Grandi opportunità per il giornalismo, ma quale mestiere? E quale industria editoriale?

‘’Abbiamo bisogno di buon giornalismo. E abbiamo bisogno di un’industria editoriale dietro il giornalismo, che sopporti i costi necessari. Da quelli utili a finanziare la copertura delle notizie nel mondo, a quelli del giornalismo di inchiesta, alla retribuzione del giornalista stesso’’.

Giuseppe Granieri, in un intervento sul suo blog sull’ Espresso (di cui riportiamo ampi stralci),  continua la sua analisi sulle ‘’tendenze che stanno ridisegnando il giornalismo’’ e disegna molto bene i processi che stiamo vivendo. Sottolineando, nello stesso tempo, la necessità di cominciare sin da ora a ‘’ripensare in maniera più profonda l’ intero mondo del giornalismo, dal mestiere al modello di sostenibilità’’.

 

 

Granieri Conferma di non essere ottimista sul futuro della carta, ma ‘’questo – dice – non vuol dire essere pessimisti. Tutt’altro’’. Sono invece convinto – aggiunge – che si stiano ‘’aprendo moltissime opportunità, che prima non erano pensabili  per il giornalismo di qualità. E credo che il Grande Problema sia trovare un modo per retribuire i giornalisti e per pagare i costi del buon giornalismo. Il che significa -in soldoni- provare a immaginare uno scenario a 5-7 anni, che consenta di elaborare una strategia per arrivare a questo risultato’’.

 

Granieri per ora non prova a delineare un abbozzo di scenario. Ma in compenso traccia un quadro molto chiaro delle tendenze in atto, che – spiega – ‘’da un lato non sembrano essere reversibili e dall’altro ci dicono molto più dell’osservazione del presente’’.

 

La carta ha finito il suo ciclo, mentre il digitale lo sta appena iniziando.

 

In uno scenario in cui la grande massa delle persone (dei paesi occidentali) disporrà di dispositivi e connettività, ‘’si affideranno alla carta solo i laggards, ovvero coloro che non dispongono degli strumenti culturali e dell’ alfabetizzazione per accedere alla più competitiva forma di informazione digitale. Un pubblico che non è interessante dal punto di vista industriale e che tenderà a restringersi anno dopo anno.
È una tendenza di cui vediamo segnali già forti oggi’’.

 

E’ chiaro che si determinerà ‘’una continua erosione della diffusione della carta’’.

 

E con questa erosione diventerà sempre più traballante il meccanismo delle ‘’tre gambe’’ ‘’su cui storicamente ha puntato la sostenibilità della carta’’: vendite, abbonamenti e raccolta pubblicitaria. Se la diffusione della carta si riduce, si riducono i ricavi di vendite e abbonamenti. E gli acquirenti di pubblicità avranno un interesse calante a comprarla sui giornali di carta.
I ricavi crollano. E la scelta industriale (che già stanno facendo molte testate nel mondo) sarà obbligata: edizione solo digitale.

 

Nel contesto che si va profilando – aggiunge Granieri – ‘’non sono più gli editori di news (come accadeva con la carta) a dividersi la torta della raccolta pubblicitaria. Ci sono sempre più opzioni per gli inserzionisti e i concorrenti più forti diventano le organizzazioni agili, poco costose, che interpretano bene il modo in cui oggi la gente vuole informarsi.

 

L’effetto collaterale è che anche il valore della pubblicità  si abbassa. E quindi anche i ricavi che genera’’.

 

Le soluzioni?

 

Questo è il punto che raccoglie la domanda da milioni di dollari. Tutti, oggi, stanno cercando una soluzione a questo problema. Le soluzioni vanno dal paywall alla ricerca della massima diffusione per massimizzare i ricavi pubblicitari.

Però forse, se consideriamo realistico questo scenario, occorre cominciare a ripensare in maniera più profonda l’ intero mondo del giornalismo, dal mestiere al modello di sostenibilità.

 

Cinque anni nel digitale passano molto in fretta e cambiano il mondo come 25 anni nel ventesimo secolo. E poiché le organizzazioni non sono velocissime a interiorizzare i cambiamenti, potrebbe essere utile cominciare a rifletterci sin da ora’’.