Reporter diffuso, la tesi di laurea – una rilettura dal 2006

Concludiamo l’operazione “ferie e nostalgia”  –  titolo improvvisato ed estemporaneo (sarà il caldo, pardon!) – con un articolo  proveniente dal nostro archivio ancora una volta targato 2006. Annata memorabile, verrebbe da dire, che ci porta ad un pezzo veramente utile – vedrete – e che ci farà immergere in un mondo di contenuti e spunti e riflessioni tutti ancora originali e moderni, e che soprattutto ci permetterà di fare una sorta di “pit-stop” su temi da sempre in auge su queste colonne. Temi, caldi,   e in perenne divenire.  Argomenti che  nel corso del tempo si sono trasformati, aggiornati, complicati – mai semplificati – ed evoluti, forse, ma anche no, soprattutto nel BelPaese. L’articolo del 2006 prende spunto da  una una tesi di laurea dedicata al giornalismo di quel periodo. Un giornalismo in profonda ed epocale trasformazione. Allora come oggi. In quella tesi c’erano molti, davvero moltissimi spunti, su alcuni dei quali, proveremo a tornare, magari facendoci aiutare da qualche ospite illustre, come siamo soliti fare da queste parti. Intanto buona “rilettura”  e a presto ;)

 

 

 

La tesi si intitola ‘’Reporter diffuso. Come è cambiato il mondo del giornalismo negli anni delle evoluzioni tecnologiche-digitali’’ e analizza le ‘’radicali trasformazioni del rapporto di produzione-fruizione delle informazioni prodotte dallo sviluppo dei nuovi media’’.

 

 

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L’’11 settembre ha segnato una svolta nel mondo dell’’informazione, nella prima ora dopo gli attentati l’’80% delle informazioni hanno un’’origine amatoriale.

Questa considerazione – tratta dalla presentazione di ”Reporter diffuso”, il programma di Skytg24 in onda il sabato mattina su Sky – è alla base della tesi con cui Alberto Berlini, un giovane studente di Scienze della comunicazione all’’Università di Urbino, ha affrontato in maniera analitica lo sviluppo del cosiddetto ‘’citizen journalism’’ e con cui si laureerà ai primi di ottobre col professor Giovanni Boccia Artieri.

La tesi si intitola proprio ‘’Reporter diffuso. Come è cambiato il mondo del giornalismo negli anni delle evoluzioni tecnologiche-digitali’’ e analizza le ‘’radicali trasformazioni del rapporto di produzione-fruizione delle informazioni prodotte dallo sviluppo dei nuovi media’’.

Secondo una recente analisi del Media Center – osserva Berlini nei materiali per la conclusione della tesi (consultabili qui) nel 2021 i cittadini produrranno “il 50% delle notizie attraverso il Peer-To-Peer, entrando in chiara competizione con i tradizionali produttori di notizie”.

Il superamento qualitativo del format “Real TV” ha prodotto la nascita e lo sviluppo di nuove modalità del fare informazione. L’’evoluzione dei cosiddetti giornalismi possibili va molto al di là del solo aspetto professionale o industriale.

La fine del giornalismo e la sua articolazione in una miriade di giornalismi diversificati è ormai un dato di fatto. Nel mondo del giornalismo professionale e dell’’industria editoriale ci si sta chiedendo quale contributo possano fornire le mille sfaccettature del giornalismo partecipativo al sistema dell’’informazione tradizionale.

Si tratta di capire quale peso avranno sulla cultura di base della società e quali trasformazioni indurranno nella struttura del mondo contemporaneo.

L’’influenza delle nuove tecniche digitali ha prodotto un rinnovamento radicale all’’insegna della pluralità delle fonti e del pluralismo dell’’emittenza. Le frequenze digitali hanno ampliato lo spettro dei possibili editori di canali radiofonici e televisivi, senza contare la promozione di internet al rango di media di massa. Sarà la fine del dualismo tutto italiano tra Rai e Mediaset per il monopolio dell’informazione? Potranno i blogger diventare gli outsider della partita? In palio c’’è un bene e un diritto sancito dalla Costituzione, ma prima ancora dal buon senso. Una cittadinanza migliore necessità di una informazione quanto più slegata dai legami di potere e tanto più vicina al cittadino, tale da comprenderne le esigenze, i problemi.

Il nuovo mondo potrà essere popolato di cittadini e non di sudditi, ma ciò dipenderà da come verranno usate le potenzialità democratiche offerte dalle nuove tecnologie. La società digitale rappresenta un’’occasione di sviluppo irrinunciabile: la realtà di una comunità connessa, in grado di auto-organizzarsi, di comunicare in maniera aperta, senza la possibilità di apporvi censure. Utopia o realtà del prossimo decennio?’’

 

 

 

A proposito di “cittadini e non sudditi nel nuovo mondo digitale”, le cose si sono rivelate assai complesse, e composite e variegate altresì. Sicuramente la rete come elemento di diffusione della democrazia ha passato momenti migliori, e forse, in questi  ultimi tempi necessita di una revisione di “sistema”, se ci è concessa la boutade.  A parte lo strapotere delle OTT di cui parliamo spesso su queste colonne, ricordiamo – a proposito di democrazia e strumenti  digitali –  ad esempio, cosa sta succedendo in Cina:

 

 

 

L’apporto della tecnologia digitale nella costruzione della “reputazione” ha modificato profondamente un valore che di per sé non è per nulla nuovo ma che ha sempre rappresentato, già nel sistema di mercato feudale, socialista e successivamente capitalista, un elemento per valutare l’affidabilità.
Quanto sia fondamentale il capitale reputazionale lo hanno ben compreso i cinesi, con il governo che già dal 2014 sta portando avanti il progetto di sistema di credito sociale per valutare l’affidabilità dei suoi cittadini, misurando, attraverso un punteggio, la fiducia da riporre nei loro confronti. La logica di attribuzione di un punteggio è la stessa che viene utilizzata per valutare i servizi e i prodotti nel mercato digitale. 

Prende così corpo un inedito binomio tra sorveglianza da regime comunista e capitalismo tecnologico, dove il pericolo del controllo da parte di sistemi di machine learning e intelligenza artificiale si fa sempre più concreto.

(Il potere che sta conquistando il mondo Giorgio Galli Mario Caligiuri)

 

 

 

 

Oppure, continuando a riflettere sul ruolo dei “cittadini e non sudditi”, citato da Berlini nella sua bella tesi del 2006, potremmo per un momento ritornare  con il pensiero all’emergenza generale diffusa e globalizzata che abbiamo vissuto negli ultimi due anni a causa della pandemia,  e farci aiutare da un’altra riflessione contenuta in un testo dedicato al ruolo “politico della matematica” scritto da una scienziata:

 

 

 

 

Un’emergenza può essere definita come il verificarsi di una circostanza che mette in pericolo persone, cose, strutture di varia natura e  richiede interventi eccezionali e urgenti. Poiché la democrazia, l’ho già detto, non subisce la dittatura dell’urgenza, esistono i protocolli.

La pubblica amministrazione agisce, sia in emergenza che in manutenzione, in base, tra gli altri, ai principî di prevenzione e di precauzione

Perché la pubblica amministrazione agisca è sufficiente un pericolo probabile. I due principî stabiliscono il necessario per limitare o eliminare il pericolo.

Ragionevolmente, queste misure avranno una durata, tuttavia il confine tra protezione e controllo, anche in me che pensavo di avere strumenti  culturali per distinguerli, si è fatto piú incerto.

La differenza che passa tra protezione e controllo è la stessa che discrimina democrazia e dittatura.

La democrazia è un sistema lento e costoso, e va manutenuto. Come la comprensione, la democrazia non si sceglie una volta per tutte, va esercitata, rinnovata e verificata, somiglia a una teoria scientifica. La manutenzione della democrazia si fa esercitando i diritti e rispettando i doveri, ed è esattamente come imparare a contare. La democrazia è complessa. La dittatura è piú semplice. Uno comanda, tutti gli altri eseguono. La dittatura non è matematica, non si evolve e non si interpreta, cambia colore ma funziona sempre allo stesso modo: uno comanda, tutti gli altri eseguono. Non ha altra conseguenza, altra implicazione che l’obbedienza. Non ha altra ipotesi che il principio di autorità. La democrazia è matematica, si basa su un sistema condiviso di regole continuamente negoziabili e continuamente verificabili. La democrazia, come il linguaggio, e tra i linguaggi la matematica, non è naturale, non è un fiore che sboccia, è una costruzione culturale e dunque, in quanto tale, va continuamente ridiscussa, la democrazia non rinverdisce a primavera come certi alberi, bisogna sceglierla, come si sceglie il linguaggio. Dunque, dal punto di vista costitutivo, la matematica è il contrario della torre d’avorio, del castello, del tabernacolo, la matematica esercita al contesto e quindi a essere cittadini e rappresentanti dei cittadini. E da questo punto di vista, la democrazia, che per poter esistere ha bisogno di tempo e discussioni piú lunghe di un tweet, è rivoluzionaria. Non si alimenta di urgenze, le prevede piú o meno ragionevolmente secondo emergenze che possono o no diventare catastrofi anche in base al modo in cui vengono affrontate e gestite. La democrazia non istiga alla colpa, ma alla responsabilità, non alla differenza ma all’uguaglianza davanti ai diritti e ai doveri. Non esclude, crea comunità. La democrazia e la matematica non subiscono il principio di autorità dell’urgenza.

(La matematica è politica Chiara Valerio)

 

 

 

“Cittadini e non sudditi” è davvero una figura retorica molto bella e forte.  L’uso  della tecnologia per renderla possibile, così come ipotizzato da Alberto Berlini nella sua tesi di laurea, avrebbe potuto – all’alba del 2006 – fare davvero la differenza nel nostro futuro. Purtroppo oggi, quindici anni dopo, le cose si sono messe piuttosto male, e i due spunti che abbiamo estratto dai testi citati qui sopra,  sono lì a testimoniare quanto ancora ci sia da fare per dare un senso concreto a quella espressione usata dall’allora studente di scienze della comunicazione. Alcune regole utili sono contenute in un testo, non fra i più recenti,  scritto dal collettivo Ippolita,  dove vengono prospettati  proprio alcuni dei  principi guida per l’esercizio della democrazia in questo nostro mondo post rivoluzione digitale:

 

 

 

 

La Società in Rete, sprovvista di conoscenza e consapevolezza tecnica, spinge i cittadini a giocare il ruolo di prosumers (produttori-consumatori) senza sapere nemmeno di cosa si tratti. Così il modello 2.0 assurge nell’immaginario collettivo a deus ex machina, panacea per i mali della democrazia analogica e nuovo orizzonte di libertà.
La Rete diventa una meta-narrazione ideologica. Onnicomprensiva, perché pretende di fornire una (pseudo) spiegazione razionale a ogni evento e di risolvere ogni problema della condizione umana, comprese velleità di tipo ecologico globale. Questa Grande Narrazione si pone anche come soluzione e via d’uscita rispetto alla crisi economica attuale. E può farlo perché implica un nuovo modello economico, basato su una risorsa inesauribile: la capacità umana di comunicare e prima ancora di produrre senso. È quindi una forma di capitalismo profondamente biopolitica, dedita alla raccolta, stoccaggio, aggregazione e trasformazione di quella serie di metadati e dati che formano i Big Data.

I movimenti di indignazione popolare sorti negli ultimi anni hanno la caratteristica di essere nati e cresciuti in costante contatto con le tecnologie digitali di massa e hanno, quindi, una vocazione che richiama le pratiche che si sviluppano negli ambiti del cosiddetto Web 2.0.

L’obiettivo principale di questa maggioranza indignata è l’abbattimento delle tecno-burocrazie statali, percepite (a ragione) come élites corrotte, clientelari, forti con i deboli (i cittadini indignati) e deboli con i forti

Siamo due volte lontani dalla luce, direbbe Platone. Infatti il paradosso è lampante: questi movimenti cercano di abbattere le tecno-burocrazie statali appoggiandosi a forme di tecno-burocrazie digitali, i cui meccanismi di funzionamento sono ancora più oscuri di quelle precedenti.

L’infrastruttura della Rete è tutto fuorché libera e democratica: non si capisce quindi in che modo secondo questi movimenti digitali il suo utilizzo dovrebbe automaticamente generare un valore aggiunto che sia garanzia di “libertà e democrazia” .
La democrazia non è un codice, né tanto meno un software. Non c’è un programma, né un programmatore capace di far funzionare meglio e risolvere i bug del sistema. La democrazia non è un problema da risolvere una volta per tutte. La prospettiva va completamente ribaltata

Occorre invece sapere che la forza di una rete, sia essa anche di tipo centralizzato, sta nei margini, nei territori di frontiera, poiché solo in una dimensione locale, che abbandoni ogni logica di scala, è possibile avviare una nuova paidèia tecnologica che ricomponga la frattura tra conoscenza e capacità tecnica. Fare molteplice, non fare maggioranza

Solo attraverso pratiche micro-politiche quotidiane gli individui possono raggiungere un’intesa basata sulla fiducia reciproca anziché delegarla a un sistema tecno-burocratico. Ciascun individuo deve poter mantenere in ogni momento una personalità multidimensionale che non può essere ridotta al segno di una particolare prassi. Occorre una risposta politica capace di contrapporre al sistema dominante dei social networks la costruzione di trusted networks.
Non bisogna dunque farsi ingannare dalla pressante richiesta di alternative valide, soprattutto quando sono declinate nella rabbiosa pretesa di alternative immediate e funzionali per tutti. È chiaro che se si vuole qualcosa di potente e grande come Google o Facebook, l’alternativa non esiste.

(Ippolita La rete è libera e democratica. Falso!)

 

 

 

 

 

Davvero un lavoro egregio quello di Alberto Berlini. Parliamo di 15 anni fa, parliamo di uno studente – allora – e di una tesi di laurea, non di un saggio. Un lavoro che potete trovare online a questo link in forma integrale, perdonando con grande affetto qualche ingenuità,  e anche un errore da segnare con la matita rossa come quel:  “internet media di massa”Un lavoro che lo stesso ex studente sintetizza in modo eccellente nel pdf  della discussione della tesi che si articola in 7 pagine e che trovate qui.

Gran cosa la rete, vero, soprattutto quando funziona e non viene monopolizzata da questo e da quello…

 

 

 

 

Chè cops’è Ajax?!, è un approccio di sviluppo web basato sul linguaggio di programmazione xml per lo scambio di dati, dati che poi vengono visualizzati sulle pagine del borwser grazie ad una visualizzazione Java. Quale il vantaggio?! Non più siti statici, ma applicazioni web veloci, semplici e piacevoli alla vista.

 

 

Le pratiche sociali che si sviluppano grazie a questi linguaggi:

 

Social Network.

Creazione di reti sociali, comunità che si ritrovano on-line, ridefinendo la concezione di comunità tradizionalmente legata alla prossimità fisica. Gli interessi personali e le qualità che ogni individuo mette in campo divengono il nuovo discriminate per relazionarsi con gli altri utenti.

Il Quaedismo e la glocalizazione dell’informazione.

 

 

Podcasting.

Il podcasting e il video casting stanno rivoluzionando la modalità di distribuzione (legale) e fruizione dei contenuti. Si tratta della possibilità concessa da alcune Major discografiche, testate editoriali e da qualsiasi produttore di contenuti, di scaricare files dal sito dell’emittente, rendendoli fruibili off-line ed in condizioni di mobilità con l’utilizzo di sistemi di riproduzione digitale, quali ad esempio gli iPod da cui nasce il neologismo che identifica questa pretica, figlia dell’utilizzo deiFeed Rss testuali, con la differenza che qui si tratta di file audio/video. La portata di questa innovazione è proporzionale alla capillarità della diffusione di sistemi di riproduzione mobile.

 

 

Wiki e Blog.

Parlare di wiki e blog, equivale a parlare delle nuove modalità di diffusione e condivisione della conoscenza in rete: la pratica del wiki ha prodotto la più grande enciclopedia on-line – wikipedia- grazie all’apporto delle conoscenze di chiunque voglia condividere al progetto, aggiungendo testi e contenuti multimediali. Il tutto in maniera gratuita. I blog rappresentano uno spazio di espressione personale, “un media personale” nelle parole di Gillmor, un palco gratuito verso il pubblico della rete, una pagina web da riempire con interventi – post – testuali o multimediali o con segnalazioni a contenuti interessanti trovati in rete dal blogger. Ciò che gli utenti trovano interessante, raggiunge una maggiore visibilità con l’aumentare di link e rimandi ipertestuali e a volte una idea partorita in seno al web riesce a raggiungere i territori dell’off-line e trova risalto a attenzione anche nei circuiti mediali tradizionali.

 

 

… e tanto, tanto altro, verrebbe da aggiungere, ma solo perchè gli spunti incredibilmente utili, precisi e stimolanti, che arrivano dal lontano, lontanissimo 2006, e da questo lavoro dell’ex studente Alberto Berlini sono davvero centrati. Ancora più centrati se li confrontiamo con un post appena pubblicato su linkdln da un grande esperto di questioni digitali e amico di digit e Lsdi come Carlo Gubitosa da cui estraiamo un passaggio che si accoppia perfettamente – si fa per dire – con le riflessioni di Alberto Berlini che Vi abbiamo appena riproposto:

 

 

 

Il Dipartimento della Funzione Pubblica ha realizzato #inPa, un portale di reclutamento per candidarsi a lavorare nella pubblica amministrazione italiana. Per una curiosa ironia tecnologica, questo progetto cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo non accetta CV in formato Europeo.

Perché costringere a sprecare centinaia di ore di vite umane per inserire a mano con copia e incolla dati che potrebbero essere semplicemente importati con un click, leggendo l’XML dei CV Europass in formato europeo?

E se i dati inseriti sul portale #inPA volessimo usarli per accreditarci in un’altra pubblica amministrazione europea, come facciamo per esportare i dati inseriti? Un secondo giro di copia e incolla?

 

 

 

Inutile dire che Vi consigliamo caldamente la lettura integrale del post di Carlo Gubitosa.    Certo che dal 2006 a oggi di cose ne sono cambiate, ma anche no, a quanto pare.

 

 

Le buone notizie  sono che i protagonisti di questo post hanno continuato e con grande profitto le proprie carriere. Il prof. Giovanni Boccia Artieri continua a formare studenti, presso la Carlo Bò di Urbino. Nel frattempo è diventato anche uno degli “amici e relatori”   di questo blog,  e ci è venuto a trovare alcune volte a digit, la nostra manifestazione dal vivo dedicata al  giornalismo e alla comunicazione. L’altra notizia a quattro stelle è che Alberto Berlini dopo essersi laureato a pieni voti con il professor Artieri,  ha intrapreso una carriera professionale nel mondo dell’informazione, è diventato lui stesso giornalista e ricopre attualmente un ruolo di coordinamento nel gruppo editoriale online Citynews, come racconta sul suo profilo linkdln.

 

Qui al momento potete trovare il suo ultimo pezzo, ma lo sarà solo per pochi minuti, al massimo qualche ora. Si sa, il vortice delle notizie online è sempre più rapido e incessante …

 

Grazie molte a loro per il lavoro svolto, e a Voi per averci concesso un poco del Vs tempo, e alla prossima :)