Google: interviene anche il governo spagnolo, ma l’ accordo francese è esportabile in Usa?

G Dopo gli editori portoghesi che, alle prese con la peggiore recessione dagli anni Settanta,  hanno avviato forti pressioni su Google chiedendole di pagare per i contenuti giornalistici ripresi dal motore di ricerca, anche la Spagna scende in campo chiedendo soldi, con l’ intervento diretto del ministro dell’ industria, José Manuel Soria. 

 

In Usa intanto ci si chiede se l’ accordo raggiunto qualche settimana fa con gli editori e il governo francese  non sia esportabile negli Usa. E la risposta è: molto difficile, ma non sarebbe del tutto fuori luogo.

 

Sullo sfondo poi la decisione presa dalle Authority di sei paesi europei, tra cui l’Italia, di intraprendere un’ azione comune per costringere Google a rispettare le normative dell’ Unione Europea sulla privacy*.

 

In Spagna nei giorni scorsi il ministro Soria ha annunciato di essere disposto a studiare un accordo fra i media e Google con cui il motore di ricerca compensi gli editori per l’ utilizzo di parte dei loro contenuti da parte di Google News.  ‘’Il governo è disposto a verificare un accordo analogo a quello che è stato raggiunto in Francia’’, ha detto il ministro in una intervista al giornale Expansión.

 

Si tratta del patto siglato il primo febbraio con cui Google ha accettato di versare 60 milioni di euro in un fondo destinato a favorire lo sviluppo digitale dei media d’ Oltralpe. Un accordo che aveva chiuso un lungo contenzioso, analogo a quello che la grande G aveva sostenuto in Belgio e Germania.

 

In Spagna l’ Associazione degli editori di giornale (AEDE) aveva avanzato una richiesta analoga nel novembre scorso,  ma fino ad ora nessun membro del governo la aveva fatta propria.

 

Intanto su Poynter  Rick Edmonds, proprio partendo dall’ accordo col presidente Hollande,  si chiede: ma ci sarebbe anche negli Stati Uniti qualche possibilità che Google possa alleviare le sofferenze degli editori americani con una misura analoga?

 

Una prima considerazione – dice Poynter – è venuta da Fréderic Filloux che,  estrapolando i dati francesi ed adattandoli al mercato americano,  ha calcolato in almeno 2,6 miliardi di dollari il contributo che Google dovrebbe versare a un analogo fondo Usa.

 

Ma, aggiunge Edmonds, la mia domanda può sembrare retorica: le chance che Google possa essere indotta a fornire un aiuto di quel genere agli editori Usa sono prossime allo zero e per una serie di motivi interessanti:

 

– una minaccia di intervento governativo negli Usa non è neanche sul tavolo

– i lobbisti e i legali di Google qui sono particolarmente efficaci, anche perché Google negli Usa è una sorta di eroe nazionale, la più grande fra i giganti tech

– Google ha accordi di royalties con l’ Associated Press e altre testate. Gli editori Usa utilizzano i prodotti AdSense nel campo pubblicitario e aumenta costantemente il traffico che Google indirizza verso le testate americane

– tutto questo rende l’ editoria Usa, nella pratica, molto più deferente che combattiva.

 

Tuttavia, osserva, vi è al fondo una questione di proporzionalità, che l’ accordo francese solleva di nuovo. Google ritiene giustamente di giocare un ruolo costruttivo nella diffusione dell’ informazione giornalistica con benefici sostanziali per i suoi produttori. Ma evita di considerare il fatto che dirotta verso di sé e succhia la linfa vitale dei nuovi e vecchi flussi pubblicitari per miliardi di dollari.

 

Google ha fatto molto di più della sua parte di distruzione creativa dei mezzi di informazione tradizionali, e la sua posizione dominante mina la sostenibilità anche delle startup digitali. Non mi sembra di avere molte persone che la pensano come me, ma credo che la società e i suoi filantropi avrebbero potuto permettersi di fare molto di più per garantire che il nucleo di base dell’ informazione giornalistica non si estinguesse.

 

Gli esempi europei – conclude Edmonds – suggeriscono che quando la temperatura sale, l’ azienda risponde.

 

E quindi…

 

 

*Oltre all’Italia si sono mosse la Francia, la Germania, la Gran Bretagna, l’Olanda e la Spagna, “sulla base delle disposizioni previste dalle loro leggi nazionali, per indurre Google a modificare la sua politica sulla privacy e ad allinearla alle normative europee”. Il Garante per la privacy italiano, da parte sua, ha aperto un’istruttoria nei confronti di Google “per verificare il rispetto della disciplina sulla protezione dei dati personali e, in particolare, la conformità dei trattamenti effettuati dalla società di Mountain View ai principi di pertinenza, necessità e non eccedenza dei dati trattati nonché agli obblighi riguardanti l’informativa agli utenti e l’acquisizione del loro consenso”.