Un internet ‘’adulto’’ senza anonimato? Meglio quello di ora

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Qualche giorno fa Arianna Huffington ha annunciato che l’ HuffPost  bandirà i commenti anonimi: perché, dice, ci sono troppi troll che utilizzano il sito nascondendosi dietro l’ anonimato per pubblicare commenti violenti o offensivi, e perché pensa che la gente dovrebbe battersi a viso aperto per quello che dice.

 

Ma è veramente l’ anonimato il problema con i commenti online? Io ‘’non sono d’ accordo – risponde Mathew Ingram  in un intervento su Gigaom di cui pubblichiamo la traduzione – . L’ anonimato ha un valore reale e rinunciarvi può avere gravi conseguenze’’.

‘’La libertà di parola ha un prezzo – spiega Ingram -, e penso che perderemmo qualcosa di importante se cominciassimo a chiedere alle persone una verifica della loro identità prima di ascoltare quello che hanno da dire. E se questo fosse ‘necessario’ per un ‘internet adulto’, preferirei restare con quello che c’ è ora’’.

 

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Dear Arianna: Anonymity has value, and doing away with it won’t solve your commenting problem

Ingramtestinadi Mathew Ingram
(Gigaom)

 

(…) La fondatrice dell’ Huffington Post ha spiegato che le sue convinzioni sull’ anonimato sono state rafforzate dai recenti stupri e minacce di morte contro le donne in Gran Bretagna, anche se la maggior parte di questi –  tra cui continui attacchi contro una giornalista freelance,  Caroline Criado-Perez  – si sono verificati in realtà su Twitter (che ha ripetutamente difeso il diritto dei suoi utenti  a restare anonimi, o almeno a usare uno pseudonimo). Secondo Huffington:

 

“I troll stanno diventando sempre più aggressivi e ignobili. Sono appena tornata ​​da Londra, dove ci sono state perfino minacce di stupro e minacce di morte. Io credo che la libertà di espressione deve essere data a coloro che si battono per quello che dicono e non a chi si nasconde  dietro l’anonimato. Abbiamo bisogno di far evolvere una piattaforma in grado di soddisfare le esigenze di un Internet adulta”

 

 

Abbiamo bisogno di un “internet adulto”?
Ingram2Il punto di vista di Huffington  – soprattutto sull’ utilizzo delle identità reali come  parte di una ‘Internet adulta’ – è pienamente in linea con altre argomentazioni che sono state fatte in passato circa i pericoli dell’ anonimato, tra cui quella dell’ ex direttore del marketing di Facebook , Randi Zuckerberg, nel 2011, secondo cui  l’ anonimato su internet deve sparire’’  a causa del bullismo online e di altri brutti comportamenti. Il dirigente di Google Vic Gundotra aveva fatto un ragionamento analogo quando l’ azienda lanciò Google+ chiedendo l’ uso di una “identità verificata”.

 

La logica estensione di questi ragionamenti è rendere impossibile, o addirittura illegale, l’ anonimato online. E almeno un legislatore americano ha elaborato un disegno di legge che puntava proprio a: la senatrice dell’ Illinois Ira Silverstein ha proposto di oconsentire l’ accesso ai commenti solo agli utenti con identità online verificabile. Ma questo ridurrebbe in maniera significativa nei commenti il trolling o altri comportamenti offensivi? Difficilmente.

 

Basta pensare a quanti comportamenti abusivi si verificano su Facebook. E poi è stato provato che, ad esempio, la richiesta della reale identità per poter assistere su internet ad alcuni spettacoli riduce in maniera insignificante i comportamenti offensivi:   nel 2007, la Corea del Sud aveva imposto l’ identificazione per gli utenti dei siti con più di 100.000 visitatori, ma nel 2011 bil programma è stato cancellato perché i commenti offensivi si erano ridotti solo dello 0,09 per cento.

 

 

Richiedere la vera identità fa perdere qualcosa

 

Il dibattito sull’ anonimato e il suo valore, sia nei commenti che altrove su Internet, è in corso più o meno da quando il web è stato inventato. Più volte ho cercato di convincere  che accettare l’ anonimato porta un vero valore e in un caso ho anche lottato per questo, quando ero il direttore dei social-media di un importante quotidiano canadese, dove dovevo difendere quasi ogni giorno l’ uso di anonimato.

 

Per me, il problema non è tanto se l’ imposizione di identità verificate o di qualsiasi altro sistema del genere potrebbe ridurre il trolling, ma è a che cosa bisognerebbe rinunciare in cambio di qualche lieve miglioramento. Come vari altri difensori dell’ anonimato hanno fatto notare, ci sono cose importanti che possiamo imparare da commentatori che non avrebbero mai dato il loro contributo se avessero dovuto rivelare la loro vera identità. Commenti su violenze coniugali, identità sessuali,  persecuzioni religiose –  e l’ elenco potrebbe continuare.

 

Vale la pena perdere tutto questo per un modesto calo dei comportamenti offensivi? E non si tratta solo di questo: un recente sondaggio realizzato dall’ azienda di analisi dei commenti Disqus ha provato che i commenti con pseudonimi forniscono un sacco di elementi e di spunti di grande valore, come dimostrano i numerosissimi siti che utilizzano i software della società.

 

Perché non provare a coinvolgere, invece?
Una delle ultime volte che questo dibattito si rinfocolò, Anil Dash propose quello che pensavo fosse un argomento persuasivo: e cioè che, se il vostro sito ha troppi troll, la colpa è vostra perché non riuscite a coinvolgere di più i lettori e a impostare bene il tono dei vostri commenti. Ovviamente, se si ha a che fare con milioni di commentatori ogni giorno – che per l’ Huffington Post è diventata la routine -, è praticamente impossibile coinvolgere tutti, ed è il motivo per cui il sito dispone di 40 moderatori e una suite di algoritmi per gestire il diluvio. Ma allora perché non provare a guardare i commenti in modo diverso?

 

Il New York Times almeno ha fatto un piccolo sforzo per migliorare i propri commenti, promuovendo di status  alcuni lettori che possono quindi commentare senza essere filtrati dai moderatori, e hmettendo in evidenza alcuni commenti a fianco degli articoli invece di relegarli tutti in fondo. Entrambi questi passaggi sono un incentivo significativo a una buona condotta. Gawker Media offre ai suoi commentatori dei loro blog e permette di contribuire con loro articoli – una cosa che dovrebbe essere attraente per un sito come l’ Huffington Post, che era partito consentendo quasi a chiunque di bloggare gratuitamente. Perché non creare dei livelli di commento che favoriscano un approccio migliore?

 

Incoraggiamo i troll e i comportamenti offensivi se permettiamo alle persone di contribuire in forma anonima? Forse. Ma la libertà di parola ha un prezzo, e penso che perderemmo qualcosa di importante se cominciassimo a chiedere alle persone una verifica della loro identità prima di ascoltare quello che hanno da dire. Se questo è necessario per un “internet adulto”, preferirei restare con quello che c’ è.

 

In chiusura, ecco nel video qui sotto l’ intervento TED di Christopher “Moot” Poole, il fondatore di 4chan, sui vantaggi dell’ anonimato.