Una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile

Joseph Pulitzer nacque in Ungheria nell’aprile del 1847. All’età di sedici anni, emigrò negli Stati Uniti: solo, senza amici, denaro, e senza sapere l’inglese. Si arruolò subito in cavalleria a New York per combattere nella guerra di secessione americana. Al termine del conflitto, Pulitzer divenne reporter del Westliche Post. In meno di dieci anni ne diventò direttore e co-proprietario.  Nel 1883 si trasferì a New York, dove comprò il New York World. Il  quotidiano tirava meno di 12.000 copie al giorno ed era sull’orlo della bancarotta. In quattro anni di duro lavoro: il “World” raggiunse una tiratura di 200.000 copie al giorno, e un posto in prima fila nella stampa americana. Purtroppo per la salute di Joseph Pulitzer furono anni disastrosi.  Dovette lasciare New York, con i nervi a pezzi, e la consapevolezza che, nel giro di pochi anni, sarebbe diventato completamente cieco. Nonostante la grande fortuna, anche economica, le sue condizioni di salute precarie lo costrinsero a ritirarsi molto presto dalla vita attiva e trascorrere lunghi anni, appartato, e assistito,  sul suo yacht, dove morì nel 1911, nella rada di Charleston nella Carolina del Sud.

 

 

 

Pulitzer, oltre al suo acume affaristico, è universalmente ricordato per le grandi innovazioni introdotte  nel mondo del giornalismo.  Inoltre la figura del giornalista editore ungherese, emigrato negli Stati Uniti, rimarrà per sempre nella storia, grazie all’istituzione della Scuola di giornalismo della Columbia University e al Premio giornalistico che porta il suo nome.

 

La scuola di giornalismo, celeberrima negli Stati Uniti,  ma divenuta famosa anche  nel resto del mondo, fu realizzata solo dopo la morte di Pulitzer,  che destinò nel suo testamento,  2 milioni di dollari del proprio patrimonio,  per la creazione dell’istituto di specializzazione.

 

Anche Il premio giornalistico Pulitzer, voluto e finanziato dall’imprenditore ungherese, fu assegnato per la prima volta,  solo dopo la morte del suo ideatore, nel 1917.

 

Alcune delle rivoluzionarie idee, che Pulitzer propose e poi realizzò, sono ancora adesso, e probabilmente saranno sempre attuali per il giornalismo:

 

“Esprimi il tuo pensiero in modo conciso perché sia letto, in modo chiaro perché sia capito, in modo pittoresco perché sia ricordato e, soprattutto, in modo esatto perché i lettori siano guidati dalla sua luce” 

 

 

 “Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello”

 

 

“Una stampa cinica e mercenaria, prima o poi, creerà un pubblico ignobile”

 

 

 

Nel raccontare Pulitzer non bisogna però dimenticare,  che al giornalista imprenditore,  naturalizzato americano,  va ascritto un altro pesante e forse non proprio esaltante merito.  Quello di aver contribuito non poco, con i propri giornali,  alla creazione e allo sdoganamento,  di un certo tipo di giornalismo, francamente meno nobile, ma molto, molto redditizio. La scalata al potere editoriale, e in particolare il trionfo di vendite del suo New York World,  coincide con una battaglia senza esclusione di colpi contro altri giornali ed altri editori,  fatta  di sensazionalismo, di scandali, di notizie urlate e quasi mai verificate, spesso completamente inventate. Propaganda e non notizie, fake news – si direbbe oggi – contro inchieste certosine e fatti verificati. L’ascesa all’olimpo del giornalismo per Pulitzer coincide anche con la consacrazione, se non la nascita, di questo tipo di giornalismo. Quello che poi sarà definito giornalismo da tabloid, e che anche nel Bel Paese, avrà e ha ancora, molti adepti. Una lotta senza esclusione di colpi quella fra Pulitzer e Hearst a New York che accenderà la fantasia di un altro grande artista come Orson Wells che partendo anche da quei fatti costruirà il suo indiscusso capolavoro assoluto: Quarto Potere.

 

 

 

Il nostro Marco Dal Pozzo, riprendendo un’idea molto bella, che aveva messo in pratica su queste colonne  in passato, ha immaginato –  sulla scorta di un’attenta lettura del libro su Pulitzer di Bollati Boringhieri che si intitola: Sul giornalismo –  una sorta di intervista, impossibile, ma molto utile, a nostro avviso, con il grande ungherese del giornalismo. Di seguito il risultato del lavoro del nostro associato,  buona lettura e a presto ;)

 

 

Lei è un giornalista che “ce l’ha fatta” e che ha deciso di mettere a disposizione la sua esperienza. Ci dica qualcosa di lei.

 

 

Se posso dire di avercela fatta è stato perché mai, per mia attitudine lavorativa e personale piacere, ho considerato il giornalismo alla stregua di un’impresa commerciale. Ho considerato il giornalismo non solo una professione, bensì la più nobile di tutte le professioni. Mi sono sempre sentito vicino alla mente del pubblico, e mi sono imposto di fare bene ogni giorno. Ho deciso così di istituire un fondo per una scuola di giornalismo a livello universitario; di una qualifica di giornalista c’è necessità: Nel nostro Paese, infatti, l’unica qualifica cui posso pensare della quale un uomo può ritrovarsi in possesso già dalla nascita è quella di idiota. Esiste forse una qualche altra qualifica per la quale l’uomo non necessiti di un’adeguata preparazione, vale a dire di apprendimento a casa, a scuola e all’università attraverso insegnanti esperti o grazie alla dura esperienza personale, come le scottature che insegnano al bambino a temere il fuoco, o gli errori che temprano la volontà dell’aspirante?

 

 

Prima di raccontarci qualcuna delle caratteristiche della sua futura scuola di giornalismo, direi di parlare prima del ruolo del giornalismo e dei giornalisti. Ci interesserebbe poi contestualizzare il momento storico che viviamo con la richiesta di lavoro giornalistico che questa scuola andrebbe a colmare.

La stampa influisce ancora sulla formazione dell’opinione pubblica?

 

 

Bisogna fare due premesse, la prima: il giornalista ha una posizione tutta speciale. Lui solo ha il privilegio di plasmare la opinioni, toccare il cuore e fare appello alla ragione di centinaia di migliaia di persone ogni giorno. Una delle professioni più affascinanti. La seconda: Molti sono i pericoli in serbo per la Repubblica. I demagoghi sono nel Paese, e cercano di spaccare in due la società. Vi è un nuovo, insopprimibile conflitto che sarebbe folle ignorare. La stupefacente crescita del potere delle grandi imprese; l’enorme aumento dei patrimoni individuali; le crescenti sperequazioni in termini di stili di vita, ceto e opportunità; l’intensificato antagonismo tra forza lavoro e capitale, tra dipendenti e datori di lavoro, l’aumento della corruzione nelle città…tutti problemi che metteranno a dura prova la saggezza dei nostri governanti e l’imperturbata fiducia in sé del nostro popolo.

Per rispondere alla domanda è necessario porsi le seguenti questioni: i fatti hanno perso il loro potere? L’informazione ha smesso di affinare l’intelligenza? Gli uomini sono meno reattivi di prima di fronte a valide argomentazioni e a ragionevoli appelli? Facciamo un esempio: al momento del suo insediamento Lincoln non aveva il minimo sentore del tremendo compito che lo aspettava. In occasione del suo primo appello alla nazione per l’arruolamento contava di reprimere la ribellione nel giro di tre mesi impiegando 75.000 uomini: un grosso errore se si pensa che il numero totale di uomini impiegato dall’Unione durante i quattro anni fu di 2.772.408. In quei momenti di pericolo e di incertezza la stampa fece il suo dovere. Ma immaginiamo che non l’avesse fatto, immaginiamo che avesse lasciato la pubblica opinione nella più totale indifferenza: Lincoln avrebbe osato imporre la leva obbligatoria? Avrebbe osato richiamare dal Nord metà degli uomini in età militare? Si sarebbe arrischiato a emettere il Proclama di emancipazione? Non avrebbe offerto compromessi e concessioni per ottenere pace? Fu l’opinione pubblica del Nord a portare avanti la guerra per l’Unione. Lincoln, seppure mente geniale e leader insuperato, ne fu solo il magistrale strumento.

 

 

Il giornalismo e i giornalisti hanno quindi ancora un ruolo, una funzione?

 

 

Certamente! Di certo le più grandi menti del Paese devono comprendere quanto indissolubilmente una repubblica integerrima sia legata a una stampa virtuosa. Voglio riportare le parole di un Giudice: Un giornalismo onesto e indipendente è la forza più possente che la civiltà moderna abbia sviluppato. Malgrado i suoi errori – del resto quale attività umana ne è priva? – è indispensabile alla vita delle persone libere. Le frontiere del privilegio costituzionale della stampa sono tanto ampie quanto il pensiero umano, e uno dei motivi di vanto del nostro Paese è che il suo giornalismo è in genere incorrotto, impavido e patriottico. E’ il nemico sempre all’erta del bigottismo, del campanilismo, dell’ignoranza e del crimine, e ben merita le libertà che i nostri padri gli hanno dato. Esso si è dato piena legittimazione! Ma attenzione: quando un agitatore demagogico sobilla “le masse” contro “le classi alte” e si erge a fervente paladino del popolo contro i suoi “oppressori”, attaccando la legge, l’ordine e la proprietà nell’intento di far proseliti tra gli scontenti e gli sconsiderati, allora il giornale può diventare un pericoloso strumento del male.

 

 

Se dovesse evocare due elementi imprescindibili per il ruolo del giornalismo e dei giornalisti e per la funzione che sono chiamati a svolgere, quali indicherebbe?

 

 

“Etica” e “Notizia”.

Senza un alto ideale etico un giornale, per quanto interessante e prospero, non solo si priva delle sue straordinarie possibilità di rendere un servizio pubblico, ma può trasformarsi in un vero e proprio pericolo per la comunità.

Quindi, la notizia: La notizia è importante, la vita stessa di un giornale. Ma cos’è mai la vita di una nazione o di un individuo senza onore, senza cuore e anima? Oggi una delle principali difficoltà del giornalismo è tenere a bada l’istinto per la notizia, far sì che non prenda il sopravvento sull’accuratezza e la scrupolosità. E se il “fiuto per la notizia” è presente fin dalla nascita, significa forse che questo istinto non dovrebbe, al pari di tutte le grandi qualità, essere affinato attraverso l’insegnamento, la preparazione e lezioni pratiche che insegnino a riconoscere un giornalismo di qualità da uno scadente, cosa è giusto da cosa è sbagliato, cosa è apprezzato e cosa è impopolare, cosa è destinato al successo e cosa al fallimento e, soprattutto, cosa merita il successo e cosa non lo merita, ovvero quali articoli fanno notizia per un giorno soltanto e quali conferiscono al giornale personalità, influenza e fiducia da parte del pubblico? Abbiamo bisogno che nel giornalismo si sviluppi un senso di comunanza basato non sul denaro ma sui principi morali, sulla preparazione e sul carattere.

Mi piace concludere con una metafora: un giornalista è la vedetta sul ponte di comando della nave dello Stato. Prende nota delle vele di passaggio e di tutte le piccole presenze di qualche interesse che punteggiano l’orizzonte quando c’è bel tempo. Riferisce di naufraghi alla deriva che la nave può trarre in salvo. Scruta attraverso la nebbia e la burrasca per allertare sui pericoli incombenti. Non agisce in base al proprio reddito né ai profitti del proprietario. Resta al suo posto per vigilare sulla sicurezza e il benessere delle persone che confidano in lui.

 

 

E’ un lavoro che però va remunerato. Che idea ha delle tante ipotesi che si fanno sui cosiddetti modelli di business delle imprese editoriali?

 

 

Sono molto netto: un redattore, un editorialista o un corrispondente non possono considerarsi in affari. E tanto meno un reporter che sappia il fatto suo. Solo il perseguimento dei più alti ideali, la più coscienziosa determinazione a far bene, la più scrupolosa conoscenza dei problemi da trattare e un sincero senso di responsabilità morale riusciranno a salvare il giornalismo dall’asservimento agli interessi economici, che mirano a fini egoistici in contrasto con il bene pubblico.

 

 

Materia complicata, lo capiamo. Qual è il contesto attuale?

 

 

Se parliamo della diffusione dei giornali, direi che laddove cento anni fa e più si contavano quasi tre famiglie per un giornale, oggi – grazie al proliferare dei mezzi tecnologici – si contano tre giornali per ogni famiglia. L’impiego della tecnologia e della rete, infatti, sta portando a risultati impensabili solo fino a poco tempo fa. Le nazioni si stanno avvicinando.

 

 

Cosa pensa dei Social Network e del loro avvento nell’ecosistema informativo di cui si può dire ora costituiscano la principale infrastruttura?

 

 

All’epoca della democrazia ateniese tutti potevano incontrarsi all’assemblea popolare. Là si formava la pubblica opinione e come conseguenza, a seconda che il popolo prestasse ascolto a Pericle o a Cleone, lo Stato prosperava oppure andava in declino. Quindi? L’oratore che parla alla democrazia è il giornale, l’unico organo che fa scorrere nelle vene di uno Stato Repubblicano il sangue che lo tiene in salute. Abbiamo – purtroppo è vero – qualche giornale che perora pericolose falsità e ipocrisie, che fa leva sull’ignoranza, sulle faziosità, sulle passioni, sull’odio per il ricco e sul socialismo, che getta il seme dello scontento e che, se non si si porranno dei limiti, finirà sicuramente per provocare illegalità e spargimento di sangue. Quindi lei è per la censura? La nostra Repubblica e la sua stampa progrediranno o cadranno insieme. Una stampa capace, disinteressata, animata da spirito civico, con un’intelligenza allenata a distinguere ciò che è giusto e ad avere il coraggio di realizzarlo, può preservare quella pubblica virtù senza la quale il governo del popolo non è che impostura e dileggio. Una risposta evasiva, si direbbe. Cerco di essere più chiaro: il potere di plasmare il futuro della Repubblica è nelle mani dei giornalisti delle future generazioni!

 

 

Cerchiamo di affrontare la questione in un altro modo: quello che è stato con Gutenberg potrà essere ora con l’avvento dei Social Network?

 

 

L’opinione pubblica in quanto forza morale e politica trova ispirazione ed espressione nella stampa e nell’oratoria. Gutenberg è stato il fondatore dell’opinione pubblica moderna. La stampa costituì il fattore essenziale per la diffusione delle idee teologiche della Riforma e per la creazione di un’opinione pubblica a sostegno. Disse Tocqueville che un giornale riesce a mettere la stessa idea in testa a migliaia di persone nello stesso momento. Ma oggi un giornale può mettere la stessa idea in testa a milioni di persone in uno stesso giorno.

 

 

Ne è sicuro? In che modo?

 

 

Io credo che la diffusione dei giornali sia il più rilevante fattore morale e la più potente forza dell’universo. Nel merito della questione: Catturare l’attenzione, persuadere e ottenere l’appoggio solidale della grande massa inerte che noi chiamiamo pubblico è un compito delicato e difficile. La stampa, in quanto principale mezzo di informazione, è l’unica all’altezza di farlo. E se svolgerà questo compito con intelligenza, coscienziosità e coraggio, diffondendo consapevolezza come il sole diffonde la luce, il potere dell’opinione pubblica contribuirà alla giustizia nel governo, alla trasparenza in politica e una più alta moralità negli affari e nella vita sociale della nazione.

 

 

Evidentemente lei crede ciecamente nel ruolo del giornalismo e dei giornali. Ma, facciamo un ultimo tentativo: nell’epoca dei Social Network come pensa che il giornalismo potrà giocare il suo ruolo per il destino della Repubblica?

 

 

Quale sarà la condizione della società e della politica in questa Repubblica di qui a settant’anni, quando saranno ancora vivi alcuni dei bambini che adesso vanno a scuola? Sapremo salvaguardare il primato della Costituzione, l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e l’incorruttibilità della giustizia, oppure avremo un governo del denaro e dei disonesti? Le risposte a queste domande dipenderanno in buona misura dal tipo di istruzione che la gente di quel giorno trarrà dai giornali, dai libri di testo, dagli oratori, dai predicatori. Forse non è esagerato affermare che la stampa è l’unico grande potere organizzato a sostenere la causa della virtù civica in modo attivo e come categoria. La stampa è l’unica a lavorare per il pubblico interesse. “L’interesse di tutti è l’interesse di nessuno”, ma questo non vale per il giornalista: è suo per adozione. Se non fosse per le sue attenzioni, quasi ogni riforma fallirebbe in partenza. Egli ricorda ai funzionari il loro dovere. Denuncia piani segreti di ladrocinio. Promuove ogni promettente piano di sviluppo. Senza di lui l’opinione pubblica sarebbe muta e amorfa. Avvicina tra loro le classi e le professioni, insegna loro ad agire di concerto sulla base del senso civico comune.

 

 

Andiamo alla scuola di giornalismo che sta cercando di costruire con i fondi che sta raccogliendo. Cosa andrebbe insegnato?

 

 

Ciò che va insegnato è il lavorare per la comunità: non per un commercio, non per se stessi, ma in primo luogo per il pubblico. La Scuola di giornalismo dovrà esaltare i principi morali, il sapere e la cultura, se necessario a svantaggio degli aspetti commerciali. Sarà importante insegnare a sviluppare uno stile che sia peculiare ma al tempo stesso conforme ai requisiti della migliore scrittura giornalistica, ovvero accuratezza, chiarezza, stringatezza e forza di persuasione. Si dovrà insegnare ai futuri giornalisti a non leggere le statistiche passivamente, ma a verificarle attraverso la propria conoscenza e buon senso. I futuri giornalisti dovranno capire fino a che punto i dati siano affidabili, nonché il loro reale significato. L’analisi statistica per arrivare alla verità oggettiva è infatti diventata una scienza largamente sviluppata, i cui principi sono ormai insegnati in modo sistematico. E che scienza affascinante è mai! Esiste una storia più irresistibile dei dati sulla nostra crescita nazionale? Concludo con due punti. Il primo: dovrebbero essere insegnate le idee giornalistiche. Ma come? E da chi? L’obiettivo deve essere quello di pensare nel modo giusto, istantaneamente, incessantemente e intensamente, cogliere al volo le opportunità quando gli altri se le lasciano sfuggire: è questo il segreto del successo in campo giornalistico. E insegnarlo è venti volte più importante che insegnare greco e latino. Il secondo: tutti dicono che dovrebbero essere insegnati i principi e i metodi del giornalismo. Ma come? Ebbene, sembra davvero impossibile farlo senza lezioni che spieghino la materia in modo sistematico. Tuttavia non si rivelerebbe ancora più proficuo redigere un vero giornale, composto dagli studenti e stampato inizialmente una volta alla settimana, poniamo, grazie a una macchina da stampare e ai necessari impianti situati nei locali dell’università? Un giornale del genere permetterebbe di impratichirsi in tutti i campi dell’attività giornalistica: revisione, presentazione delle notizie, critica, lettura degli articoli, lettura delle bozze, impaginazione…in breve tutto ciò che un giovane dovrebbe saper fare prima di intraprendere la carriera di giornalista. Si potrebbe poi chiedere a tutti gli studenti di scrivere editoriali sullo stesso argomento: il migliore verrebbe mandato in stampa e le ragioni di questa scelta verrebbero esplicitate.