Dalle presidenziali USA ai servizi di intelligence, cosa cambia con i big data

 

Dalle presidenziali USA ai servizi di intelligence, i big data aprono straordinarie opportunità per chi si occupa di informazione in rete, ma nascondono anche pericolose insidie per la privacy e per le forme di protesta che mettono in discussione l’ establishment.  E’ una visione alternativa al significato dei risultati delle elezioni presidenziali USA.

 

 

di Roberto Favini

(Myweb20.it)
Si è scritto moltissimo delle novità introdotte nella strategia online della campagna USA da entrambi i candidati rispetto a quelle di quattro anni fa. Per esempio, dell’uso dei big data per segmentare accuratamente e coinvolgere ogni singolo elettore – probabile o indeciso – all’interno di questi enormi dataset, incrociati tra loro.

 

Pur condividendo gli enormi vantaggi che in determinate condizioni potrebbero derivare dall’utilizzo di big data, quindi auspicandone crescenti comprensione e diffusione, raramente ho però letto – anche in lingua inglese – delle insidie nascoste dietro queste pratiche, cominciando dai rischi per la privacy (per i quali valgono comunque le solite considerazioni verso qualsiasi dato di pubblico dominio presente in rete) e proseguendo con il cosiddetto “lato oscuro della rete” come strumento di sorveglianza e repressione, per dirla alla Eugeny Morovoz.

 

Cosa sono i Big Data? Si tratta di enormi volumi di dati provenienti da fonti eterogenee e sotto vari formati, che spesso necessitano di trattamenti particolari per essere estratti e messi in relazione tra loro; perché siano di reale valore aggiunto è però fondamentale ottenere questi dati in tempo reale.

 

Abbiamo quindi familiarizzato con termini astrusi come competitive intelligence, predictive modeling, predictive analytics, wisdom of crowds e datacrunching.

La campagna presidenziale USA ha offerto a tutto il mondo una potente dimostrazione delle enormi potenzialità di queste soluzioni, utilizzabili negli ambiti più disparati come appunto la propaganda politica, il marketing, il mercato azionario, i servizi verso la cittadinanza, la riduzione dei costi governativi, nuovi business per le imprese e chi più ne ha più ne metta.

 

Il potere della Big Data Analytics risiede nella contestualizzazione delle informazioni, cioè nella capacità di separare il segnale dal rumore e attribuirvi un senso.

 

C’è per esempio un interessante report dal titolo ‘The Big Data Opportunity‘ che ben spiega perché i Big Data sono strategici per il settore pubblico. Realizzato da Policy Exchange in collaborazione con EMC Corporation (colosso dello storage), stima addirittura in 33 milioni di sterline il risparmio che il governo UK potrebbe ottenere solo utilizzando meglio (e sottolineo che non dice “introducendo“, ma proprio “utilizzando meglio” di quanto faccia già ora) i Big Data.

 

Facciamo però un passo indietro per capire il motivo di tutto questo interesse da parte dei media online intorno alle pratiche introdotte da questa campagna politica, che molti hanno chiamato “The First Big Data Election“.  Il New York Times per esempio, grazie al sondaggista Nate Silver divenuto improvvisamente popolare a livello planetario proprio in questa occasione, ha previsto il risultato delle elezioni in ognuno dei 50 Stati USA.

 

In realtà i Big Data non sono una novità: solamente per anni non siamo riusciti a fruire delle preziose informazioni che contenevano perché solo ora abbiamo la mentalità e la tecnologia per comprenderli. Utilizzando strumenti e metodi nuovi, è infatti possibile utilizzare queste informazioni come sistema previsionale e a supporto delle decisioni (DSS) in ambiti commerciali, finanziari e politici.

 

In sintesi, sono in grado di trasformare un business.

 

Non a caso Obama per le elezioni del 2012 ha messo insieme un team di analisi cinque volte più grande di quello del 2008.

 

I Big Data non hanno soltanto rivelato come la campagna poteva trovare gli elettori e ottenere la loro attenzione, ma ha anche consentito test predittivi su quali tipi di persone sarebbero rimasti persuasi da certi tipi di appelli. Sono state stilate liste di cittadini in ordine di predisposizione a essere persuasi e di rispondenza alle priorità della campagna. A partire dai dati si è cercato di costruire modelli predittivi per capire quali persone sarebbero andate online e per creare i profili dei volontari.

 

Come si vede, si tratta di qualcosa di ancora più sofisticato della sentiment analysis.

 

L’altro giorno ho descritto le caratteristiche di Recorded Future, un potentissimo servizio di ricerca e analisi semantica degli articoli in rete sia su base geografica che temporale – eventi futuri compresi – sulla base dei contenuti.

 

Quello che non ho scritto, invece, è il nome degli investitori che stanno dietro a questo progetto, a cui finora hanno contribuito con la bellezza di 20 milioni di dollari.

 

Il primo si chiama Google, entrato nel 2010 alla ricerca di qualcosa che possa offrire risultati più pertinenti alle ricerche effettuate col proprio motore di ricerca.

Il secondo si chiama CIA, proprio quell’agenzia governativa di cui parecchi fra testate e blog stanno parlando in questi giorni ma solo in riferimento a elementi di gossip.

 

L’ articolo continua qui.