63 quotidiani in un colpo: filantropia o business?

 

La notizia che Warren Buffett, miliardario statunitense, ha acquistato 63 quotidiani locali del gruppo Media General per 142 milioni di dollari, apportando 445 milioni di dollari di nuovi finanziamenti, ha avuto discreta eco mediatica (1, 2, 3, 4) .

C’è chi lo ha indicato come un fenomeno parte di un trend,  ma in momenti di crisi strutturale dell’editoria come quelli che stiamo vivendo, potrebbe apparire comunque un segnale positivo o incoraggiante.

 

Soprattutto perchè, nella sua lettera di comunicazione ufficiale agli editori e redattori dei giornali del gruppo Berkshire Hathaway , Buffett descrive questa sua attività in termini di fiducia, impegno, sviluppo.

 

 

La frase “…I believe newspapers that intensively cover their communities will have a good future. It’s your job to make your paper indispensable  to anyone who cares about what is going on in your city or town…” rappresenta  il tono ed il senso della comunicazione e dell’idea di Buffett  in relazione a questa sua nuova impresa.

 

Le intenzioni di Buffett peraltro sembrerebbero contrastare con i risultati delle sue aziende. Secondo quanto riporta il Wall Street Journal il titolo della società di Buffett ha fatto peggio del mercato: facendosi battere dallo S&P 550 del 3,5% dall’ inizio dell’anno e di quasi 5 punti negli ultimi 12 mesi.

 

Clay Shirky, fortemente critico nei confronti di questa operazione, ha sviluppato sul suo blog una serie di considerazioni critiche che espongono ad una diversa luce questa vicenda. Data l’autorevolezza e competenza della fonte, abbiamo deciso di tradurre integralmente l’ articolo per i lettori di LSDI.

 

Warren Buffett’s Newspaper Purchase

di Clay Shirky

(a cura di Antonio Rossano)

 

La scorsa settimana, Warren Buffett, il CEO di Berkshire Hathaway, ha acquistato due dozzine di piccoli giornali e le loro relative proprietà online da Media General, un conglomerato con partecipazioni prevalentemente concentrate nel sud-est Stati Uniti. Dopo la finalizzazione l’accordo, Buffett ha pubblicato una nota sul suo punto di vista dell’acquisizione. (Il testo della nota è qui.)

 

Buffett è notoriamente il più grande investitore vivente, e quasi altrettanto famoso per il suo parlare senza peli sulla lingua su questioni di mercato, tanto che ci si aspetterebbe che la sua prima nota pubblica su Media General offrisse la comprensione dello stato attuale del business dei giornali. Il testo attuale, tuttavia, si limita a chiarire che Buffett non capisce quel business.

 

Parla molto dei lettori, ma la circolazione delle copie non è stata collegata ai ricavi  degli ultimi vent’anni. La diffusione dei giornali ha iniziato il suo declino durante l’amministrazione Reagan, quando i profitti dei giornali sono aumentati, verso la metà dello scorso decennio, raggiungendo il picco più alto poco prima del collasso.

 

Buffet, in un migliaio di parole,  allude appunto al rapporto tra lettori e giornali una mezza dozzina di volte ma, in quello stesso spazio, non usa mai una volta le parole “pubblicità” o “inserzionisti”. Leggendo la lettera, non si direbbe mai che i giornali fanno la maggior parte dei loro soldi con la pubblicità, non con le copie vendute, come è accaduto per quasi due secoli. È la concorrenza dirompente per gli investimenti pubblicitari, non un diverso coinvolgimento del lettore, che ha mandato il mondo dell’editoria dei giornali in crisi.

 

Senza capire cosa c’è in serbo per gli inserzionisti, una esortazione a “regnare supremo in materia di rilevanza locale” non ha più valore strategico di un’ovazione alla fine del primo tempo; se lanciare un giornale redditizio equivaleva solo ad avere una buona copertura locale, in primo luogo i giornali non sarebbero in questi pasticci. Ma una buona copertura locale non è sufficiente, perché i cittadini comuni non pagano per le news. Quello che abbiamo comprato, quando acquistavamo un giornale, era un “bundle” di notizie, lo sport, coupon e annunci di lavoro, stampate insieme e consegnate davanti alla nostra porta di casa.

 

Le persone sono ancora disposte pagare per la riproduzione e la consegna, cosa che ora fanno  pagando il proprio internet provider. E continuano ad interessarsi di notizie, sport, coupon e annunci di lavoro,  solo che li prendono in posti diversi e, criticamente, i soldi che vanno a Groupon o Hot Jobs, non servono più a sostenere la redazione. Mentre la perdita di investimenti pubblicitari a favore di giornali concorrenti può essere combattuta, gli investimenti che sono andati su altre forme di pubblicità, non torneranno mai indietro.

 

Buffett chiede ai suoi nuovi dipendenti di fornire “le migliori idee sulla produzione del mix di digitale e stampa”, ma la miscela finale, tra digitale e stampa, sarà digitale.  Gli abitanti delle piccole città del genere che  Media General serve, tendono ad adottare la tecnologia in ritardo, ma il futuro arriverà alla fine, anche ad Opelika, Alabama.

 

Questi errori non significano necessariamente che Berkshire Hathaway perderà i soldi per l’affare, ovviamente; dato il prezzo da svendita, anche se ognuno di quei giornali chiudesse nei prossimi dieci anni, Buffett porebbe ancora guadagnare dagli interessi versati e dal patrimonio immobiliare. Questi errori indicano che la visione “scolorita” di Buffett sul business dei giornali, con i suoi riferimenti alle macchine linotype e le gare per il lancio dei giornali, è gravemente fuori luogo. Per i lettori, le vecchie abitudini non sono la stessa cosa della fedeltà. Per gli inserzionisti, la convenienza precedente non si traduce in impegno previsto investimento futuro. Per i giornali, la longevità storica non implica resilienza futura.

 

Quindi ecco un pronostico: molto prima che le garanzie di Berkshire Hathaway scadano, molti dei giornali in cui Buffett ha investito ridurranno i giorni di pubblicazione ed il personale di redazione, e i giornalisti scriveranno la storia “Che cosa è andato storto con l’affare Media General?” .

 

La risposta a questa domanda è già evidente: Buffett vuole parlare come un filantropo e un investitore, allo stesso tempo, senza capire che il bene pubblico ed il bilancio vanno in direzioni opposte. Un giornale poteva anche essere contemporaneamente un servizio pubblico ed un investimento redditizio, ma questo era solo un incidente nel panorama competitivo (o meglio non competitivo) dei media. Il suo approccio di buon senso per salvare i giornali non funzionerà, perché non vi è più alcun modello di business di buon senso per un ex monopolista che continua a vedere i propri ricavi erosi più velocemente rispetto ai  costi.