Io, noi, tutti e gli altri ancora

L’immagine di apertura è davvero emblematica. Cianciamo, molto spesso a vanvera di come fare a completare –  o forse ad avviare –  il corretto passaggio, la cosiddetta transizione al digitale. Poi succedono cose come quella evidenziata dalla foto. E diventa tutto molto facile da comprendere. Come hanno fatto alla biblioteca pubblica di New York, “bisogna portare le cose là dove sono le persone” Se dentro al nostro esilio forzato passiamo del tempo giocando online, quale miglior posto per informare correttamente le persone, sulle misure da tenere, sui comportamenti corretti da mettere in campo per contrastare l’avanzata del virus. Passano i giorni, le settimane, i mesi. Il Paese e il mondo, lottano per contrastare l’avanzata del virus. L’emergenza continua e ci rende persone diverse. Ci fa pensare ad un oggi senza orpelli, ci fa agire in un mondo forzatamente digitale, online, immateriale. Ci fa scoprire quanto siamo indietro, quanto poco sappiamo di questi strumenti ipertecnologici di cui siamo tutti ampiamente dotati. Di quanto poco siamo in grado di usarli sfruttando appieno le loro potenzialità. Ci rendiamo improvvisamente conto che lo slogan trito e ritrito, speso continuamente, in ogni convention, in ogni incontro pubblico, in ogni testo in cui si esaltano i progressi della tecnologia: “vogliamo fare del mondo un posto migliore”, sia solo una chiacchiera al vento, senza la nostra collaborazione attiva, senza la cooperazione di ciascuno di noi, senza la comprensione profonda e completa di come si stia per davvero in un mondo onlife – per dirla con Floridi – un mondo in cui la nostra vita materiale, è diventata – nostro malgrado in questo particolare frangente –  un tutt’uno con la nostra vita immateriale, digitale. Nel pieno del marasma, nel centro della crisi e dell’emergenza, ognuno di noi chi più, chi meno, comincia a pensare al dopo, o meglio al “mentre”, al “durante”,  proiettandolo verso il dopo. Un futuro ancora piuttosto remoto, visto l’andamento della crisi in corso, ma che è quanto mai importante cominciare a prefigurare, per adattarsi, per ipotizzare scenari, per costruirsi una identità che abbia un senso e un’utilità qui e subito, e non chissà quando. Siamo un’immensa risorsa, anche così, fermi e rinchiusi. Non dobbiamo perdere di vista questo punto centrale. Qui a bottega abbiamo provato a immaginare alcuni scenari, aiutati dalle riflessioni di alcuni di noi, coadiuvati e corroborati dal pensiero di alcuni amici scienziati e professori,  e alimentati da alcuni passaggi del pensiero di filosofi e altri illustri personaggi. Come questo primo estratto che vogliamo proporVi per iniziare il nostro ragionamento e che estraiamo dal testo del filosofo francese Edgard Morin  “7 lezioni sul pensiero globale”:

 

 

Quando io dico io soggetto prima persona singolare, mi autoaffermo, mi metto al centro del mio mondo.

Dire io è fare un atto di egocentrismo. Ciò che è importante è che ogni essere umano, come ogni essere vivente, porta in sé questo principio egocentrico, che lo conduce a difendersi, a proteggersi, a svilupparsi, a nutrirsi e a dare priorità alla propria esistenza.  Ma a fianco di questo principio egocentrico di affermazione dell’Io, c’è un altro principio complementare e del tutto antagonista che è il principio del noi. Questo noi, non meno innato, appare fin dalla nascita: fin dalla venuta al mondo, il bisogno dello sguardo, della carezza, della tenerezza, della cura si sviluppa nel sentimento d’amore in seno alla famiglia con i genitori, con i fratelli, con le sorelle. E questo sentimento in seguito potrà estendersi molto più ampiamente alla patria, al partito, alla religione, agli amici, agli amati. Vivere è un movimento permanente in cui passiamo dall’io al noi e dal noi all’Io, con estremi in cui l’io è capace di sacrificarsi per il noi, per difendere i suoi, il suo paese, le sue opinioni politiche, la sua religione, con gli estremi opposti in cui il noi è sacrificato, in cui gli altri sono dimenticati o abbandonati a vantaggio dell’interesse vitale o materiale dell’Io. Anche in questo momento storico l’aspirazione profonda dell’essere umano, inconscia o conscia, è di sviluppare il proprio io in seno ad un noi. 

 

 

Parole pesanti e lievi nello stesso tempo,  quelle del grande pensatore transalpino, parole che pongono l’accento su una questione oltremodo centrale nelle nostre esistenze, in particolare ora, quando l’io non può che essere messo obbligatoriamente in secondo piano,  a beneficio di un noi, decisamente centrale in questo momento dell’esistenza degli esseri umani su questa terra. Allargando ed adattando il ragionamento iniziale, cercando di centrarlo ed estenderlo sulla nostra attuale situazione abbiamo provato ad ipotizzare alcuni scenari possibili e abbiamo chiesto pareri sulla nostra ipotesi ad alcuni scienziati:

 

 

Dobbiamo smettere di agire solo in emergenza. A partire dal ruolo della stampa. In questo momento ci sono quelli che continuano a fare pessima info. Procedendo con superficialità e andando a raccontare sommariamente e dando adito a sensazionalismo, voci da bar, notizie bieche per vendere e colpire. Poi c’è chi fa un buon lavoro sulla cronaca il racconto delle notizie perlopiù vere ma che creano comunque allarmismo e in genere sono filo governative. Serve soprattutto una info che dia notizie certe su cui operare tutti per ricostruire. La devastazione – comunque vada a finire – c’è già stata. Oramai la NS civiltà si trova nell’anno uno della pandemia. Ce ne saranno sicuramente altre. Questo è alle nostre spalle non si torna indietro e i 50 mln della spagnola ci devono spaventare non confortare o peggio fornirci un alibi. Dobbiamo imparare a convivere con questo nuovo status nel modo corretto.  L’emergenza è conclusa questo è lo stato di pandemia. Si vive quasi integralmente in casa. E mentre scienziati e medici cercano la cura totale e di contrasto e provano a farci sopravvivere, e gli statistici e i predittori algoritmici mappano accuratamente campioni omogenei per ricavarne analisi e proiezioni puntuali. Noi dobbiamo sapere come procedere per ritornare ad una nuova (nuovissima e mai provata prima) normalità.Una normalità utile e produttiva. Le persone devono poter tornare a uscire. Scaglionate a piccoli gruppi. In modo ordinato e organizzato dallo Stato e dalle forze dell’ordine. Serve controllo ancora maggiore (misura molto impopolare) per garantire sicurezza maggiore. Serve organizzazione per la scuola e il lavoro e i singoli. Vanno definite priorità e percorsi certi. Le persone debbono ricominciare a sentirsi utili. Tutte. Oltretutto questa è o potrebbe essere, una forza enorme da imbrigliare, ma anche un potentissimo strumento da usare. Servono protocolli funzionali. Studiati quasi ad personam. Non regole assurde scritte in burocratese. L’assistenza psicologica deve essere per tutti. Non uno strumento di emergenza. Tutti siamo stralunati, sballottati, insicuri, spaventati, anche nervosi. Servono persone che parlino con altre persone per creare un clima di fiducia. Una realtà pesante e difficile ma sulla quale tornare ad incidere, a fare la differenza. Ciascuno di noi.

 

 

Il professor Mauro Lombardi economista dell’Università di Firenze si è detto colpito dalla nostra analisi e ha in buona parte condiviso la nostra idea di futuro, anche se non tutto quello che viene da noi ipotizzato gli è parso condivisibile e ha così commentato:

 

 

 Dissento dalla parte centrale del discorso. Non e’ lo Stato a dover organizzare, secondo me, la vita quotidiana delle persone, bensì lo sviluppo di un’intelligenza collettiva e individuale, per ottenere le quali la prima parte del ragionamento  risulta essere  un ingrediente fondamentale. Per sviluppare l’intelligenza individuale e collettiva il discorso e’ lungo e complesso, ma centrale per il nostro futuro, e per la gestione “intelligente” di questa particolare crisi. Serve certamente una riflessione accurata, profonda e circostanziata.

 

 

 

A ragionare sulle nostre riflessioni abbiamo chiamato anche il fisico di fama mondiale,  Mario Rasetti, responsabile del laboratorio di ricerca sugli algoritmi predittivi di Torino Isi foundation, che ha così commentato le nostre argomentazioni:

 

 

Sono assolutamente d’accordo!

Quelli che parlano di ritorno alla normalità non si rendono conto del fatto che se per normalità intendono ‘come eravamo prima’ non ci torneremo mai. Come fino ad oggi abbiamo parlato di ‘ante-guerra’ e ‘dopo-guerra’ dovremo parlare di ‘prima del virus’ e ‘dopo il virus’: il futuro è tutto da inventare ed è tutto nelle nostre mani; dobbiamo solo operare come una collettività che ha come obiettivo un bene comune per tutti (e dunque non usare l’alibi del virus per dimenticarsi di clima, risorse, dignità umana).

 

 

 

Anche nel nostro gruppo di lavoro non sono mancati i commenti, gli apprezzamenti e le critiche al tipo di ragionamento che abbiamo proposto, uno fra tutti, Vi proponiamo, le considerazioni di Marco Dal Pozzo, l’ingegnere prestato alla sociologia e grande esperto di questioni politiche ed editoriali:

 

Stiamo  ridefinendo un nuovo modello di mondo. Un mondo che, siamo d’accordo, sarà diverso da quello in cui eravamo all’inizio di questa epidemia. Se si parla di “organizzazione dello Stato”, però, mi spavento un po’; ma potrei aver travisato. Cerco di spiegarmi. 

C’è una cosa che mi turba più di tutte di questo momento e mi impaurisce per il dopo; un dopo che, su questo siamo d’accordo, non sarà più come il prima. Mi turba il giubilo con cui sono state accolte le misure restrittive di alcuni sindaci; giudico queste reazioni più preoccupanti delle misure stesse.

Si tratta di misure che stanno limitando la nostra libertà personale, in tanti casi intervenendo inutilmente nelle abitudini di persone che stavano comunque seguendo le raccomandazioni del cosiddetto “distanziamento sociale”. Sono misure che trovano favore perché cercano di confinare un problema sanitario entro limiti non distruttivi per le fisiche capacità del Sistema Nazionale.

Attenzione però a non farcele piacere troppo: oggi ci stanno salvando la vita, ma domani potrebbero avere l’effetto opposto. 

Il problema, come ci diciamo sempre, è culturale. Passato questo momento, in cui è stato accolto con favore un regime restrittivo, ricordiamoci che è da lì che bisognerà ripartire. Bisognerà lavorare non tanto per farsi trovare pronti per la prossima emergenza, ma perché non si rischi che le misure di emergenza diventino permanenti.  

Il nuovo modello di mondo che vogliamo non è quello del controllo; su questo non dobbiamo abbassare la guardia. La riflessione, a partire da quella mia personale, è aperta ed è urgente confrontarsi.

 

 

Fino a qui i commenti e i suggerimenti alla nostra particolare e molto specifica visione di mondo in divenire durante questa particolare e unica emergenza sanitaria. Ma a questo giro di ipotesi, ragionamenti e reazioni, vorremmo aggiungere, estraendo alcuni passaggi da un ricco e completo articolo pubblicato qualche giorno fa, il parere di un altro dei nostri sodali contributori: Luca Corsato. Il data scientist veneziano, prova a  comprendere l’esistente e a tracciare una sua personale interpretazione del futuro, partendo dai dati, e in particolare dai dati di un settore che conosce molto bene, quello immobiliare. Dice Corsato fra le altre cose:

 

 

Prima del coronavirus e della conseguente COVID-19 il patrimonio immobiliare in Italia era un investimento sulla ricettività. Al 6 marzo 2020 UNWTO stima una perdita tra i 30 e 50 miliardi di dollari, rivedendo le stime con un ribasso tra l’1% e il 3% dei ricavi, a fronte di previsioni precedenti a COVID-19 di un aumento tra il 3% e il 4%. In Italia non si sa ancora l’impatto sul “dopo COVID-19”, ma al 22 marzo 2020 tutto è chiuso. TUTTO. Hotel e BnB chiusi, servizi fermi, aziende che dichiarano fallimento già ora. Le città italiane non saranno più come prima. Ma l’Italia ha delle particolarità che lo sfruttamento indiscriminato aveva escluso: l’Italia è ancora un territorio principalmente rurale. Le case dei turisti saranno case di coltivatori? 

 

Il blocco della circolazione interna ed esterna delle persone per COVID-19, ha fatto crollare la ricettività, e aumentato le richieste di approvvigionamenti. Il traffico web è aumentato del 50%, e sono aumentati l’e-commerce (97% nel periodo 9-17 marzo 2020 rispetto allo stesso nel 2019) e le vendite della GDO (Liberi Servizi +46,3%, Supermercati +30,4%, Discount +22,5%) mentre inizia a flettere Specialisti Drug (-18,9%) e Ipermercati (-3,7%). L’obbligo di restare a casa ovviamente incide sulla domanda, ma questi trend sono destinati a consolidarsi sempre di più soprattutto nelle periferie.

 

I consumi delle persone cambieranno: in Nuova Zelanda hanno saccheggiato le serre e vivai, trasformando i giardini in orti. Il ritorno alla coltivazione, è un fenomeno già avvenuto in Grecia nel 2009 e non è escluso che in Italia non accada una cosa simile. 

 

L’articolo completo di Luca Corsato è su Mutant Estate

 

 

Nel pezzo di Luca Corsato si prospetta uno dei possibili scenari, nella nostra riflessione, molto più larga e generica, proviamo a pensare anche noi ad alcuni dei futuri possibili, non tanto e non solo alla fine dell’emergenza – non ci sembra quella l’indicazione maggiormente produttiva da inviare in questo momento –  quanto prefigurare scenari di breve e medio periodo di “resistenza”. Ambienti in cui si sia in grado di recuperare l’individualità di ciascuno di noi. Soprattutto di ciascuno di coloro che è recluso. Un valore enorme che non è possibile ignorare,  e sul quale sarà importantissimo cominciare ad investire da subito. Grazie dell’attenzione e alla prossima.