pubblico ai partiti). In Francia ha pubblicato un altro libro “L’informazione è un bene pubblico”. Oggi ci propone una idea particolare: applicare dei media vauchers.

 

 

 

Julia Cagé, Dipartimento di Economia a Scienze politiche (Sciences Po) a Parigi

Il titolo del Festival è “Il ritorno dello Stato” perché dopo la pandemia c’è bisogno dello Stato. La mia è una proposta di come questo può avvenire.

Parlo della mia nuova pubblicazione, “Informazione come bene pubblico”. Ho lavorato sui media in passato

L’informazione è un bene comune: ciò vuol dire che abbiamo bisogno di informazione per avere una democrazia che funzioni adeguatamente. La definizione di democrazia è solitamente quella secondo cui ognuno ha diritto al voto. Io la ridefinirei in questo modo: la democrazia è quando ogni persona informata ha diritto a un voto.
Dobbiamo essere informati circa le piattaforme politiche, dobbiamo sapere se c’è corruzione e quali persone sono coinvolte. Abbiamo bisogno di cittadini informati e per questo i media e la stampa indipendente hanno un ruolo fondamentale.
L’assioma per cui l’informazione è un bene comune è un assioma messo a repentaglio per la struttura della proprietà dei media.

Consideriamo il caso dell’Italia. Vediamo che c’è una concentrazione sempre crescente nella proprietà dei media: c’è un numero ridotto di protagonisti e questo mette a repentaglio l’indipendenza dei mezzi di comunicazione.
Se guardiamo chi detiene il controllo, vediamo spesso dei miliardari, persone che realizzano profitti fuori dal settore dei media (e.g. settore automobilistico o anche Amazon). In Italia abbiamo l’esempio di Silvio Berlusconi.
Questa struttura è una minaccia perché mette a repentaglio anche l’indipendenza dei giornalisti stessi.

Se si parla dell’opportunità di Bezos che compri il Washington Post pare che non vi siano alternative perché quello dei media è un settore che non gode di grandi fortune. Quindi una notizia del genere viene accolta con favore. Ma la verità è un’altra: non è una cosa buona: quando i miliardari comprano i media non lo fanno per garantirci l’accesso gratuito ai media, ma lo fanno per acquisire influenza e per acquisire dei voti.

Per questo motivo è importante il ritorno dello Stato.
Se chiediamo all’uomo della strada c’è poca disponibilità  a pagare l’informazione. Quindi il settore non garantisce buoni redditi. Ma, visto che l’informazione è un bene comune, dobbiamo pensare alla struttura della proprietà che non sia a scopo di lucro, come avviene per le Università (per cui non pensiamo che debbano fare profitto).
Il mercato da solo non è sufficiente per finanziare i media. Il ruolo dello Stato deve essere quello di identificare una possibilità oppure allocare fondi pubblici presso i diversi organi dell’informazione.

Cercherò di parlarvi del finanziamento pubblico, ma prima della filantropia cioè della proprietà non profit dell’informazione.
Una delle cose a cui si assiste oggi è il numero sempre crescente di organi di informazione finanziati da fondazioni o organizzazioni non profit. Un esempio storico è quello del Guardian.
Nel caso del Guardian l’aspetto interessante non è che sia non profit, ma la struttura della sua Governance: il board di questa fondazione ha dipendenti e giornalisti che sono i membri del consiglio di amministrazione. Non c’è cioè un miliardario che ha deciso di acquistare il mezzo di informazione perché sia sotto il suo controllo.

Molti dicono che il Guardian funziona bene e di usarlo come esempio: fare una organizzazione non profit che abbia la proprietà.
In genere, però, nei CdA di questi organi c’è la persona che dà fondi (possibilmente la moglie, o il marito) e poi abbiamo gli amici e quando c’è bisogno di un nuovo membro, quelli che fanno parte del CdA lo nominano.
Certo, molto bello che l’organo di informazione sia organizzato così. Ma è necessario sapere chi c’è nel CdA perché la struttura del CdA ha a che fare con l’indipendenza dei giornalisti.

Cosa si può fare quindi?

La prima cosa è quella di creare una legge di democratizzazione dell’informazione che garantisca l’indipendenza dei giornalisti.

La seconda cosa da fare è creare un nuovo rapporto tra cittadini e l’informazione grazie all’introduzione di “media vouchers”

 

 

Legge di democratizzazione dell’informazione

 

 

(1) Secondo me è fondamentale è ripensare la governance degli organi di informazione perché i CdA includano il 50% dei dipendenti dei quali i 2/3 siano giornalisti. In questo modo è garantita l’indipendenza.
Una tale struttura condivisa può contribuire all’indipendenza dei media

(2) Deve poi essere obbligatorio che il Direttore Generale venga votato dal board con l’assenso del 60% dei giornalisti, cioè la loro maggioranza. Ciò avviene per esempio a Le Monde.

(3) Ci deve poi essere un controllo di approvazione nel caso in cui cambi la proprietà. Cosa voglio dire?
Immaginiamo che domani qualcuno voglia acquistare il Corriere della Sera. Prima di decidere se ciò sia possibile o meno ci deve essere un voto da parte del CdA “democratico”. Se il CdA è contrario bisogna che passino tre o sei mesi per trovare un altro compratore a prezzi di mercato.
Questa cosa è nella legge francese dal 1944. Una idea oggi trascurata.
Le Monde è il giornale principale. I giornalisti hanno conquistato il diritto di approvazione due anni fa pur essendo Le Monde un’azienda for profit. Questa dovrebbe diventare una regola generale.

(4) Trasparenza della proprietà dell’organo di informazione. Quello che bisogna conoscere non è solo la composizione della proprietà, ma anche sapere il settore in cui la proprietà opera. Nel WP ci possono essere articoli su Amazon che potrebbero essere scritti da giornalisti non liberi per via della proprietà di Bezos del WP stesso.

(5) Dato che molti organi di informazione sono for profit, vogliono massimizzare i profitti e spesso provano a farlo  con organici ridotti di giornalisti. Se si crea un nuovo organo di informazione bisogna impiegare una adeguata quota di giornalisti in proporzione ai guadagni realizzati dai proprietari.

(6) Per avere dei giornalisti che non seguono pedissequamente le regole del mercato, è necessario che i media accantonino il 70% dei profitti annuali per investirli in giornalismo “di ricerca”, “di approfondimento”, in futuro

Questi principi sono per me fondamentali e dovrebbero essere inclusi nella legge di democratizzazione dell’informazione. Anche se il diritto di approvazione è reso obbligatorio in varie realtà è opportuno ricordarlo come punto fondamentale.

 

 

Media Vaucher

 

Una proposta del 2019,   presentata da me insieme con Rolnik, Gasn, Goodman, Knight, Prat, e Schiffrin nel rapporto “Protecting Journalism in the Age of Digital Platform”.
Ho cercato di renderlo trasferibile nel contesto britannico nel libro “L’informazione è un bene pubblico”. Una cosa che si può rendere praticabile facilmente anche in Italia dove esiste l’8 per mille o il 5 per mille.
Questi vaucher per i media possono essere usati facilmente in Italia dove parte del gettito fiscale è già usato su indicazioni dei contribuenti.

I media Vaucher sono un sistema per finanziare l’informazione. È un meccanismo che serve per il finanziamento pubblico dell’informazione.

In alcuni casi si usa l’IVA in aliquota ridotta o fondi pubblici per le emittenti pubbliche. I media vaucher sono utili però perché in molti paesi i cittadini si oppongono al finanziamento pubblico dell’informazione pensando che questi possono essere uno strumento del Governo per influenzare l’informazione. In alcuni casi è vero, ma non accade in tutti i paesi e in tutti i governi.

Se abbiamo sussidi diretti ecco che il governo può scegliere cosa finanziare e cosa no impattando sull’indipendenza editoriale. Questo problema è importante: noi vogliamo che ci siano i soldi pubblici a finanziare, ma non vogliamo che sia il Governo a assegnarli perché questo può essere una minaccia.

Cosa si può fare quindi?
Possiamo prendere i fondi pubblici e dare ai cittadini l’opportunità di decidere come erogare questi fondi pubblici. L’unica cosa che il Governo deve decidere è l’entità di questi fondi e il valore del Media Vaucher. Tutto il resto viene fatto dai cittadini. Ci pensano loro direttamente.

L’idea è di dare a ciascun adulto un media vaucher del valore di un certo numero di euro. Avevamo pensato a un vaucher del valore di 50$ perché negli USA non vi è nessun finanziamento. In Francia può essere invece di 10€, in Italia potrebbe essere una via di mezzo tra i 10€ e i 50€.
Dopodiché, anno dopo anno, quando i cittadini compilano la dichiarazione dei redditi, possono indicare qual è l’organo (o gli organi) di informazione a cui attribuire il loro buono in forma anonima (perché l’agenzia delle entrate non risalga a chi a donato a chi).

 

 

Modulo per il Media vaucher

 

 

Nell’immagine c’è il modulo per donare  il 2 per mille che è il contributo che si può dare ad un partito politico in Italia. La stessa cosa  in Italia succede anche per l’8 per mille o il 5 per mille, quindi il servizio esiste già.

Il meccanismo sarebbe da replicare anche per i media. La proposta, però, è che non venga data una percentuale delle tasse, ma una cifra fissa che venga data dal cittadino agli organismi di informazione da lui prescelti.

Ora qualcuno potrebbe chiedersi quali sono gli organi di informazione che potrebbero trarre vantaggio da questi media vouchers. L’obiettivo della misura è garantire l’indipendenza, cioè che il Governo non intervenga direttamente. Potrebbero essere realizzate le sei condizioni  della proposta di legge sulla democratizzazione dell’informazione, viste precedentemente.

Potrebbe per esempio succedere che Rai 1 riceva più contributi. Ovviamente non si vuole che tutti i voucher vadano a finire nelle mani di poche testate perché bisogna difendere il pluralismo.
Come ci si può difendere da questo rischio? Si può porre un tetto: per esempio si può dire che ogni organo non può ricevere più dell’1% del totale raccolto dai vouchers.

In Italia c’è una grossa differenza tra 2 per mille e 8 per mille. Se il 2 per mille non viene scelto, il denaro non viene dato ad alcun partito politico. Se non viene invece attribuito l’8 per mille, se non si sceglie a che confessione religiosa  dare il contributo,  allora il denaro raccolto viene distribuito in percentuale alle varie confessioni a seconda della percentuale raggiunta nell’attribuzione dell’8 per mille.
Nel caso dei media vouchers non assegnati, la proposta è di procedere come viene fatto adesso in Italia per l’8 per mille, cioè destinare le somme non assegnate dai cittadini con un criterio redistributivo che segua la curva ottenuta dai vouchers che invece sono stati assegnati, senza alcun intervento da parte del Governo.

I media vauchers sono il sistema più efficace? Se non vi ho convinto potreste chiedervi se vi sia davvero bisogno dei vauchers e non sia meglio introdurre sgravi fiscali a chi fa una donazione…
Abbiamo visto che succede che i più ricchi possono dare di più. In questo caso il sistema sarebbe definito dai più ricchi, perché i poveri pagano meno tasse e la democrazia sarebbe in pericolo e sarebbe in discussione il principio: un uomo un voto.

Oppure si potrebbe proporre un abbonamento gratuito ad un giornale. Ma se si offre a tutti un abbonamento gratuito alle testate, potrebbe esserci un’altra ingiustizia perché magari verrebbero solo favorite le testate più importanti a svantaggio delle reti locali. Noi invece vogliamo che tutte le emittenti siano finanziate. Non vogliamo dare vantaggi a nessun organismo in particolare, ma garantire una agevolazione diffusa in modo democratico e pensiamo che questo sia il metodo migliore per garantirla.

E’ fondamentale che tutti i vouchers vengano distribuiti e se qualcuno non viene assegnato, bisogna trovare il modo di farlo. Il sistema del 2 per mille non funziona perché c’è comunque un tetto ed è importante deciderne il valore.
Se qualcuno non lo assegna, allora la somma viene assegnata alle testate scelte dagli altri.

La cosa interessante è che si crea un rapporto diretto tra il cittadino e la testata giornalistica. Questo rapporto funziona già con gli abbonamenti, un vincolo di fiducia.

 

 

 

Si conclude qui la presentazione della studiosa di giornalismo ed economia Julia Cagè presso il festival dell’economia di Trento. A completare il nostro post di resoconto dell’incontro dello scorso 5 giugno,  segue  la trascrizione dettagliata del dibattito che ha preso avvio al termine dell’intervento della Cagè, in cui come vedrete, emergeranno altri interessanti argomenti sul tema e saranno fornite dalla studiosa utili indicazioni per comprendere meglio alcuni punti  della sua ricerca. Argomenti sui quali, come abbiamo ampiamente ribadito nell’introduzione a questo post, ci stiamo battendo da epoca non sospetta e con tutti i mezzi  – pochi assai purtroppo – a nostra disposizione. E su cui si incentrano da anni, anche precedenti al nostro sodalizio con lui, gli studi e le ricerche di Marco Dal Pozzo, ing. delle tlc con una passione speciale per il giornalismo, il sociale e la politica.

 

 

 

• Rastelli: Perché preferisce i vouchers ad un abbonamento gratuito?

Julia Cagé: preferisco i vouchers agli abbonamenti perché voglio che i giornali e i media in generale siano finanziati. Il finanziamento di un giornale con un voucher è sostanzialmente un abbonamento per un anno a quella testata.

 

 

• Rastelli: non tutti i media potrebbero ricevere il vouchers e quindi immagino debba esserci un controllo di qualità che certifichi lo standard.

Julia Cagé: in un mondo ideale la prima cosa da fare sarebbe approvare la legge di democratizzazione,  e poi porre come condizione che tutti i media debbano soddisfare  i sei criteri posti dalla legge. Soddisfare questi punti significa garantire l’indipendenza dei giornalisti e di conseguenza una informazione di alta qualità. Se questi principi vengono soddisfatti allora a tutto i media possono essere distribuiti i vouchers.

Non si vuole introdurre nessun vincolo ai contenuti o bias politici agli organi di informazione.
Questo meccanismo andrebbe a vantaggio anche dei piccoli organi di informazione. Pensiamo ai media di nicchia verticali. Questi potrebbero sicuramente trarre vantaggio da un simile meccanismo.

 

 

• Rastelli: i media vauchers devono essere vincolati alla dichiarazione dei redditi oppure anche chi non fa la dichiarazione dei redditi ed è interessato al loro utilizzo li potrebbe avere?

Julia Cagé: Legare l’erogazione dei vaucher alla dichiarazione dei redditi è una questione di ordine pratico. Anche chi non paga tasse deve firmare una dichiarazione. Quindi il sistema dei media vouchers è a costo zero. Altre proposte che vengono fatte per creare una democrazia partecipativa (lotterie, riunioni con i cittadini in cui si chiede di stanziare budget comunali) vanno incontro solo a persone con un reddito e un’istruzione più alta: i più poveri non hanno disponibilità anche di tempo per via degli orari…quindi quella dei media vouchers, visto che tutti hanno un modulo da compilare, è la soluzione migliore nel senso dell’inclusività.

 

 

 

• Rastelli: come si definisce la quantità di risorse che si vuole usare?

Julia Cagé: la cosa importante è capire quanto spendiamo in media oggi. La media,  nei paesi come Italia, Spagna, Germania,  è di una spesa che oscilla tra 80€ a 120€ a testa all’anno. Per avere un importo ragionevole potremmo scegliere 20€ o 30€ per persona, non di meno.
Bisogna riflettere su questi aspetti e se vogliamo buon giornalismo, bisogna investire nel giornalismo. Se si rimane sulla spesa attuale, possiamo dire che l’importo del voucher dovrebbe essere di 20€/30€ per persona.

 

 

 

• Rastelli: ampliando la prospettiva, una riforma di questo tipo potrebbe aumentare l’affezione dei cittadini per le testate giornalistiche? Lo scenario è che ora le persone dichiarano di informarsi su Facebook…

Julia Cagé: senza dubbio bisogna riguadagnare la fiducia delle persone. Una percentuale tra il 25% e il 30% degli utenti non ha fiducia negli organi di informazione e quando si chiede il motivo le risposte vanno sempre nella direzione degli interessi economici e della proprietà delle testate. Le persone sono consapevoli del problema e ciò è positivo. Farsi  domande sull’indipendenza di un organo di informazione finanziato da un milionario, è giusto. Sono stati fatti degli errori gravi. Nel corso del tempo. In questo senso.

Nel 2000 si è pensato di monetizzare i contenuti con la pubblicità. Se vogliamo tanti introiti dalla pubblicità, avremo bisogno di molte persone che seguono il medium, e quindi il contenuto deve essere gratuito. Questo è stato un errore, perché questo ha significato che per tutti i nati dopo il ’95 l’informazione è solo e sempre, gratis. Quelle persone non vanno sui siti per pagare i contenuti.

Così ci siamo ritrovati inondati da informazioni e notizie e così si è pensato ad un filtro: Google News o Facebook dove le persone hanno trovato link per loro interessanti. Così, alla domanda: “Ma dove hai letto questo articolo?” le persone rispondono: “l’ho letto su Facebook”, ma questo non è vero perché hanno clickato su Facebook, ma senza poi ricordare il marchio del giornale che ha realmente prodotto la notizia.

Così le soluzioni ora sono quelle di creare dei sistemi di pagamento. Ma per chi non ha mai pagato, è un ostacolo insormontabile. Bisogna ricreare il tema del valore dell’informazione e bisogna sviluppare un rapporto di fiducia anche e soprattutto per chi non ha soldi per comprare notizie e abbonamenti. Così il media voucher serve anche per chi non ha soldi, ma che così potrà pagare avendo riconosciuto il valore dell’informazione.
Questa non è la soluzione unica e risolutiva, ma fa parte della soluzione al problema.

 

 

 

• Rastelli: abbiamo vissuto un anno e mezzo che ha segnato tutti. Forse nei primi mesi una parte di noi non coinvolta in prima linea, ha pensato che il rapporto con la democrazia potesse cambiare, coltivando l’idea che la democrazia fosse per tutti. Che idea ti sei fatta?

 

Julia Cagé: le cose dovrebbero cambiare secondo me, ma non possono cambiare da sole. Ma se i Governi rimangono quelli di prima, le cose non possono cambiare. Di sicuro sono aumentate le disuguaglianze. In una crisi come questa c’è chi ha lavorato più degli altri per superare il Covid (gli operatori sanitari, chi ha lavorato nei supermercati e nei trasporti): donne in prevalenza e persone pagate poco. Infermieri e medici non vengono pagati abbastanza e non vengono pagati abbastanza mentre tutti avevamo detto che dovevano essere pagati di più.
Le cose non cambiano da sole, e perché le cose cambino occorre che le persone si coinvolgano nella politica: votino, contrastino e combattano favorendo il cambiamento.

Il problema importante è il finanziamento dei partiti e la democrazia perché le attuali democrazie danno troppo peso alle preferenze politiche: chi ha tratto vantaggio dalla crisi sono stati quelli che già guadagnavano tantissimo.

Bisogna cambiare il modo con cui vengono finanziate le nostre democrazie e dobbiamo partecipare di più alla politica, ai sindacati per essere certi che arrivi il cambiamento che aspettiamo,  evitando così che arrivi qualche politico che lo attui a suo beneficio e non per il bene comune.

 

 

 

Alla fine della presentazione di questa interessante proposta e del dibattito che ne è scaturito proviamo a dare una risposta ad un punto che rimane aperto, che è quello del valore da dare al Voucher. Con una semplice moltiplicazione ed una approssimazione per eccesso, a partire dal valore di 2 centesimi di euro definiti nel lavoro di ricerca #1news2cents come valore di un contenuto informativo, si potrebbe assegnare al Voucher un valore complessivo annuale di 10€ per persona. Si tratta di una cifra più bassa di quella contemplata dalla Cagé; ma già le decine di euro stimate nella pubblicazione della studiosa francese pongono il problema della sostenibilità economica e sociale dell’intero ecosistema informativo delle Nazioni e degli Stati.

Un aspetto, e qui tocchiamo un secondo interessante aspetto trattato dalla Cagé nella sua presentazione, che – per essere gestito a livello legislativo – deve necessariamente entrare nel dibattito politico/elettorale. Bisognerebbe che, nel presentarsi alle elezioni, ci si esponesse senza remore su un aspetto così importante come è quello della tenuta democratica come diretta conseguenza della gestione dei media informativi. Anni fa ci fu la presa di posizione, senza dubbio populista, contraria al finanziamento pubblico (tanto dei partiti, quanto dell’editoria). Bisogna augurarsi che se ne imponga una di uguale intensità, ma agente in direzione opposta. Grazie dell’attenzione e alla prossima ;)

Si riapra, quindi, il dibattito.