Per Julian (Assange)

La prima volta che abbiamo scritto di wikileaks su questo blog è stato 13 anni fa,  in un articolo –  davvero spassoso che Vi consigliamo con gioia di andare a rivedere – in cui fra le altre cose si parlava del futuro prossimo venturo della nostra professione e di  “giornalisti incazzosi” e “giornalisti felici”. Al termine del pezzo veniva inserito un listato di regolette elaborate da un gruppo di giornalisti stranieri che,  già 13 anni fa, fotografavano –  a nostro parere –  in modo perfetto,  gli scenari in cui si sarebbe mossa la professione dentro alla “rivoluzione (anche se ora fa molto più figo definirla transizione) digitale”. Ma vediamole al volo queste poche semplici regole:

 

 

 

 

1.       Il potere dell’ organizzazione senza organizzazione. Le reti sociali permettono di trovare delle persone con gli stessi interessi, diverse competenze ma con uno scopo comune – senza preoccupazioni di luogo o di status. La redazione non è più confinata dentro quattro mura ma cambia a ogni articolo.
2.       Informatori a portata di mano. Wikileaks e siti analoghi permettono alle persone che hanno fra le mani dei dati sensibili di farli conoscere aggirando la censura. Questo vuol dire più testimonianze di prima mano per i giornalisti.
3.       Un diluvio di informazione. Google permette ai giornalisti di ottenere tutta l’ informazione senza passare per la biblioteca. Articoli universitari e data-base offrono al pensiero critico migliaia di riferimenti per sostenere i propri argomenti.
 4.       Un vero ‘ritorno’ per i vostri articoli. Leggendo i commenti, guardando quanti lettori lo hanno aperto, navigando sui blog o ascoltando i “mormorii” di Twitter, potete sapere che cosa si dice di voi e della vostra esperienza. Potete sapere quando ci azzeccate. E quando bisogna migliorare.
5.       Verifiche in tempo reale. Avete di fronte qualche notabile che sta bluffando con i suoi dati? Chiedetegli la fonte e mettetegli sotto il naso – via cellulare – i risultati di Google.
6.       Fine del copiare. L’ attuale struttura del mondo dlel’ informazione fa sì che le notizie di agenzia sono già arrivate dappertutto quando il giornalista le riceve. E non c’ è più bisogno di ricopiare. I giornalisti si possono concentrare sul reportage e sull’ analisi.
7.       Fare domande a delle persone che hanno risposte da dare. Attraverso i blog o le riviste di ricerca universitaria, si ha accesso a migliaia di contatti. La rubrica degli indirizzi non è più importante come prima. (Va bene, forse non per i giornalisti politici).
8.       Intervistare tutti gratis. Skype permette ai collaborator free-lancei di ridurre le spese. E in più, il carattere asincrono delle e-mail permette di contattare persone all’ altro capo del mondo senza doverle svegliare nel cuore della notte.
9.       Diventare un distributore di giornali. E’ meglio di quanto sembrava. Ormai potete regolare voi stessi la distribuzione e decidere la forma dei vostri contenuti – blog, video, podcast e così via.
10.   Scrivere quello che si vuole e costruirsi un marchio personale. Il vostro redattore capo non è contento di quello che fate? Aprite un blog e scrivete lì sopra. Se sono cose interessanti, i lettori arriveranno.

 

 

 

 

Decalogo a parte –  ne riparleremo statene pur certi – quello che salta agli occhi, volendo parlare del lavoro svolto in tutti questi anni dall’organizzazione fondata e diretta da Julian Assange è il punto due del listato: “Informatori a portata di mano. Wikileaks e siti analoghi permettono alle persone che hanno fra le mani dei dati sensibili di farli conoscere aggirando la censura. Questo vuol dire più testimonianze di prima mano per i giornalisti”. 

Una riflessione di questo tipo, così semplice, sintetica e facilmente comprensibile,  dovrebbe bastare – a nostro avviso –  a chiarire in modo eccellente e anche “definitivo” qualsiasi dubbio sull’operato di organizzazioni come wikileaks.  

Il movimento mondiale dei whistleblowers che ha preso origine, dignità e credibilità,  grazie a strutture come quella fondata da Assange; non sarebbe mai esistito in un mondo in cui le informazioni fossero rimaste tutte “catalogate e incasellate”. Soprattutto non avrebbe mai potuto esistere la possibilità che qualcuno,  che fosse stato vittima o testimone di illeciti/abusi/ e delitti di vario tipo, potesse rivelare tali fraudolente attività in modo sicuro e anonimo senza mettere in pericolo la propria incolumità.

Va da sè che qui a bottega si faccia da sempre il tifo per chi –  come Julian Assange –  ha messo in pericolo la propria incolumità personale e anche la propria libertà per permettere ai segnalatori di illeciti di poter agire in piena sicurezza.

Per questo motivo saremo sempre a fianco di Assange in ogni sua battaglia e lo sosterremo sempre, come accaduto più e più volte su queste colonne negli anni.   Accogliamo dunque con gioia e rilanciamo la proposta di Marco Calamai –  di candidare al nobel per la pace il fondatore di wikileaks. O meglio, come spiega molto bene Calamai stesso sul suo canale personale su medium: Cassandra Crossing,  più che candidare direttamente Assange al Nobel, provare a mobilitare attraverso un percorso di sensibilizzazione sociale quelli fra Noi in grado di dare un segnale forte che arrivi fino ai componenti del comitato per l’assegnazione del nobel per la pace. Che poi sarebbero i signori e le signore ritratte nella foto che abbiamo riportato qui sotto estraendola dall’articolo di Calamai. E per far arrivare il nostro messaggio a questi signori dobbiamo –  come spiega lo stesso Marco Calamai – riuscire a mobilitare  persone e istituzioni particolari, speciali.  Loro e soltanto loro potranno fare la “corretta pressione” sul comitato che deciderà il nome del prossimo Nobel per la Pace. E per sapere a chi doversi rivolgere per “avviare la mobilitazione” estraiamo un passaggio dell’articolo di Calamai in cui vengono ben precisati i termini della questione:

 

 

 

 

Farlo quando? Per l’appunto da oggi fino al 31 gennaio 2022

Chi lo può fare? Tutti noi? No, solo queste “tipologie” di persone:

– I membri di assemblee nazionali e governi degli Stati.
– I membri di corti internazionali.
– Direttori di istituti di ricerca di pace e istituti di politica estera.
– Le persone che hanno già vinto il Premio Nobel negli anni passati.
– I membri del Consiglio di organizzazioni che hanno ottenuto il Premio Nobel in anni precedenti.

E, per l’appunto qui in Italia, nella sola prima categoria, abbiamo più di 900 “abilitati”.

Per ricordare meglio cosa ha fatto,  e cosa ha contribuito a fare Julian Assange,  per la libertà di informazione, o forse meglio dire, per la libertà di noi tutti;  affidiamoci ad uno scritto di Assange stesso. Lasciamo sia lui stesso a spiegare  le origini, gli scopi e le finalità di gruppi come il suo. Lo scritto autografo è contenuto in un libro dedicato al fondatore di wikileaks scritto da un giornalista italiana Stefania Maurizi, che da molti  anni collabora con l’organizzazione messa in piedi da Assange.   Il libro da cui abbiamo estratto la dichiarazione di Assange è stato  pubblicato dieci anni fa  e  si intitola Dossier Wikileaks:

 

 

 

 

Niente sembrava poter scalfire il muro di segreti che nasconde gli affaracci di banche e multinazionali, i crimini di eserciti che uccidono senza rendere conto a nessuno, il potere di sette religiose capaci di plagiare milioni di persone.
Molti pensano a noi come al prodotto di una rivoluzione tecnologica. È vero. Senza internet non esisteremmo neppure. Ma l’essenza di WikiLeaks è qualcosa di profondamente connaturato all’uomo: è il desiderio di arrivare a scoprire la verità e di obbligare chi ha il potere a risponderne, senza potersi nascondere dietro il segreto. Noi siamo convinti che non ci sia democrazia laddove ci sono archivi pieni di verità inconfessabili.
Negli ultimi anni abbiamo subìto attacchi micidiali. Per proteggere il nostro staff e le nostre infrastrutture abbiamo rilasciato una serie di file criptati che sono la nostra assicurazione. Se dovesse accaderci qualcosa di veramente grave, tale da compromettere la capacità di pubblicare i documenti che abbiamo in mano, diffonderemo le password necessarie per aprire quei file. Abbiamo sentito opinionisti di destra della Fox di Rupert Murdoch invitare gli ascoltatori dal grilletto facile – che, purtroppo, in America non mancano –  “a sparare a quel figlio di puttana (di Assange)”, ma abbiamo anche sentito intellettuali liberal liquidarci come degli estremisti irresponsabili. Quella che a oggi risulta non pervenuta è una forte presa di posizione da parte dei media e delle élite colte contro la dilagante segretezza in cui stanno affondando le democrazie occidentali. Secondo l’Information Security Oversight Office, che supervisiona le politiche di secretazione e desecretazione nel governo e nell’industria Usa, nel 2010 i costi del segreto di Stato in America hanno raggiunto i 10, 17 miliardi di dollari, una cifra che non include le spese per le agenzie di intelligence (Cia, Nsa, Nga, ecc.), che nessuno conosce perché sono
riservate.
Neppure la pubblicazione di Collateral Murder è stata una sveglia per quei liberal che ci accusano di avere un’agenda irresponsabile. In quel video si vedeva un elicottero americano Apache che a Baghdad sterminava civili innocenti, tra cui due giornalisti dell’agenzia internazionale Reuters. Fin dal giorno dell’attacco, Reuters aveva cercato di ottenere una copia di quel documento, ma, nonostante tutti i mezzi e i contatti, non ci era riuscita. Non è un’esagerazione dire che, senza il coraggio della fonte che ci ha inviato quel video, sarebbe stato impossibile scoprire la verità su quella strage in tempi ragionevoli.
Oggi la nostra lista dei desideri continua a essere lunghissima. E c’è anche l’Italia. Chi non vorrebbe mettere le mani sugli archivi del Vaticano? Duemila anni di segreti di una monarchia assoluta di ottocento abitanti, che influenza le vite di un miliardo e trecento milioni di persone nel mondo. Immaginiamo di poter riversare l’intero archivio in un database elettronico ricercabile per parole chiave: le gerarchie ecclesiastiche sopravviverebbero a questa megaleak?

Julian Assange (Stefania Maurizi Dossier Wikileaks)

 

 

 

 

RicordandoVi  il nuovo libro di Stefania Maurizi che aggiunge importanti tasselli alla storia di Julian Assange e si intitola: “Il potere segreto, perchè vogliono distruggere Julian Assange e wikileaks”, aggiungiamo alla nostra narrazione un estratto proprio da questo saggio. Un passaggio molto significativo sul tema Assange e wikileaks. Un resoconto proprio di come la Maurizi sia venuta a conoscenza del metodo “wikileaks”, sentendo in proprio e negli stessi anni in cui nasceva l’organizzazione di Assange, l’esigenza di proteggere in modo “certo e sistematico” le proprie fonti, e anche vivendo l’esigenza di poter ampliare il numero  delle proprie “sorgenti” di notizie:

 

 

 

 

Fu una mia fonte nel mondo della crittografia a mettere per la prima volta sul mio schermo radar Julian Assange e WikiLeaks nel 2008, quando li conoscevano in pochissimi perché non avevano ancora pubblicato i grandi scoop giornalistici che li hanno poi resi famosi in tutto il mondo. “You should have a look on that bunch of lunatics”, “Dovresti dare uno sguardo a quella banda di matti” mi disse l’esperto. I lunatics erano Assange e il suo team di WikiLeaks: il mio amico crittografo li chiamava così con tono scherzoso, ma dimostrava di averne considerazione. E se uno con le sue competenze e la sua dedizione ai diritti umani si interessava a loro, voleva dire che stavano facendo qualcosa meritevole di attenzione.

Cominciai a osservare con sistematicità il lavoro di WikiLeaks, che era proprio agli albori, perché era stata creata nel 2006. L’idea era rivoluzionaria: sfruttare la potenza della rete e della crittografia per ottenere e “far filtrare” – in inglese to leak, da cui il nome WikiLeaks – documenti riservati di grande interesse pubblico. Proprio come i media tradizionali ricevono informazioni da sconosciuti che mandano alle redazioni lettere o pacchi di documenti, così Assange e la sua organizzazione ricevevano file scottanti, inviati in forma elettronica alla loro piattaforma online da fonti anonime. La protezione di chi condivideva documentazione delicata era garantita da soluzioni tecnologiche avanzate, come la crittografia, e da altre tecniche ingegnose.

Nel 2006, quando WikiLeaks era stata fondata, non esisteva un solo grande giornale al mondo che offrisse alle sue fonti una protezione basata sistematicamente sulla crittografia: ci sono voluti anni prima che il più influente quotidiano del mondo, il “New York Times”, e altri grandi media si decidessero a adottarla, rifacendosi all’intuizione di WikiLeaks.

Stefania Maurizi Il Potere nascosto

 

 

 

 

RingraziandoVi dell’attenzione prestataci, a questo punto,  Vi invitiamo “ufficialmente” a usarci,  in ogni modo possibile,  per promuovere la candidatura del fondatore di wikileaks al Nobel;  e di promuovere in proprio la stessa candidatura, se Vi andrà, e se, soprattutto, sarete in grado di raggiungere quelle persone e quelle istituzioni “speciali”  in grado –  per davvero – di dare impulso al movimento popolare per fare in modo che il prossimo Nobel per la pace venga assegnato a Julian Assange. Grazie dell’attenzione e a presto ;)