L’indice o il medio della civiltà (repetita iuvant)

La Civiltà è come recita il vocabolario enciclopedico della Treccani:

 civiltà s. f. [dal lat. civilĭtasatis, der. di civilis «civile»]. – 1. La forma particolare con cui si manifesta la vita materiale, sociale e spirituale d’un popolo (eventualmente di più popoli uniti in stretta relazione) – sia in tutta la durata della sua esistenza sia in un particolare periodo della sua evoluzione storica – o anche la vita di un’età, di un’epoca. Sotto l’aspetto storico e etnologico, il termine è riferito non soltanto ai popoli socialmente più evoluti della storia lontana o recente (le grandi c. del passato, c. egiziana, c. assirobabilonese, c. latina, c. slava, c. dei popoli anglosassoni, la c. occidentale, ecc.) ma anche ai popoli primitivi o meno evoluti, estendendosi a designare anche le varie forme di vita di popoli preistorici, ricostruite per merito della paletnologia e dell’archeologia (per es., la c. acheuleana, la c. del bronzo, la c. del ferro, ecc.). Con questo sign. più ampio e più «neutrale», il termine si approssima a quello di cultura (che ha avuto peraltro nella letteratura scientifica definizioni più precise). 2. Nell’uso com. e più tradizionale, è spesso sinon. di progresso, in opposizione a barbarie, per indicare da un lato l’insieme delle conquiste dell’uomo sulla natura, dall’altro un certo grado di perfezione nell’ordinamento sociale, nelle istituzioni, in tutto ciò che, nella vita di un popolo o di una società, è suscettibile di miglioramento. È con questo sign. che il termine è inteso in espressioni quali: portare la c.; il sorgere della c.; i principî, i frutti, la luce della civiltà e sim.; in altre invece, con partic. qualificazioni, indica caratteristiche forme e livelli di organizzazione della vita associata: la c. del benessere, la c. dei consumi, la c. tecnologica, la c. delle macchine; l’avvento della c. di massa. 3. In rapporto a un altro sign. dell’agg. civile, urbanità, cortesia, buona educazione: trattare, parlare, comportarsi con c.; non hai ancora imparato le regole della c. (o della buona c.); quel che al notaio parve un segno mortale, i soldati eran pieni di civiltà (Manzoni).

 

 

Un paio di anni fa segnalavamo la creazione di un “indice di civiltà digitale”.

In appendice ai risultati di una ricerca realizzata dagli esperti di Microsoft che suggeriva a tutti, al mondo intero, ma soprattutto alle techno-corporation per dirla come dice Nicola Zamperini, tre comportamenti da tenere per innalzare l’indice di civiltà nel nostro mondo, oramai, all digital:

 

 

1) Creare e far partecipare i propri utenti alla realizzazione di ambienti online in modo trasparente, chiarendo da subito le finalità di ogni ambiente, e che a tali comunità parteciperanno persone di ogni tipo e provenienti da tutto il mondo.

 

 

2) Creare e rendere operativo un codice di condotta in cui vengano chiarite in modo esplicito quali comportamenti siano incentivati e da incentivare e quali penalizzati e da sanzionare. Queste regole dovranno tenere conto dei diritti fondamentali di libertà, espressione e sicurezza dei cittadini.

 

 

3) Offrire rimedi e facile scorciatoie tecnologiche per mettere a punto risposte e strategie di difesa accessibili e facilmente realizzabili da tutti.

 

 

Lo scenario l’abbiamo raccontato due anni fa. In estrema sintesi e per non annoiarVi vorremmo riepilogarlo brevemente: Microsoft ha realizzato una ricerca sugli abusi online. Al termine dello studio per far salire l’indice di civiltà nei nostri comportamenti online,  alle società tecnologiche, quindi forse anche a se medesimi, gli esperti di Microsoft hanno messo a punto una linea d’azione da adottare, composta principalmente dai tre punti che abbiamo riportato qui sopra. Alla luce di quello che è successo nel mondo negli ultimi due anni, verrebbe da dire che il nostro “indice di civiltà digitale”, non sia certo salito in questi 700 e passa giorni, anzi, forse è persino ulteriormente diminuito rispetto a come veniva rappresentato in quella ricerca. Come mai questo aspetto è così importante,  e ci fa tremare i polsi vedere che da allora ad oggi non è avvenuto nulla di rilevante in questo senso, ma anzi, molte cose sono peggiorate?

 

 

Riprendiamo il punto uno dei suggerimenti emessi dagli analisti di Microsoft nel rapporto diramato a fine ricerca: Creare e far partecipare i propri utenti alla realizzazione di ambienti online in modo trasparente, chiarendo da subito le finalità di ogni ambiente, e che a tali comunità parteciperanno persone di ogni tipo e provenienti da tutto il mondo. 

Sembra quasi irreale leggere e rileggere questo consiglio e poi pensare, ad esempio, a tutta la cosiddetta:  “questione algoritmica” che nel frattempo è prepotentemente balzata agli onori delle cronache, via via in modo sempre più insistente a partire dall’oramai celeberrimo  scandalo: Cambridge Analytica. Ma lasciamo perdere le storture del presunto controllo sul nostro operato e dell’invasione ripetuta e diffusa sulla nostra privacy messa in atto da Facebook nei nostri confronti, di cui si è parlato e si parla, ancora e ancora;  e concentriamoci sulla questione della trasparenza. In fondo è proprio lì che sta il mattone che regge tutta l’architettura, quella pietruzza angolare che se malamente spostata farebbe cadere tutto il castello. La trasparenza. “Ogni cosa è illuminata”, se potessimo permetterci il lusso di usare il titolo di un film di qualche anno fa, così definiremmo la nostra quotidianità. E badate bene non lo diciamo noi, bensì gli analisti di una delle famigerate OTT che volenti o nolenti si stanno spartendo il mondo, fettina dopo fettina, anno dopo anno. Gli esperti lo proclamano, e gli stessi esperti invitano se stessi e tutti gli altri ad esercitare questa opzione, per far salire l’indice di civiltà digitale del mondo: aumentiamo tutti il nostro livello di trasparenza, facciamo partecipare le persone alla creazione del mondo nuovo, quello digitale, – che nuovo non è – ma che necessita di maggiore chiarezza;  fornendo loro tutte le informazioni – anche su di noi OTT e sui nostri potenti marchingegni, i fantomatici algoritmi – in modo aperto e condivisibile.

 

 

E non vogliamo forse  ribadire anche  il punto 2 delle conclusioni della ricerca di Microsoft? Creare e rendere operativo un codice di condotta in cui vengano chiarite in modo esplicito quali comportamenti siano incentivati e da incentivare e quali penalizzati e da sanzionare. Queste regole dovranno tenere conto dei diritti fondamentali di libertà, espressione e sicurezza dei cittadini.

Ancora trasparenza al centro di ogni suggerimento e riflessione. E la ricerca di regole, nuove certamente, ma che tengano conto: dei diritti fondamentali di libertà, espressione e sicurezza dei cittadini. E quali sono questi diritti fondamentali? Dove li andiamo a prendere questi fondamenti se non attingendo ai documenti che regolano le attività di uno Stato o di una comunità di Stati?

 

 

Le Costituzioni

 

 

La nostra all’art.21 ad esempio:

 

 

Articolo 21

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.

Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria [cfr. art.111 c.1] nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.

In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.

La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.

Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.

 

 

Oppure e ancora meglio, in un documento varato dal consesso delle Nazioni Unite, tutte o quasi, riunite nell’organismo del governo mondiale meglio noto come ONU che nel 1948 ha approvato e proclamato  la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo All’art.19 questo documento recita:

 

 

Articolo 19

Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

 

 

 

E che dire del punto tre delle riflessioni/consigli espresse al termine della ricerca dai dirigenti di Microsoft? Offrire rimedi e facili scorciatoie tecnologiche per mettere a punto risposte e strategie di difesa accessibili e facilmente realizzabili da tutti. Alla luce di quanto accaduto negli ultimi due anni, non suona ancora più beffarda la realtà dei fatti? Non ci sentiamo ancora e  più di sempre un fragile guscio di noce nella tempesta, invece che assistiti e confortati da Stati, Governi, Techno-corporation, OTT, Politica? Siamo purtroppo ancora molto lontani  dal riuscire  a mettere a punto risposte e strategie di difesa accessibili e facilmente realizzabili da tutti.   Anzi siamo sempre di più in balia degli elementi.

 

 

La libertà non è un algoritmo  ha detto molto bene Michele Mezza nel suo ultimo libro: Algoritmi di libertà.   Un testo che in epoca non sospetta e prima dello scandalo Cambridge Analytica affrontava la questione della Civiltà e provava a sollevare il problema e a fornire alcune risposte alla “questione algoritmica”:

 

 

Bussole non orologi

” … come civilizzare e rendere fruibile democraticamente una complicata e ramificata società ordinata in maniera sempre più pressante da un potere basato sulla potenza di calcolo. Un potere o una funzione, ci si continua a chiedere?
Arthur Samuel, uno di quella cerchia di sciamani dell’intelligenza artificiale che proprio negli anni cinquanta pianificarono lo sviluppo del computer, che nel 1959, lo stesso anno del discorso di Olivetti sulle tecnologie di libertà, spiegava che a caratterizzare gli algoritmi era «la loro capacità di apprendere senza
essere esplicitamente programmati». In questo spazio concettuale descritto dalla capacità di apprendere e dal limite della loro programmazione si esplica questo nuovo potere del calcolo, inevitabilmente orientato dai proprietari dei sistemi e piattaforme di connessione, che usa la libertà come brand e non come valore. In questo gorgo, come dice Alan Turing, uno dei pochi padri originari di questo mondo, dati e programmi diventano digitalmente indistinguibili”.

 

 

 

Pensare è calcolo

“E soprattutto dobbiamo ricordare che l’algoritmo non è la trincea di una fantascientifica contrapposizione fra uomini e macchina, ma rimane l’ultimo strumento di una volontà di primato di alcuni uomini, autori e proprietari di questi software, sulla stragrande maggioranza di esecutori.
Sintetizza meglio questo assunto che proponiamo nel nostro libro Nicholas Carr, uno dei più tormentati pionieri della rete e oggi spietato critico del proprio entusiasmo digitale che ci ricorda che colui che
determina i meccanismi dell’automatizzazione finisce per controllare la società intera”.

 

 

La direzione conta non la velocità

“In una lettera scritta nel 1910, i fratelli Wright, i padri del volo umano, affermano che sempre l’abilità del pilota prevarrà sulle soluzioni della macchina. Non era un’affermazione gratuita o retorica. già allora, attorno ai primi prototipi di aereo si stava discutendo del livello di autonomia dell’uomo dalle macchine. E l’aereo, se ci pensiamo, è forse l’ambiente dove questa autonomia è stata già del tutto cancellata, quasi inavvertitamente, da parte nostra, con forme di automatizzazione che hanno sostituito radicalmente le abilità: ci stiamo dimenticando come si fa a volare, commentava l’associazione dei piloti americani nel 2011 all’indomani dell’ennesimo incidente causato da un uso esasperato degli automatismi”.

 

 

“L’automazione non si limita a rimpiazzare l’attività umana, ma la cambia, e spesso in modi non previsti ne voluti dai progettisti. Il motore di questo processo socio-tecnologico non è una generica conoscenza. È un pensiero calcolante che elabora specificatamente soluzioni matematiche al fine di risolvere, automaticamente, ogni problema, con l’ambizione che ogni soluzione sia data come unica e immutabile. Più sinteticamente: l’algoritmo”.

 

 

Dunque come dobbiamo confrontarci con la materia? Cosa dobbiamo chiedere ai nostri legislatori “casalinghi” e ai nuovi legislatori europei che andremo fra breve a votare? Lo dice in modo molto chiaro Luca De Biase in un  articolo recentemente pubblicato  sul suo blog:

 

 

Le nuove forme di consapevolezza sono un compito di tutti. Studiare, parlare, analizzare, centimetro per centimetro, i fenomeni emergenti nell’infosfera non è una pratica semplice e spesso diventa pesante. Ma è necessario aumentare l’alfabetizzazione mediatica. Altrimenti diventiamo tutti schiavi dei codici indiscussi che emergono nella rete.

La costruzione di alternative peraltro è la questione decisiva. Piattaforme alternative non sono semplici da costruire ma si possono costruire. Il progetto di costruire alternative è tra l’altro l’aspetto più splendido della cultura digitale. È possibile. È bello. È liberatorio.

 

 

E il cerchio si chiude, torniamo a parlare della costruzione di una civiltà. Un posto dove vivere in pace e armonia, godendo dei frutti della tecnologia e non diventando schiavi di essa. Grazie dell’attenzione e a presto ;)