Ma sono veramente così fiduciosi nel futuro gli editori di quotidiani in Usa?

Una Ricerca diffusa recentemente dall’ Università del Missouri ha rilevato che due editori su tre sono “ottimisti” sul futuro dell’ industria dei quotidiani. Ma un sondaggio online condotto da John Cribb, un broker nel campo dei giornali, ha scoperto che negli ultimi quattro anni solo un editore su tre  ha incoraggiato i propri figli a entrare nell’ editoria quotidiana.

Ma allora – si chiede Alan D. Mutter sul suo Newsosaur – : se il panorama è tanto positivo, perché sono cosi pochi gli editori che spingono  i figlioli sulla loro stessa strada?

 

 

Per cercare di rispondere alla domanda (che per ora almeno, come vedremo,  resterà senza risposta), Mutter ricava qualche ulteriore elemento dai due studi.

 

– Nella ricerca della università del Missouri il sondaggio – fatto su 458 testate, che rappresentano un terzo del settore – dice anche che i dirigenti editoriali dei quotidiani con una diffusione inferiore alle 50.000 copie sono parecchio più ottimisti di quelli dei giornali più grandi.

 

– Delle 109 persone che si sono dette ‘’molto ottimiste’’ sul futuro dei quotidiani, il 63% lavorano in testate con meno di 25.000 copie di diffusione, il 20% in giornali con diffusione fra 25.000 e 50.000 copie e solo il 17% fanno capo a testate con una diffusione superiore alle 50.000 copie.
Le differenze suggeriscono che il settore quotidiani è più in salute nei mercati piccoli e medi piuttosto che nelle aree metropolitane, dove i costi sono più elevati, i ricavi pubblicitari più fiacchi e la concorrenza del digitale è più intensa.

 

Quanto al futuro del prodotto su carta, il 62% del campione dice che non immagina un giorno in cui non verrà più pubblicata l’ edizione su carta e il 77% osservano che la loro azienda non ha ancora considerato l’ ipotesi di tagliare il numero di giornali della settimana in cui si stampa il giornale.

 

La ricerca della Missouri University è la prima del genere realizzata dal Reynolds Journalism Institute, che intende ripeterla nei prossimi anni per controllare l’ andamento della fiducia degli editori.

 

Nell’ iniziativa parallela, il broker di quotidiani John Cribb ha misurato l’ atteggiamento degli editori negli ultimi quattro anni attraverso un sondaggio online.

 

A differenza dello studio della Missouri, che ha interpellato in maniera sistematica un campione selezionato di editori, l’ indagine di Cribb si basava sulla partecipazione volontaria di persone le cui risposte sono state sollecitate via e-mail. Anche se la metodologia di Cribb è meno scientifica rispetto all’ altra, il suo sondaggio ha prodotto risultati molto interessanti negli ultimi quattro anni, meritando così la nostra attenzione, in assenza di qualsiasi altra indagine a largo raggio sul piano delle sensazioni.

 

A partire dal 2009 (e fino a quest’anno), Cribb ha rilevato che solo un editore su tre vuole che i suoi discendenti  entrino nel business dei giornali. Il livello più basso è stato raggiunto nel 2010, quando solo il 31% degli editori pensava che l’ industria dei quotidiani costituisse una buona carriera per i loro figli. L’ umore invece nel 2012 era il più alto nei quattro anni, con il 36% degli intervistati intenzionati a incoraggiare la prole a lavorare in un giornale.

 

Cribb ha ricavato risposte coerenti anche in relazione a un altro indicatore di fiducia: alla domanda se volessero possedere un altro giornale, solo la metà degli editori (in media nei quattro anni)  hanno detto di sì, con un picco del 52% nel 2009, sceso al 46% nel 2010 e risalito al 49% di oggi.

 

Ma poiché Cribb non pone le stesse domande a largo raggio sul futuro del settore formulate dalla Missouri, è impossibile scoprire come è cambiato in questi pochi anni  il trend relativo alla fiducia sul futuro. Ma se lo studio della Missouri University andrà  avanti come previsto, fra un po’ sapremo meglio da che parte soffia il vento.

 

Nel frattempo – conclude Mutter –  non ci resta altro da fare che chiederci ancora una volta perché gli editori non desiderano tanto vedere i figli entrare in un business che pensano sia così promettente. Non è che, per caso, vogliono mantenere  tutto il divertimento solo per sé stessi?