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TV: l’anomalia italiana

La legge Gasparri

‘’Non si ha un’ apertura dei mercati dei media al gioco della concorrenza, garantendo il rispetto del pluralismo dell’ informazione; non si incide significativamentesull’ attuale struttura del mercato televisivo, allo scopo di ridurre la situazione di elevata concentrazione che attualmente lo caratterizza negativamente e non si scardina una situazione che è contro le norme comunitarie e che conferma l’ occupazione di fatto di tutte le risorse’’.

di Francesca Anania, docente di Storia delle comunicazioni di massa alla Sapienza

(da Breve storia della radio e della televisione italiana, Carocci, novembre 2004)

L’ introduzione di una nuova normativa di riassetto del sistema radiotelevisivo nazionale rappresenta un passaggio essenziale per l’ affermazione di effettive condizioni concorrenziali sul mercato dei media e di quelle televisivo in particolare; condizioni che finora non sono state garantite.

Il superamento del monopolio pubblico del settore radiotelevisivo non ha prodotto un mercato adeguato a garantire il pluralismo dell’ informazione. Il mercato televisivo nazionale, infatti, è caratterizzato da un elevato livello di concentrazione, nonché dalla presenza di barriere all’ entrata, economiche ed istituzionali, tali da ostacolare l’ingresso e impedire la crescita a potenziali nuove società.

(…..)

Si è dunque costituito un mercato poco dinamico e caratterizzato da un basso grado di innovazione: il tasso di concentrazione*, in termini di audience share dei primi due gruppi televisivi (Rai e Mediaset), pur partendo da livelli estremamente elevati (nel 1992 era pari all’ 89 per cento), si è ulteriormente incrementato, raggiungendo a fine 2001, il 90,2%, valore che non eguali in Europa..

Una situazione di questo genere si riflette inevitabilmente anche sul mercato della raccolta pubblicitaria sul medium televisivo, che presenta in Italia un tasso pari al 96,8%. Mentre in Europa si hanno valori meno elevati, pari all’ 88% della Germania, all’ 82 della Gran Bretagna, al 77 della Francia e al 58 della Spagna.

Una situazione che la legge Gasparri rischia di accentuare.

1) – Le previsioni in materia di assegnazione delle frequenze rischiano di creare discriminazioni fra imprese che operano nelle trasmissioni televisive in ambito nazionale su frequenze terrestri o che comunque hanno ottenuto una concessione. La norma in forza della quale anche i soggetti privi di titolo abilitativi sono autorizzati di diritto alla prosecuzione dell’ esercizio dell’ attività radiotelevisiva, determina infattil’ effetto di legittimare quelle società che finora hanno operato, occupando, in virtù di provvedimenti temporanei intervenuti ex post, le frequenze. Ciò a scapito di quei soggetti che, pur in possesso della concessione, dopo una procedura di selezione concorsuale, non sono stati tuttavia posti in grado di esercitare l’ attività economica, non essendo stati immessi nell’ uso delle frequenze.

Il perpetuarsi di tale situazione rischia di compromettere la certezza del sistema delle regole, che governa i meccanismi di selezione competitiva e che guida le corrette dinamiche di mercato, cristallizzando la struttura duopolistica venutasi a creare un questi anni**.

Il meccanismo prefigurato nel disegno di legge non appare in linea con il sistema previsto dalle nuove leggi comunitarie in materia di comunicazioni elettroniche, che considera le frequenze un bene scarso, ma indispensabile per operare in molti dei mercati del settore delle comunicazioni, di conseguenza la loro allocazione e assegnazione devono essere fondate su criteri obbiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati.

2) – L’ altro elemento alquanto strano è il limite al cumulo dei programmi nella cosiddetta fase transitoria. La legge prevede dei limiti al cumulo di programmi televisivi o radiofonici e alla raccolta delle risorse nel sistema integrato delle comunicazioni. Il limite del 20 per cento alla titolarità di autorizzazioni per la diffusione di programmi televisivi o radiofonici sarà tuttavia operativo a regime con il definitivo abbandono della trasmissioni in tecnica analogica terrestre. Ma la durata di tale periodo transitorio, essendo legata all’ introduzione della tecnologia digitale terrestre, rischia di protrarsi a lungo: in Italia – a differenza di paesi quali il regno unito, la Spagna, la Svezia, la Finlandia e l’ Olanda è solo nella fase iniziale.

Nel frattempo la legge consente la prosecuzione nell’ esercizio dell’ attività radiotelevisiva, in deroga al limite del 20 per cento al cumulo di programmi televisivi o radiofonici irradiabili su frequenze terrestri in ambito nazionale. Pertanto il mercato nazionale continuerà ad essere privo, differentemente dagli altri paesi della Comunità europea, di una efficace disciplina dei limiti alle concentrazioni di tipo orizzontale (ossia tra imprese operanti nel medesimo mercato).

Nella fase transitoria resta invece applicabile il limite della raccolta di risorse nel cosiddetto Sic (‘’sistema integrato delle comunicazioni’’), espresso in termini di rapporto tra i ricavi di un operatore sul totale delle risorse del Sic. Ma in questo settore si includono mercati fra loro molto distanti: produzione e distribuzione radiotelevisiva, qualunque ne sia la forma tecnica, editoria quotidiana, periodica, libraria, elettronica, anche per il tramite di internet, produzione e distribuzione cinematografica, industria fonografica, raccolta pubblicitaria.

Risulta quindi difficile ipotizzare forme di collegamenti concorrenziali tra prodotti e servizi di natura così diversa, quali le sponsorizzazioni televisive e la vendita di prodotti musicali, piuttosto che la commercializzazione di prodotti editoriali e la raccolta pubblicitaria sugli annuari telefonici.

In questo modo appare improbabile una rigorosa apllicazione dei principi e delle metodologie proprie dell’ antitrust, perché le attività di un operatore in posizione dominante nel settore delle telecomunicazioni non possono non essere regolamentate con riferimento a quello specifico comparto.

3) – Infine la legge impone un limite, pari al 20 per cento dei programmi televisivi, soltanto a coloro cheforniscono contenuti e nonanche agli operatori di rete. La mancata previsione di una soglia per tutti coloro che operano nel settore delle comunicazioni audiovisive permette in realtà il trasferimento dell’ attuale duopolio nel mercato nazionale televisivo in analogico al futuro mercato in digitale.

Inoltre, Rai e Mediaste, liberi di acquisire una posizione dominante nel mercato delle infrastrutture relative alle trasmissioni, potranno controllare, nonostante il limite alla fornitura di contenuti televisivi, la futura evoluzione della struttura competitivadel settore, essendo in grado di condizionare l’ accesso al mercato a valle e riproponendo, quindi, questioni e problematiche tipiche del settore delle telecomunicazioni fisse.

4) – Non si prevede alcuna limitazione alla raccolta per le concessionarie pubblicitarie controllate dalle emittenti pubbliche o private. Si eliminano i limiti all’ integrazione tra editoria e televisione, e, nell’ attuale contesto normativo, si va verso un ulteriore riduzione della concorrenza e del pluralismo dell’ informazione. Infatti, a differenza del mercato televisivo, quello dell’ editoria di quotidiani e periodici è caratterizzato dalla presenza di una pluralità di gruppi in competizione; il tasso di concentrazione dei primi quattro operatori risulta infatti inferiore al 45 per cento.

Ne consegue che l’ assenza dei suddetti limiti rischia di determinare una sostanziale riduzione degli indipendenti presenti in Italia. In secondo luogo l’ esperienza internazionale mostra che devono, comunque, essere mantenuti dei limiti alla detenzione di partecipazioni azionarie incrociate (cross ownership) tra gruppi editoriali e televisivi.

5) - Il servizio pubblico

Il servizio pubblico sembra fortemente penalizzato da una serie di obblighi contabili e finanziari (un regime di doppia contabilità per l’ attribuzione delle fonti di costi alle due diverse attività di servizio pubblico e di mercato), da vincoli alla struttura azionaria, nonché dai limiti alle attività strategiche della Rai (divieto della cessione di rami d’ azienda).

La Rai, che opera sui mercati azionari, dovrà competere nella raccolta pubblicitaria, massimizzando i propri profitti. La creazione di una società quotata in borsa, dotata peraltro di peculiari regole di corporate governance, che non garantiscono un controllo stabile da parte degli azionisti delle attività del management, sembra essere incoerente con l’ obbiettivo di affidare, per concessione e sulla base di contratti di servizio stipulati con il Ministero delle Comunicazioni e gli enti locali, lo svolgimento del servizio pubblico generale.

Di conseguenza, con la nuova struttura organizzativa, la Rai non riuscirà a svolgere in modo efficiente l’ attività di servizio pubblico generale e contemporaneamente competere efficacemente con gli altri operatori nel mercato della raccolta pubblicitaria, assicurando un’ adeguata pressione concorrenziale nei riguardi di Mediaste.

Sarebbe in questo senso più opportuno prendere ad esempio la Gran Bretagna con la BBC e Channel 4, due società distinte: la prima con obblighi di servizio pubblico generale finanziata attraverso il canone, la seconda a carattere commerciale, che finanzia le proprie attività attraverso la raccolta pubblicitaria.

Conclusioni

In conclusione, non si ha un’ apertura dei mercati dei media al gioco della concorrenza, garantendo il rispetto del pluralismo dell’ informazione, non si incide significativamentesull’ attuale struttura del mercato televisivo, allo scopo di ridurre la situazione di elevata concentrazione che attualmente lo caratterizza negativamente e non si scardina una situazione che è contro le norme comunitarie e che conferma l’ occupazione di fatto di tutte le risorse.

* Il tasso di concentrazione è calcolato come la somma tra le quote di mercato, in termini di audience annuale, dei primi due gruppi televisivi (dati European Investment Bank e European Broadcasting Union)

** Tale effetto negativo discende dalle disposizioni della legge che sostanzialmente sanano quella situazione che la Corte costituzionale, con sentenza n. 466/2002, ha definito di ‘’occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell’ etere’’.

 

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Oppure visualizza il contenuto del dossier:

Emilio Rossi: la bandiera della privatizzazione è una resa all’auditel

L’ anomalia italiana e il digitale terrestre
di Marco Mele (Il Sole 24 ore)

La legge Gasparri

Il servizio pubblico nei principali paesi europei

La direttiva europea:
“Televisioni senza frontiere”

Nei collegamenti sulla destra di questa pagina troviamo una serie di documenti sulla situazione italiana, a partire dal discorso del presidente Ciampi del 13 dicembre (“qualunque sia l’assetto della televisione pubblica italiana, essa deve conservare, rafforzare, migliorare sempre di più la sua attività di servizio pubblico”), alla lettera di Enzo Biagi sulla privatizzazione della Rai, dagli articoli di Romano Prodi e Giovanni Sartori sul futuro della Rai alle posizioni “eccentriche” di Franco Debenedetti (“Servizio pubblico? Un’idea da preistoria”), fino alla risoluzione del Consiglio d’Europa (1387/2004) su “Monopolio dei media e possibile abuso di potere in Italia”

(Pino Rea.)

INTERVENTI SULLA RAI

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Intervento del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

Enzo Biagi: lettera sulla privatizzazione

Introduzione di Roberto Natale al Confronto sulla privatizzazione Rai sede Fnsi, 21 dicembre 2004

Prodi: la Rai va divisa in due. Allo Stato il servizio pubblico

Rai, che fare? Una proposta per Prodi di Giovanni Sartori

Una Rai liberata di Giovanni Sartori

Tv, servizio pubblico? Un’idea da preistoria Di Franco Debenedetti

I falsi (e veri) limiti della legge Gasparri di Franco Debenedetti

Risoluzione del Consiglio d’Europa 1387 (2004): Monopolio dei media e possibile abuso di potere in Italia

In casa molta tv poco dialogo