ProPublica, quando giornalisti e gruppi Facebook collaborano nel giornalismo d’ inchiesta

Un esempio di come giornalismo professionale e social network possono collaborare per indagare su questioni importanti viene da una delle ultime inchieste di ProPublica, dedicata alla situazione dell’a ssistenza sanitaria negli ospedali.  Questa volta oltre alla condivisione del materiale raccolto con i lettori sulla pagina dedicata del sito web, Pro Pubblica  ha  attivato un gruppo su Facebook al quale aderire e raccontare la propria esperienza. Il coinvolgimento della comunità è stato cercato fin dall’ inizio dell’ inchiesta e prosegue dopo la sua conclusione. I lettori sono allo stesso tempo aggiornati costantemente e fonte loro stessi degli aggiornamenti. 

 

Il responsabile dell’ inchiesta, in una serie di dichiarazioni rilasciate a Journalism.co.uk, osserva comnunque che,  “mentre il coinvolgimento della comunità è importante … il giudizio editoriale rimane un fattore chiave. In ultima analisi, siamo noi a determinare quale sarà la cosa più importante da mettere a fuoco”.

 

 

Come ProPublica sta utilizzando un gruppo Facebook per inchieste sulla assistenza sanitaria

di Rachel McAthy
(a cura di Claudia Dani)

 

Recentemente ProPublica ha annunciato il lancio di una nuova sezione di ‘inchieste’ sul proprio sito web dedicate al tema della salute e della sicurezza dei pazienti negli ospedali.

 

La scelta di un approccio seriale nel presentare materiale e informazioni  legati a un argomento – che si ritrova in altre indagini di ProPublica – lo ritroviamo in questa nuova iniziativa che però questa volta offre in più, con un esempio di coinvolgimento del pubblico che pare po’ diverso dalle volte precedenti, o almeno offre  delle “variazioni” rispetto al metodo tradizionale.

 

Marshall Allen, che si occupa di salute per ProPublica, ha raccontato a Journalism.co.uk qualcosa in  più su questo nuovo impegno giornalistico di inchiesta di ProPublica, spiegando  ome si sta lavorando per garantire il coinvolgimento della comunità e questo fin dall’ inizio del lavoro di indagine.

 

 

L’ inchiesta

 

Le pagine di ProPublica dedicate a questa iniziativa offrono uno spazio in cui i lettori interessati possono accedere a una serie di contenuti relativi ad un problema specifico. In alcuni casi, come ad esempio l’ ultima pagina dedicata alla sicurezza del paziente, essa  include una raccolta di materiali, anche precedenti,  oltre a dati recenti che possono interessare i lettori, oltre ovviamente alle loro segnalazioni.

 

La sezione vuole essere uno spazio “in cui i lettori possono partecipare alla conversazione, ottenere aggiornamenti regolari e condividere storie o punti di vista”. Una sorta di sportello sempre aperto (…).

 

Un elemento fondamentale della sezione è il suo stretto rapporto con un gruppo già esistente di Facebook – il primo per ProPublica – che è stato istituito a maggio, e da allora è cresciuto fino a diventare una comunità di quasi 1.000 membri.

 

 

Il gruppo su Facebook

 

Anche se ProPublica aveva lanciato finora un altro gruppo su Facebook, in un campo diverso – quello relativo alla questione dei debiti che gli studenti sono costretti a fare per studiare -, il lavoro su FB è sostanzialmente “una novità”, afferma Allen, e fornisce uno spazio “per avere una conversazione tra i pazienti stessi o tra i loro familiari o altri medici o infermieri che si occupano di un determinato problema”.

 

Il gruppo si definisce come “un esperimento di utilizzo dei social media per riunire coloro che hanno avuto problemi in quel campo e altri preoccupati per la  stessa questione”.

 

Il gruppo propone una raccolta di elementi, come ad esempio le indicazioni su cosa fare se si ritiene di aver subito un danno. La community ha stabilito che le risorse siano condivise e pubblicate anche sulla pagina delle inchieste di  ProPublica, oltre che su FB,  per “raggiungere anche l’ampio pubblico che ProPublica ha online”.

 

Allen  sottolinea comunque che, nonostante la dimensione del gruppo su Facebook, l’ approvvigionamento di storie dalla community non è lo scopo principale dell’ iniziativa per ProPublica.

 

“Ho parlato con tanti pazienti che hanno subito danni  durante le cure mediche ma io sono uno solo, non posso parlare con tutte queste persone, o raccontare le storie di tutte queste persone”, afferma Allen.

 

“Quindi l’ idea era anche quella di farli parlare tra di loro: sarebbero stati in grado di darsi a vicenda consigli, confortarsi. Molti di loro sono stati davvero traumatizzati, e quindi condividere conoscenze ed esperienze  con altri e avere a disposizione una voce collettiva così come una individuale è una cosa molto interessante”.

 

 

I questionari

 

Un aspetto interessante di questo impegno per l’ engagement del lettore in un’inchiesta  è l’ uso dei questionari che ProPublica fa.

 

“Il questionario – spiega Allen – è un modo per raccogliere informazioni direttamente dai pazienti. Alcune di queste storie le riprenderemo noi stessi, altre  potremmo condividerle con altri giornalisti, seguendo il nostro spirito collaborativo.”

 

L’uso del questionario è anche “un modo per identificare altre fonti” aggiunge Allen, che potrebbero essere “medici, infermieri o funzionari ospedalieri, amministratori o dirigenti di Assicurazioni o qualcuno che è all’interno del settore e che sia disposto a divenire una fonte per noi”.

 

“Vogliamo che tutte queste storie siano il più corrette, accurate e approfondite possibili in modo da raggiungere un vasto pubblico di possibili  fonti”.

 

L’approccio, nel riportare una vicenda relativa alla sanità, è centrato soprattutto sul valore di coinvolgimento della community e sulla sua partecipazione immediata, sin dall’avvio delle indagini.

 

Ma mentre il coinvolgimento della comunità è importante, ProPublica  continua a sottolineare  come il giudizio editoriale rimanga un fattore chiave.

 

“Alla fine sono in gioco sempre decisioni di carattere giornalistico, perché in ultima analisi, la nostra intenzione è quella di determinare quale sarà la cosa più importante da mettere a fuoco”, aggiunge Allen.

 

Certo, ‘’il nostro giudizio editoriale è modellato dalle nostre fonti, è quello che i pazienti ci dicono, è quello che le ricerche hanno già appurato… è una combinazione di tutto questo. Ma alla fine tutti questi input vanno filtrati per poi decidere come procedere”.