La transizione digitale (seconda parte)

Seconda e conclusiva parte del nostro post dedicato all’esame dei contenuti di un panel dedicato alla “transizione digitale” e realizzato all’ultimo festival dell’economia di Trento. Ringraziando per l’ottimo lavoro di sbobinatura dei contenuti del panel  Marco Dal Pozzo, il nostro contributor, amico e ing. delle tlc grande appassionato di politica e giornalismo; affrontiamo i rimanenti temi discussi durante l’incontro dagli illustri relatori, che come forse ricorderete, erano il Ministro Vincenzo Colao, la giornalista Giovanna Pancheri e  il professore di economia della Bocconi Michele Polo.  La prima parte del post si concludeva evocando il Pnrr e i fondi dedicati alla digitalizzazione dei servizi del Paese. Argomenti molto centrati sulle attività di gestione della Pubblica Amministrazione. Ma la questione della cultura del controllo è ciò che blocca, a nostro avviso,  anche molte aziende private che non sono PA e che, per esempio, spingono i responsabili d’impresa a non cedere sugli aspetti del lavoro agile o su altri versanti. In altri termini, la questione centrale, per come la vediamo qui a bottega, continua ad essere più culturale che tecnologica. E non si potrà risolvere solo a colpi di milioni o miliardi di euro,  investendo in tecnologie all’avanguardia, e nemmeno assegnando  appalti miliardari alle OTT o loro derivati (per citare Lillo & Greg).

 

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           Super Cloud: qual è l’Agenda che ha in testa? Lei è stato chiaro nel guardare il modello Francese che usa tecnologia americana. La domanda che voglio farle riguarda il problema della privacy dei cittadini. Come la mettiamo?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Facciamo chiarezza: il problema è semplice: abbiamo il 93% dei server non in condizioni di sicurezza. Abbiamo visto che ci sono attacchi ovunque. Abbiamo bisogno di avere cloud  in cui tutti i dati siano tenuti in sicurezza. Abbiamo poi bisogno che queste informazioni siano interoperabili.  In questa direzione andremo quando realizzeremo il “Polo Strategico Nazionale”, anche in questo caso,  lo Stato,  si aspetta che entro fine Giugno arrivino  proposte (alcune italiane) per creare tale polo in modo sicuro.  Il Polo sarà articolato su due livelli: un livello locale; la PA locale potrà voler mettere le multe su cloud, ad esempio. E questa operazione, come altre a livello locale, potranno essere realizzate solo con soluzioni opportune  e approvate. Un secondo livello nazionale destinato  ai dati più sensibili come quelli su salute, difesa, e giustizia.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           Parlando di Big Tech e dei giganti americani, volevo chiederle un commento sulla tassa discussa dal G7 che sarebbe unificata al 15%. Supera la digital tax? L’Europa si è mostrata meno coraggiosa degli USA dove sappiamo che Biden aveva un obiettivo del 21%. Che ne pensa?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Parlare di omogeneità della tassazione internazionale è l’ inizio di un grande percorso. 15% o 21%? Va bene tutto per me. Forse però, il 21% non poteva funzionare,  perché nel G20 ci sono degli stati che hanno aliquote minori, quindi meglio il 15%. La questione importante è che in questo modo si da finalmente avvio ad  un accordo globale  per andare in una direzione comune sul gettito fiscale. Le multinazionali  stesse appaiono concordare con la scelta degli stati. è una cosa che vogliono.  Serve quindi ancora la digital tax locale? Solo finché non sarà approvata quella globale, poi non servirà più.

 

 

 

A proposito di tasse globali e di OTT, non trovate siano quanto meno “strane” le parole del Ministro rispetto al “gradimento” espresso dalle multinazionali digitali sulla proposta della tassazione internazionale? E non risultano ancora più strane le dichiarazioni fatte a caldo dagli stessi responsabili di tali compagnie? Gli stessi responsabili e le stesse compagnie che hanno architettato ogni sorta di possibile “escamotage”, legale, negli anni, per non pagare niente a nessuno, e possibilmente mai! Come ha scritto all’indomani dell’accordo internazionale, Nicola Zamperini, sul suo canale telegram “Disobbedienze”: non è un’imposta per colpire le Big Tech. Del resto sono state le stesse OTT ad esprimersi in modo a dir poco “equivoco” all’indomani della proposta degli stati. Il vice presidente degli affari globali di Facebook ha auspicato che la riforma fiscale internazionale riesca. Mentre il portavoce di Amazon ha detto che l’accordo del G7 segna un gradito passo avanti. I vertici di Google hanno infine espresso  l’auspicio:  affinchè i paesi continuino a lavorare insieme per garantire che un accordo equilibrato e duraturo venga concluso presto. Proprio una stangata per le OTT (siamo sarcastici). Ma torniamo al panel dove anche l’economista Michele Polo non sembra gridare al miracolo.

 

 

 

 

Michele Polo, professore di Economia Politica

–           I dati usciti in settimana sul fatturato di Microsoft e Google gridano vendetta. La decisione di ieri è importante come decisione di metodo: bisogna aggredire i paradisi fiscali. Ovviamente i paradisi fiscali possono nascere altrove quindi lo sforzo iniziato ieri non è certamente arrivato all’obiettivo.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           Parlando di equità sociale,  uno studio del 2013 (Osborne e Frey) sul futuro dell’occupazione negli USA rilevava che nel 2033, il 47% dei lavori esistenti quell’anno non ci sarebbe più stato. Cosa pensa del futuro del lavoro? Ci sono pessimisti che dicono che il capitale umano sarà sostituito da algoritmi e intelligenza artificiale. In che modo chi perderà il  lavoro riuscirà a mantenersi? Per loro ci sarà un Reddito di Cittadinanza o un sussidio. Oppure attraverso l’intervento dello Stato si potranno creare le opportunità per avviare nuovi percorsi professionali,  che adesso nemmeno possiamo immaginare?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Il merito di quello studio è stato quello di aver scioccato tutti. Anche fare l’avvocato, o il giornalista, o lo scrittore, potrebbe essere un mestiere a rischio.  Grande merito a Osborne e Frey, ma bisogna dire che il percorso di disintermediazione algoritmica andrà veloce. Ci sarà un periodo in cui una serie di lavori saranno poco attrattivi, ma nel frattempo ci sarà un’altra serie di lavori (pensiamo all’ambiente, preservazione del patrimonio paesaggistico; pensiamo al turismo) che saliranno. Avremo ad un certo punto un rischio di transizione – mentre i primi lavori scendono e gli altri lavori salgono – in cui lo Stato dovrà intervenire. Bisogna essere consci che come governi bisognerà gestire la coda di popolazione che non ce la farà a prendere il treno,  e al tempo stesso investire per i ragazzi e per la middle age perché possano prendere l’ascensore del secondo giro. Nei prossimi cinque, sei o sette anni, dovranno essere investite  risorse per mitigare il rischio della transizione. Nel 2013 si parlava di IA e Algoritmi a livelli alti. Vediamo oggi quanto le imprese possano lavorare a distanza. Questo è il mondo che stiamo costruendo e il compito dello stato è investire per gestire la transizione.

 

 

 

Michele Polo, professore di Economia Politica

–           Forse il ministro Colao è troppo ottimista. Recentemente ho assistito alla presentazione di una impresa tedesca per lo sviluppo legato al 5G: c’erano  slide in cui si raffigurava la fabbrica che verrà. In realtà parlavano di fabbriche già esistenti. A un certo punto, nelle slide, non erano presenti esseri umani. Operai. Impiegati. Addetti.  Non c’erano esseri umani, perché nell’ipotesi di sviluppo presentata dall’azienda tedesca,  non sarebbero necessari. Questo tipo di inquietudine ha riguardato ogni passaggio tecnologico:  pensiamo ai cocchieri quando nacque l’automobile. Colao è ottimista. Colpisce oggi, però, che IA e automazione tendano ad essere sostituitivi del lavoro “umano” in un modo che non ha precedenti. Non ho idea di dove andremo a parare, ho molti dubbi, e penso ci sia un problema di redistribuzione del reddito. Un problema che si devono porre anche le aziende stesse. In precedenza il lavoratore diventava,  alla fine delle otto ore di turno,  un consumatore di prodotto. Se tutto verrà sostituito dalle macchine, i prodotti da chi verranno acquistati, soprattutto se, per via del lavoro perso, le persone non avranno più capacità di spesa? Si tratta,  quindi,  di sostenibilità economica. Le proposte sono quelle di tassare i profitti e di redistribuire valore per generare nuova capacità di spesa. Ma io non riesco a capire quale sia la strada migliore.

 

 

 

 

Il concetto evocato dal Ministro Colao è forse quello di singolarità tecnologica. Come viene spiegato molto bene nell’enciclopedia Treccani: ” il termine,  è stato preso in prestito dalla fisica, dove descrive un punto dello spazio-tempo in cui la forza gravitazionale diviene infinita e quindi le normali regole teoriche non possono essere applicate perché non funzionano, un esempio di ciò è un buco nero o il Big Bang. Con il passare del tempo, la stessa definizione di singolarità si è adattata all’accelerazione tecnologica, indicando il momento in cui una civiltà cambia così tanto e rapidamente che le sue regole e le tecnologie sono incomprensibili per le generazioni precedenti. Considerata come un punto di non ritorno nella storia dell’uomo, non è molto diversa dal nostro concetto di “epoca” che definisce lo stesso tipo di cambiamento”.

Risulta strano, quasi incredibile, che, nel 2021, e con la velocità con cui cambiano le cose in seguito al progresso tecnologico, ci si ritrovi a citare e a ragionare dei risultati di  uno studio del 2013, non trovate? Colao detta una linea: lo Stato deve investire per mitigare i rischi dello squilibrio della transizione. L’equilibro, si intende, è quello tra chi perde il lavoro e chi lo deve trovare, tra chi si vede sostituito dalla tecnologia e chi invece quella tecnologia deve in qualche modo sfruttarla e migliorarla.

Le cosiddette “code” di cui parla il Ministro cosa dovranno dunque  fare? Quelli che perdono il  lavoro dovranno essere “banalmente” assistiti? O forse sarebbe meglio preparare tutti, “culturalmente” – scusate la ripetizione e l’inevitabile sottolineatura retorica – a questo tipo di “transizioni”, tutt’altro che banali, poco piacevoli, e  però purtroppo inevitabili?

Il professor Polo centra il punto secondo noi. Potremmo riassumere il suo ragionamento  usando il modello fordista: prima l’operaio comprava l’auto che produceva perché aveva i soldi per farlo. Se l’operaio perde il lavoro con quale denaro potrà mai acquistare il prodotto che prima produceva?

Se la tecnologia sostituisce il lavoro garantendo la stessa capacità produttiva all’impresa, le persone dove troveranno il reddito per vivere e comprare i prodotti, salvando in questo modo capra e cavoli?  Detto anche il modello capitalista.

E’ una questione di sostenibilità economica dell’impresa, quindi. Non soltanto una questione di sostenibilità sociale.

Michele Polo dice infatti che questo è un aspetto di cui le stesse imprese devono preoccuparsi!

La proposta di tassare i profitti e redistribuirli, in qualche modo,  per generare capacità di spesa, dice il professore, potrebbe essere dunque una buona scelta.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           La sostituzione tecnologica serve per incrementare la capacità produttiva: un robot non ha bisogno di pause caffè. Harari, in Homo Deus, ha visioni pessimistiche.

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Harari, ci parla di risorse intrinseche dell’uomo nel reinventare.  Sono un grande ottimista. Credo nel genere umano. Perché la società sa riadattare i propri modelli. Lo stipendio di un capo reparto sarà irrilevante perché non ci saranno più i capi reparto, ma lo stipendio di un operatore della sanità sarà tre volte quello di adesso. Questo scenario non è obbligatoriamente  un male. E’ importante gestire la transizione. Se c’è qualche attore che perde il proprio reddito bisognerà coprire e mitigare.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           Smart working. E’ convinto che sia un tipo di lavoro destinato a rimanere? Lo Stato che strumenti sta mettendo in piedi nell’immediato per rispondere alle esigenze sociali?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           Non sono un estremista. Mi piace mettere insieme il meglio di tutto. Andiamo incontro ad un modello misto evitando le angosce della presenza in ufficio e andando incontro alle esigenze familiari. Sono andato ad Hong Kong per una cena, se penso al footprint di quella cena…sono sciocchezze che abbiamo fatto, ma che non faremo più! Bisogna però dire che ci sono elementi della socialità del lavoro che non bisogna trascurare:  le riunioni su Zoom non lasciano niente,  il mentorship (l’esperto che insegna al più giovane) va fatto in presenza. Bisogna abilitare norme miste,  ma prima  bisogna fare in modo di creare un quadro generale che permetta tutto questo, per esempio quello normativo/giuridico e culturale. Molto dipende dal tipo di lavoro. Come Governo, sia per la PA sia per i privati, stiamo andando in quella direzione, con tecnologia di banda e cloud idonei; ma anche cercando di promuovere l’aspetto culturale.

 

 

 

La spinta del Governo sullo Smart Working sarà, oltre che infrastrutturale, anche culturale. Importante è la socialità del lavoro: un aspetto, quest’ultimo, che dalle parole di Colao sembra guardare più al (benefico?) effetto del contatto fisico per garantire il risultato, che al fatto sociale in sé. Si, insomma, la socialità del lavoro è più una questione necessaria perché altrimenti non si raggiunge l’obiettivo che una garanzia per la sanità mentale delle persone. La socialità vista come necessaria al raggiungimento dell’obiettivo aziendale è, per come la vediamo noi,  il freno allo Smart Working. Come se ne esce? Come si sostiene la battaglia culturale? Forse il fulcro della questione non è il lavoro, ma molto più banalmente la fiducia tra le persone.

 

 

 

Giovanna Pancheri, Corrispondente USA di Sky TG 24

–           Ministro, lei pensa che lo Smart Working penalizzi particolarmente le donne come sembrano raccontarci i numeri? La DAD resterà in qualche modo?

 

 

 

Vittorio Colao, Ministro per la Transizione Digitale

–           E’ un’arma a doppio taglio. Da una parte lo Smart Working può dare alle donne possibilità migliori di bilanciare vita e lavoro. Ma ci sono ancora talmente tanti pregiudizi che non essere di persona sul luogo di lavoro può rappresentare un handicap.  Non vorrei che con lo Smart Working si torni indietro rispetto ai risultati già raggiunti nell’inclusione femminile. Bisogna gestire i pregiudizi. Su Zoom gli uomini “interrompono” le colleghe, in presenza un po’ di meno.

 

 

 

Michele Polo, professore di Economia Politica

–           Tutti noi, costretti a lavorare forzatamente  da remoto abbiamo visto dove il sistema funzionava e dove no. La Didattica a distanza  è stata disastrosa, parlare in un aula vuota è stata una esperienza brutta. La ricerca ne ha beneficiato. Un aspetto che tutti noi abbiamo visto è la dimensione sociale del lavoro: qualcosa che non è produttività, non è salario, non è la funzione di produzione, ma è fondamentale nell’esperienza di lavoro. Questa cosa è mancata completamente.

 

 

 

Osservazioni finali
  •         Le infrastrutture digitali hanno retto con la pandemia, ma con il 5G si avrà uno sviluppo mai visto. La questione nasce spontanea: se l’infrastruttura digitale ha retto, perché non fare solo puntellamenti? Quali sono i reali obiettivi dell’infrastruttura 5G?

 

  •       La questione dell’innovazione digitale sembra più una cosa riguardante la pubblica amministrazione. Per altro, da quel che dice il Ministro Colao, si tratterà di affiancare agli uffici comunali delle professionalità e delle competenze dei giovani per un periodo di 5 anni. Ed è ovvio che, se stanno così realmente le cose, la riflessione che sorge spontanea è: perchè non avviare  un turnover che lasci il posto a forze più  fresche? Perché – almeno così sembra – se si dice che le nuove professionalità avranno spazio solo  per cinque anni, si sta ammettendo che le strutture saranno conservate così come sono, in seguito. Indubbiamente la questione è molto complessa, e merita ulteriori studi e approfondimenti.

 

  •       Gestore unico della rete: l’obiettivo è portare la connettività dappertutto. Questo dice il Ministro: chiederemo a tutti gli attori (fissi, mobili, privati e statali) quali sono gli investimenti che intendono fare sulla parte fibra e sulla parte 5G. E infine trarremo le nostre conclusioni.  Vedremo le aree che non sono soddisfacenti dal punto di vista dell’interesse dei cittadini e metteremo soldi pubblici a disposizione degli operatori che dimostreranno di essere efficienti nel fornire soluzioni. Se poi alcuni operatori si consorzieranno, non sarà lo Stato ad orchestrare operazioni in tal senso. Solo se dovessero insorgere dei problemi allora lo Stato potrà intervenire, ma a quel punto si tratterà di un intervento a favore dell’interesse dei cittadini  e non delle imprese. Infine una sottolineatura tecnica. Quando si parla di 5G per portare la connettività a cosa si sta pensando? Se il 5G in questione  significa: la tecnologia necessaria per realizzare il FWA,  è un conto. Diverso e da indagare sarebbe il caso in cui il 5G venga utilizzato come  “abilitatore” di connettività mobile: in questo caso servirebbe  una approfondita analisi degli effettivi bisogni dei singoli territori.

 

  •      Veniamo  alla PA: per il professor Polo manca, oltre che la condivisione della missione della PA, l’interoperabilità delle informazioni. L’interoperabilità della PA, e su questo concorda anche Colao, è un aspetto più culturale che infrastrutturale. Da un punto di vista culturale si tratta di superare la resistenza degli uffici della PA a cedere e a condividere dati che normalmente sono stati fisicamente residenti in quegli uffici.  Questo approccio  ha fatto credere ai dirigenti degli uffici di poter esercitare sui dati  e attraverso l’uso dei dati,  una qualche forma di potere e controllo. Un aspetto culturale che va obbligatoriamente superato. Mentre per la componente puramente infrastrutturale la scelta ricadrà sulla soluzione migliore (domestica o meno) per garantire la maggiore sicurezza possibile.

  •       Sostituzione del lavoro. Per Colao c’è una curva in salita su alcuni impieghi (ambiente, salvaguardia del territorio, turismo) e in discesa su altri (lavori sostituiti dall’automazione industriale); lo Stato dovrà intervenire nel momento in cui le curve si uniranno, un momento in cui – come dice Michele Polo – le persone avranno meno capacità di acquisto per la riduzione dei redditi perché sono diminuiti i lavoratori. Colao spinge sull’ottimismo e, quindi, presuppone che queste curve si incontreranno in un momento di sostanziale equilibrio e che lo Stato saprà intervenire. Polo, però, sostiene che questo è un problema di cui le stesse industrie dovranno farsi carico.   Quale potrà essere la soluzione? Tassare i profitti da redistribuire perchè aumenti la capacità di spesa delle persone? Questo – possiamo aggiungere – potrebbe essere un modo per “definire la misura” del Reddito di Cittadinanza? In che modo una simile misura potrà essere legata  alla proposta del G7 per una tassazione globale al 15%?

 

  •       Smart Working. Si andrà – per Colao – verso una situazione mista, sia per la PA sia per i privati. Ma occorre salvaguardare la socialità del lavoro. E qui possiamo riflettere su un aspetto: per socialità si intende solo lo “strumento” per raggiungere l’obiettivo aziendale oppure si intende un necessario abilitatore della realizzazione della persona umana (pensiamo agli ultimi gradini della Piramide di  Maslow). Da che parte stanno le soluzioni? Probabilmente, visto che uno dei freni allo Smart Working da parte dei datori di lavoro è che il lavoro da casa non è efficiente, le questioni da porre sono:
  1. La misura del raggiungimento degli obbiettivi personali
  2. La fiducia tra persone.