Un anno dopo

Fra qualche giorno si consumerà il primo anno di un anniversario molto triste per tutti noi, la morte del nostro fondatore e amico carissimo: Pino Rea. Un anno, dei peggiori per il mondo intero, è passato,  e il 6 luglio ricorderemo la scomparsa del nostro maestro. Il miglior modo  per celebrare  Pino è certamente parlare di lui e della sua opera sulle colonne di questo luogo della rete di cui è stato fondatore e per molti anni redattore capo, ispiratore, creatore di contenuti. Spazio dunque ad alcuni spunti da lui stesso accuratamente selezionati, anni fa. Notizie che ci serviranno a comprendere lo stato dell’arte, per fare il punto sul giornalismo e sulla trasformazione digitale. Due temi da sempre molto cari a Pino Rea e a noi tutti. Temi sui quali proviamo da anni, con i nostri studi e le nostre ricerche a fornire contributi. Gli spunti su cui si articolerà la nostra riflessione arrivano dal lontano 2008, ma – come vedrete – non dimostrano i 13 anni che si portano sulle spalle. Un mosaico di pareri, lavori di approfondimento, anche una tesi di laurea: tutti contributi che raccontano in modo inequivocabile un metodo di lavoro che indegnamente proviamo a riproporre ogni settimana su queste colonne e che il nostro maestro Pino Rea ci ha insegnato e poi lasciato come una delle sue più grandi eredità.  Il ragionamento che vorremmo provare ad allestire mediante l’estrazione di alcuni significativi passaggi – a nostro avviso – dai contributi postati da Pino Rea nel 2008 su questo blog, riguarda il giornalismo e i cambiamenti in atto allora – come oggi – in questa nostra professione a causa dell’arrivo del digitale e dell’era della disintermediazione. Ai contenuti in estratto accostiamo alcuni spunti di diverso tono e genere che estraiamo da una fiction, un serial tv in onda anche in Italia su Canale 5,  che si chiama New Amsterdam e racconta le gesta di un medico che è anche il direttore di uno dei più grandi ospedali pubblici americani. La suggestione che ci arriva da un particolare episodio della fiction che si intitola “disconnessi” è,  a nostro avviso,  davvero utile e in tema con le riflessioni sul giornalismo che nel 2008  Pino segnalava proprio su questa bacheca. Grazie dell’attenzione. Buona lettura. E alla prossima. ;)

 

 

 

Nell’episodio della fiction New Amsterdam,  il direttore dell’ospedale di New York si accorge, improvvisamente, che nel 2021 e nella megalopoli americana, ci sono ancora tante – forse troppe – persone che non hanno accesso alla rete. Non hanno un collegamento internet. Sono isolati, muti e ciechi dentro ad una delle più grandi città del mondo.

 

 

 

 

“…se la banda larga è un servizio come la luce elettrica o l’acqua potabile non dovrebbe essere accessibile a tutti? Telemedicina, pazienti seguiti a casa, pazienti più in salute…” , dice il direttore del New Amsterdam all’amministratore dell’azienda di telecomunicazioni americana cui ha chiesto di mettere a disposizione alcune connessioni gratuite. L’incipit dell’episodio ci mostra decine di persone che vengono ricoverate per aver usato un presunto “farmaco miracoloso” contro il Covid 19 che era stato venduto loro con una truffa “porta a porta”, da falsi medici.  Il direttore dell’ospedale si convince che sia la mancanza di connessione ad internet dei residenti di quel quartiere alla base della truffa e della loro intossicazione. La mancanza di accesso ad internet sarebbe stata l’ostacolo per i cittadini per potersi informare correttamente. Dunque dopo aver ottenuto dal ceo dell’azienda di tlc dell’area di New York alcune decine di abbonamenti a internet, il nostro direttore si accorge che i suoi “pazienti” non hanno neanche i necessari devices per navigare in rete, e allora riesce con un “escamotage” simile a quello usato per ottenere i “collegamenti”, a farsi regalare da un’altra azienda convenzionata con l’ospedale, alcune decine di computer da consegnare ai residenti. Solo quando poi va a far visita a casa, ad una dei suoi, oramai, ex pazienti, per vedere come sta usando il computer e internet per informarsi “correttamente”, che il nostro eroe comprende di essersi sbagliato completamente nella valutazione del problema. Non sta nell’aver accesso alla rete il salvagente naturale contro ogni tipo di truffa. Non basta poter navigare online per potersi informare in modo corretto. E allora cosa fare?

 

 

Qui ci fermiamo e lasciamo spazio agli estratti che Pino ci suggeriva proprio su queste colonne,  in alcuni pezzi pubblicati nel 2008. Estratti quanto mai utili per fornire a noi e al protagonista della fiction New Amsterdam la risposta che sta cercando su come fare ad informarsi correttamente in questo mondo iperconnesso, disintermediato e digitalizzato. Il primo contenuto su cui vorremmo porre l’accento arriva da un articolo di LSDI che si intitolava: quando le notizie non sono prodotti da vendere

 

 

 

“Nel vecchio mondo dei grandi media tradizionali, le notizie sono dei prodotti venduti ai consumatori o alle aziende che cercano di raggiungere quei consumatori. Nel nuovo mondo dei media sociali e interattivi, queste stesse attualità diventano una materia bruta che gli utenti assemblano per formulare il loro punto di vista personale e ripubblicano per esprimere la loro prospettiva agli amici, familiari, colleghi e comunità virtuali. E’ dunque un materiale di riflessione col quale si costruisce la propria ‘concezione del mondo’, piuttosto che un prodotto finito che si consuma senza pensarci’’ 

(Fabrice Florin, fondatore e direttore esecutivo di NewsTrust)

 

 

 

Il secondo estratto che ci avvicina alla possibile “soluzione del caso” e ci aiuta a comprendere il ruolo “passato e presente” del giornalismo nelle nostre vite, arriva da un altro articolo di LSDI, datato ancora 2008, e che si intitolava: la stampa e il caso Dal Molin un ruolo molto discutibile, una tesi di laurea sul caso Dal Molin (la gestione della notizia della costruzione di una nuova base militare Usa a Vicenza) realizzata da Elena Dante studentessa in giornalismo dell’Università di Padova nel corso  tenuto dal nostro mentore e co-fondatore,  Raffaele Fiengo.

 

 

 

UN NUOVO MODO DI FARE INFORMAZIONE

Il caso dal Molin – rileva Elena Dante – è stato, infine, il laboratorio per un nuovo modo di fare informazione, attraverso i blog e il sito dell’assemblea che si è prestato a raccogliere tutto ciò che veniva prodotto dai comitati, dai comunicati alle fotografie ai verbali delle conferenze. In concorrenza col Comune, i comitati hanno fornito gli itinerari e le indicazioni per le manifestazioni, producendo un’informazione diretta, da cittadini a cittadini, non mediata da nessun giornale. Sempre in quest’ottica di autoproduzione, da marzo 2007 è iniziata la pubblicazione, sia cartacea che digitale, de Il Giornale Dal Molin, mensile ufficiale dei comitati che riprende provocatoriamente, modificandola, la testata del Giornale di Vicenza. Nello stesso modo sarebbero potuti intervenire i comitati del Sì, commentando di volta in volta le posizioni di chi si esprimeva per il no. La posizione assunta nel caso Dal Molin dai giornali ufficiali, locali e non, sembra essere stata semplicemente quella di commentare, e se possibile confondere, le poche, vere informazioni che si sono avute in questa vicenda, usando il “prestigio” accordato alle notizie che compaiono sui giornali per ufficializzare posizioni incerte o semplici interpretazioni di scarni comunicati.

L’unica speranza – commenta l’ autrice della tesi – è che, sia a livello politico che giornalistico, si rifletta su quanto è stato detto e fatto in questi mesi, e si opti, in futuro, per un giornale diverso; magari con meno notizie, ma più fatti.

E LA VERA DEMOCRAZIA?

E comunque – conclude Elena Dante – resta in piedi la domanda su cosa sarebbe potuto succedere, se qualcuno si fosse responsabilmente incaricato di distribuire a tutti il libretto con le istruzioni perché su di una questione così delicata si potesse creare un dibattito, locale e nazionale. Come in una vera democrazia.

 

 

 

Il finale, nel ragionamento dell’ex alunna del prof. Fiengo, da anni, collega giornalista,  iscritta all’Ordine dei giornalisti del Veneto, ci avvicina  forse, alle risposte che cerchiamo sul ruolo del vecchio/nuovo giornalismo? Sicuramente ci fornisce molti utili elementi per aumentare il livello di comprensione del caso e poterci creare una nostra opinione in merito. Azione analoga  farà certamente anche l’altro contributo che ci arriva dal 2008 e dal lavoro del nostro grande mentore Pino Rea, che andiamo ad aggiungere. Dunque il giornalismo continua ad avere un ruolo importante, indipendentemente dal rimescolamento delle carte in tavola e dall’arrivo dei nuovi assetti globali della comunicazione e dell’informazione, meglio noti con l’appellativo di “ecosistema”. Un termine scientifico che porta con sé tali e tanti significati e implicazioni da meritarsi articoli, libri, e pure documentari e film in proprio. Diamo per acquisito il concetto, almeno qui ed ora, e concentriamoci un altro poco sul ruolo del giornalismo ed andiamo ad estrarre gli ultimi contributi da un pezzo di LSDI intitolato: Usa sussidi governativi ai giornali

 

 

 

Ralph Whitehead Jr., docente di giornalismo all’Università del Massachusetts

“Fino a quando le testate non affronteranno seriamente il problema di come adattare le proprie operazioni economiche per finirla di lasciare soldi sul tavolo – e fino a quando i giornalisti non smetteranno di agire come se non fosse affar loro da dove vengono gli stipendi –, mi sembra ridicolo ipotizzare un’ assistenza governativa”.

Amy Gahran di Poynter.org

Zio Sam probabilmente non provvederà a finanziare i giornali senza nessuna condizione spiacevole e stringente. Meglio non fare riferimento a nessuna “salvaguardia del giornalismo” in questa situazione.

 

 

 

Confermando  l’importanza imprescindibile del giornalismo per molteplici ragioni, una fra tutte, la tutela e la sopravvivenza della libertà; quella di espressione, certamente, ma poi a salire, e grazie non solo – ovviamente – al giornalismo;  a garanzia di tutte le altre forme di tutela e diritto degli uomini, che fanno bella mostra di sé dentro agli articoli delle “migliori” carte costituzionali dei Paesi del mondo. Prima fra tutti la nostra. Come possiamo dunque essere certi che proprio  il giornalismo possa fare la differenza? Come fare ad avere la conferma che le informazioni che circolano, ora più che mai, attraverso la rete, siano corrette e possano davvero essere utili alle persone. Fino al punto da salvare la vita di qualcuno? Torniamo dunque alla nostra fiction, al  New Amsterdam e alla risposta che il dirigente di uno dei più grandi ospedali pubblici degli Stati Uniti riesce a trovare, alla fine dell’episodio della serie tv che abbiamo preso in esame e che si intitola: “disconnessi”.

 

 

 

“Ho fatto tutto al contrario. Ho voluto l’accesso alla banda larga per tutti. Senza chiedermi: accesso a cosa? Non pretendo molto. Mi serve un portale. Un portale di informazioni affidabile e sicuro, solo questo.  Avere libero accesso alla banda larga è un diritto. Ma quello che ho finalmente capito è:  che è la qualità delle informazioni a determinare la qualità della vita. Creeremo uno spazio protetto fuori dalle mura dell’ospedale. Un luogo che accolga i pazienti sempre. Giorno e notte. Per curarsi, per connettersi. Una comunità”.

 

 

 

Eccoci arrivati al capolinea. Quante notizie stanno in questo breve trafiletto. Quante informazioni, quanti concetti importanti, fondamentali per comprendere il cambiamento e agire in modo consapevole per viverlo e non subirlo. C’è anche molta ingenuità, certamente. Molta semplificazione, per dirla con Piero Dominici, “riduzionismo”, ma siamo in una fiction. Mondi interi nascono e muoiono nei 40 minuti di un episodio seriale. Concediamogli un poco di faciloneria e prendiamo per buoni alcuni di quei concetti. Arriviamo soprattutto a mettere a fuoco il senso di  fare “community” così tanto sbandierato negli ultimi decenni e così poco realmente afferrato e messo in pratica, anche e soprattutto nel nostro principale campo di studio e ricerca che è quello del giornalismo. Prendiamo questi concetti e riflettiamoci sopra. E poi aggiungiamoci,  per chiudere in bellezza e stringerci forte in un caldo abbraccio al nostro fondatore ricordandolo con grande affetto,  le sue parole che postiamo di seguito e che vengono anch’esse –  è bene sottolinearlo –  da un suo post del 2008. Parole che ci riportano con grande chiarezza quanto fosse evidente ed esplicito per Pino il ruolo del giornalismo “vecchio e nuovo”:

 

 

 

 

“Che fare? Non cerco un sito che mi propone degli scoop. Essere il primo a svelare un fatto non ha alcun interesse perché in mezz’ora viene ripreso da tutti. Quello che chiedo è dell’analisi , e che sia intellettualmente onesta, cioè che consideri tutti gli aspetti visto che la realtà e complessa e spesso ambivalente”. Ci vorrebbe un sito che facesse una vera sintesi di quello che si scrive di intelligente sulla blogosfera, che chieda ad alcuni di svilupparlo un po’, orientando la loro esperienza su questioni pertinenti (perché la dote del giornalista è anche saper porre le domande giuste). Il tutto senza cercare di convincere, senza andare per questo o per quello, e un sito del genere lo aspetto, spero di poterlo vedere prima o poi”.

(Pino Rea 2008)