Giornaliste freelance, e la chiamano professione

Donna-freelance
Hanno prevalentemente fra i 30 e i 50 anni, sono sposate o conviventi, ma non hanno figli. E lavorano anche 12 ore al giorno. Per molte di esse (quasi il 70%) l’ essere freelance ha influito in modo significativo sulla famiglia o sulla decisione di averne una: è un lusso che non possono permettersi o, comunque, faticano a gestire, dividendosi tra più lavori senza poter contare su uno stipendio sicuro e adeguato e sull’effettivo supporto di partner, famiglia e strutture pubbliche. Mentre i servizi privati sono eccessivamente onerosi per il 30% delle intervistate, libere professioniste spesso foglie al vento senza garanzie, vittime di ricatti economici dell’editore e delle tensioni nelle redazioni

E’ la sintesi di una ricerca sulle condizioni di lavoro e di vita delle giornaliste freelance – “Donne freelance: la famiglia è un lusso?”  – presentato ieri al il Circolo della Stampa di Milano.

 

Lo studio è stato realizzato dal gruppo ‘’Formazione’’ di Nuova Informazione (composto da Monica Bozzellini, Beppe Ceccato, Paola Manzoni e Barbara Pedron, con il coordinamento di Maria Teresa Manuelli) ed è stato condotto su un campione di 600 giornaliste libere professioniste della Lombardia. Il lavoro è stato raccolto in un volume, il secondo della collana ”I quaderni di Nuova Informazione”.

 

Non solo dati, ma soprattutto tante (e spesso drammatiche) testimonianze dirette delle intervistate che pagina dopo pagina compongono il profilo di quella che un tempo veniva vista come una figura di lavoratrice “privilegiata” e che oggi, invece, è tutt’altro che invidiabile.

 

Il 35,3% del campione interpellato lavora con collaborazioni occasionali o ritenuta d’acconto, ma c’è anche un 12,1% che presta la propria attività senza nessun contratto. Il 27,3% dichiara, addirittura, di lavorare fissa in redazione con contratti da freelance: un controsenso.

 

 

Alcuni dati aggiuntivi: il 62,7% è sposata o convivente, ma quasi il 60% non ha figli. Il 17% è single con figli e spesso la gestione della famiglia è totalmente sulle sue spalle, non supportata da un welfare adeguato. Per questo, un ulteriore 14% delle single con figli è costretta a vivere presso la famiglia d’origine.

 

Molte sono “freelance forzate”, a causa di licenziamenti/crisi aziendali (45,8%), nascita di un figlio (7,2%) e necessità di dedicarsi alla famiglia (3,9%). C’è, però, anche un 29,4% che ha scelto di essere libera professionista.
Per chi non può contare su un altro lavoro stabile a pesare maggiormente è la precarietà esistenziale, che destabilizza la persona e la vita sociale.

 

“Le 600 colleghe che hanno risposto al sondaggio ci raccontano di un disagio professionale che diventa anche personale – ha commentato Maria Teresa Manuelli, coordinatrice del gruppo Formazione – e rappresenta un punto fermo del dibattito attorno a una ineludibile riforma futura della nostra categoria che abbatta le barriere contrattuali e consideri le giornaliste nel loro complesso per quello che sono: un patrimonio che non può essere disperso e sacrificato”.

 

Ma anche chi un contratto da giornalista a tempo indeterminato ce l’ha, se da un lato può contare su una maggiore sicurezza economica, dall’altro si trova a lottare contro i pregiudizi e le esclusioni di una categoria ancora tutta prevalentemente al maschile (come aveva d’ altronde dimostrato una indagine comparativa sui percorsi di carriera delle giornaliste e dei giornalisti italiani a cura dell’ Osservatorio di Pavia e del  Gruppo sulle Pari Opportunità del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti).

 

Nonostante livelli di qualificazione più alti, infatti, solo il 14% delle giornaliste riesce a raggiungere i gradi più elevati di carriera (direttrice, caporedattrice), contro il 27% degli uomini.