#digitRoma Il modello di impresa editoriale

Siamo quasi alla conclusione dell’introduzione al Modello Sociale per l’Editoria che presenteremo a Roma nella imminente edizione di digit.

 

 

Quella di far transitare il finanziamento pubblico per le mani dei Cittadini con l’artificio del microcredito di acquisto di un contenuto non è, in tema di finanziamento, l’unico aspetto sostanziale. Nell’ottica di una rivisitazione radicale dell’intero ecosistema informativo, la proposta prevede infatti di assegnare il finanziamento non soltanto sulla base della qualità dei contenuti prodotti, ma anche in dipendenza dello specifico modello dell’impresa editoriale.

 

 

L’idea è di stabilire per legge che il finanziamento sia assegnato alle Imprese che abbiano finalità sociali (il benessere della Nazione, cioè l’applicazione dell’art. 3 della Costituzione) e che, inoltre, mettano da parte la logica del profitto (pericolosa quando gli interessi dei proprietari pesano sulle scelte delle Informazioni da dare e, soprattutto, da non dare) reinvestendo il proprio surplus esclusivamente nel miglioramento del proprio servizio.

 

 

È stato Muhammad Yunus a teorizzare prima e praticare poi il modello d’Impresa con Finalità Sociali, l’unico – a detta del Premio Nobel bengalese – in grado di funzionare per risolvere i problemi sociali. Le Imprese con Finalità Sociali – dice infatti Yunus in due suoi libri, “Il banchiere dei poveri”  e “Si può fare” – riescono a responsabilizzare chi le gestisce e sono lontane dal pericolo cui sono invece esposte le fondazioni (poiché dipendono dalle donazioni, soffrono di scarsità di iniziativa e portano via molto tempo nella raccolta dei fondi) e le cooperative (perché in esse viene perseguito il profitto dei suoi soci). Inoltre, non facendo carità (dato che i costi necessari per far partire l’impresa è mandatorio che rientrino), sono delle Imprese che hanno (o, almeno, provano ad avere) una visione di più lungo respiro rispetto a quelle che vivono di elemosina.

 

Un’alternativa potrebbe essere quella di ricorrere ai cosiddetti Social Impact Bond. Il Social Impact Bond, come si legge da Wikipedia, è uno strumento finanziario finalizzato alla raccolta, da parte del settore pubblico, di finanziamenti privati. La remunerazione del capitale investito tramite questi strumenti è agganciata al raggiungimento di un determinato risultato sociale. In un modello di Social Impact Bond realizzato correttamente, il raggiungimento del risultato sociale previsto produrrà infatti un risparmio per la Pubblica Amministrazione e quindi un margine che potrà essere utilizzato per la remunerazione degli investitori.

 

 

Manca a questo punto un ultimo tassello: la stima del valore di un contenuto giornalistico. Ne parleremo nell’ultimo appuntamento di questa “miniserie” di preparazione all’edizione romana di digit.

 

 

(Il contributo che avete appena finito di leggere è dello studioso di giornalismo e nostro associato  Marco Dal Pozzo )