<%@LANGUAGE="VBSCRIPT"%> <% Dim Repeat1__numRows Dim Repeat1__index Repeat1__numRows = 8 Repeat1__index = 0 Recordset1_numRows = Recordset1_numRows + Repeat1__numRows %> LSDI: Dossier
home pagechi siamocerca
Uomini e fatti
Mediacritica
Censura
gIORNALI & pERIODICI
rADIO & tV
Televisione
iNTERNET
fOTOGIORNALISMO
Giornalisti e Giornalismi
bLOG
dICONO dI nOI
pubblicità
documentazione
Formazione
Deontologia & Leggi
Libri

appuntamenti


dossier
SEZIONE
AGGIORNATA

Dossier Tv: l'anomalia italiana

Dossier free-lance
L'altra metà delle redazioni

Dossier Venezuela


Siti utili
Edicole nel mondo

Italia

Internazionali

Stati Uniti

Federazione Nazionale Stampa Italiana

Dossier:

Cinque anarchici del sud.
Una storia degli anni Settanta

Angelo Casile, uno dei cinque anarchici rimasti uccisi, che protesta contro quel mondo così difficile da combattere

Capitolo 6
1969:gli scontri di piazza e l’entrata in scena delle bombe

6.11969: l’«autunno caldo»

Nel 1968-69 l’Italia attraversa una “crisi organica” che comporta una decisa perdita del consenso agli organismi classici(partiti politici, sindacati etc.) e un aumento delle rivendicazioni politiche. I partiti, soprattutto quelli di massa come il Partito Comunista, non sono in grado di interpretare il profondo disagio sociale che si è venuto a creare, e le mobilitazioni popolari assumono ben presto un carattere travolgente che si allontana dalle forme classiche della protesta quali il voto o le petizioni, per scendere in piazza con tutta la propria forza. Soprattutto nei due luoghi nei quali le strutture politiche nazionali sono più deboli, le grandi fabbriche e le università, la situazione appare ben presto ingovernabile.

L’autunno del ’69 in Italia rappresenta lo sboccopiù duro dei rapporti all’interno delle fabbriche. Lacombattività dimostrata dagli operai è essenzialmente dovuta all’emergere di una nuova figura di lavoratore, protagonista delle lotte.

I nuovi operai sono giovanissimi, spesso immigrati meridionali, sradicati dalla società nella quale si trovano ad operare, non professionalizzati (cioè «di linea», addetti alla catena). Un aspetto della contestazione operaia peculiare dell’Italia -unico fra tutti i paesi teatro della contestazione giovanile- è il legame che presto si realizza tra giovani proletari e studenti. Si tratta però di un vincolo precario e instabile chenon riuscirà mai, se non episodicamente, a consolidarsi.

L’ondata rivendicativa della fine degli anni Sessanta è per certi versi comune ad altri paesi europei. Ovunque, infatti, dopo la stretta deflazionistica di metà decennio, vi era stata una ripresa produttiva rapida ma non accompagnata da adeguati compensi salariali, prima causa delle agitazioni. La specificità italiana consiste nella maggiore estensione, durata e intensità dei conflitti, nelle modifiche più profonde che essi provocano nelle agitazioni sindacali, nel ruolo di altri soggetti collettivi (partiti politici e movimenti).

Fin dall’estate del 1969 il clima dell’autunno dei rinnovi contrattuali si preannuncia rovente. Nell’anno «più sovversivo della recente storia del movimento operaio italiano» l’autunno segna la fase più alta dello scontro sociale. Forme di lotta quale i cortei interni alle fabbriche si estendono in buona parte degli stabilimenti della penisola. Non solo: alla mobilitazione operaia s’accosta quella di decine d’altre categorie, anch’esse alle prese con rivendicazioni contrattuali, normative, salariali.

Le ore di sciopero nell’industria, che erano state 28 milioni nel 1967, poco meno di 50 milioni nel 1968, raggiungono una cifra di oltre 230 milioninel 1969.

L’agitazione non coinvolge però solo i grandi centri industriali: episodi emblematici di rivolta si verificano anche in realtà quali il Veneto bianco, in una roccaforte del capitalismo arcaico e patriarcale come la Marzotto.

Tutto il paese è in fibrillazione: i conflitti raggiungono ovunque notevole intensità e un corrispondente romano di Le Monde scrive:

 

Gli scioperi parziali si alternano alle manifestazioni e agli scontri fra poliziotti e manifestanti, le agitazioni di Milano si alternano a quelle di Napoli ove l’Università è in fiamme. Un giorno sono i trasporti pubblici, l’altro sono i distributori. Nessuna categoria professionale, neppure i liceali, resta al di fuori dell’agitazione. E questo accumularsi di agitazioni sembra delineare un clima da guerra civile.

 

In questo amalgama di rivendicazioni s’inserisce- anzi, in molti casi fa da cassa di risonanza- la presenza di gruppi rivoluzionari che costituiscono «la più numerosa forza della Nuova sinistra a livello europeo».

Un ruolo chiave nell’autunno caldo del 1969 lo ebbero i sindacati, che seppero – pur con notevoli difficoltà- conquistare uno spazio di autonomia dai partiti politici.

Il primo gradino di questa offensiva si realizzò con la mobilitazione nazionale per il rinnovo dei contratti dei metalmeccanici. Nell’autunno 1969 quasi un milione e mezzo di operai furono chiamati allo sciopero. Le agitazioni di fabbrica, confinate in precedenza ad alcuni settori della classe operaia e a poche aziende, interessarono adesso i principali stabilimenti industriali di tutta Italia. I sindacati sposarono la causa degli operai comuni, e colsero gli imprenditori alla sprovvista per l’aggressività e la determinazione con la quale praticarono le nuove forme di lotta.

Nel dicembre 1969, alla fine dell’«autunno caldo», fu firmato il nuovo contratto nazionale che rappresentava una significativa vittoria per i sindacati e per il nuovo attivismo. Venivano garantiti aumenti salariali uguali per tutti, si introduceva nei tre anni successivi la settimana di quaranta ore, si assicuravano particolari concessioni agli apprendisti e ai lavoratori studenti. I sindacati ottennero anche il diritto di organizzare assemblee nelle fabbriche nelle ore lavorative, pagate dai datori di lavoro fino a un massimo di dieci ore l’anno.

 

Se l’avvento relativamente inoffensivo del centro- sinistra aveva suscitato un qualche allarme, è facile comprendere che gli sviluppi molto più radicali del 1968 e dell’autunno caldo innalzarono tale allarme a livelli di vero panico.

 

6.2 Dall’autunno caldo agli scontri di piazza

Il movimento operaio del biennio ’68-’69 ebbe un impatto estremamente forte nelle fabbriche, ma presto divenne evidente il suo intrecciarsi con i temi politici.

Il conflitto industriale era presentato come un problema di “legge e ordine” nei discorsi degli uomini politici e nelle cronache dei giornali. La sensazione di uno “stato di guerra” nelle fabbriche investì la società intera. Il panico morale, che identificava gli “agitatori” con gli “estremisti”, lasciò il posto a un panico generale per l’ordine sociale, in cui la violenza appariva come il sintomo di un malessere più diffuso.

Stando a quanto dicevano alcuni portavoce accreditati, la violenza non era più provocata da una minoranza (i “cinesi”, gli “estremisti”, i “Cub” etc.), ma era l’intensità stessa del conflitto industriale e sociale a determinarne il dilagare. Sindacati e Partito comunista erano accusati di favorire l’illegalità proteggendo coloro che la perpetravano. Le forze moderate affermavano che la società doveva essere salvata dagli stessi movimenti sociali e nelle ultime settimane del 1969 lanciarono uno sforzo concertato per imputare alle lotte industriali e all’agitazione sociale i mali della società, sostenendo che il peggio doveva ancora venire e invocando fermezza per ristabilire la legge e l’ordine.

La stampa moderata è un buon indicatore dello stato d’animo dell’opinione pubblica dell’epoca: il clima collettivo di isteria deve molto ai giornali della catena Monti.

Secondo un alto funzionario del ministero dell’Interno in un’intervista a “Panorama”

basterebbe in questi giorni che in qualche manifestazione di piazza si ammazzasse qualche poliziotto e comparisse tra i dimostranti qualche arma da fuoco. La situazione potrebbe precipitare in poche ore. Toccherebbe al governo e al capo dello stato dichiarare lo stato d’emergenza. In alcuni stati federali non si è fatto del resto lo stesso proprio in questi ultimi mesi?

 

Sento spesso evocare il ’68 e dintorni come un periodo di esaltanti manifestazioni, di occupazioni prolungate e tranquille e così via. Ma non fu tutto così facile e semplice dato che il potere spesso colpiva brutalmente ed indiscriminatamente senza parlare poi degli sgherri di Almirante sempre pronti specie a Roma e nel meridione a intervenire…Nel 1969 la situazione si incrudelì…Si può dire che da lì inizia la strategia della tensione, oltre all’attacco ed alla repressione diretta il potere inizia ad incolpare gli anarchici per dividere ed isolare la parte libertaria della sinistra che rischiava di influenzare tutto un movimento e di radicarsi nella società.”

 

Le bombe del 12 dicembre sconvolgono e sorprendono, soprattutto per la loro ferocia, ma sarebbe inesatto dire che giungono inattese. Rappresentano il momento culminante di una escalation di fatti noti e ignoti che avvengono durante l’intero 1969, parte di un vero e proprio disegno. Alla fine del 1969 infatti la mobilitazione sociale si intreccia sempre più fittamente con le azionidella destra eversiva per seminare tensione nel paese.

È fascista la bomba che esplode il 25 aprile alla Fiera di Milano, come la data stessa, e i concomitanti attentati a lapidi partigiane e a sedi dell’Anpi potrebbero suggerire- sottolinea Crainz- al più tardo dei funzionari di polizia. I coniugi Eliane e Giovanni Corradini, membri di quella borghesia milanese colta, democratica e di sinistra, vengono accusati di essere i mandanti degli attentati, e saranno trattenuti in carcereper otto mesi Per tutto il mese di Aprile a Milano vi erano stati attentati a sedi del Pci o a circoli di sinistra, e il 12 aprile vi è un assalto fascista, con lancio di bombe molotov, all’ex Albergo Commercio di piazza Fontana, trasformato dagli studenti che lo occupano in «Casa dello studente e del lavoratore»: 11 esponenti della destra estrema vengono fermati, uno arrestato.

In agosto gli attentati terroristici subiscono un’impennata. Nella notte tra l’8 e il 9 agosto avvengono sette attentati, tutti su carrozze di prima classe. Due esplosioni avvengono sul Roma- Pescara, una sul Roma- Venezia, due sul Roma- Lecce. E ancora sul Trieste- Roma, sul Milano- Venezia e sul Venezia- Trieste; due ordigni vengono disinnescati prima dell’esplosione su un treno Bari-Trieste fermo alla stazione di Venezia Santa Lucia e il secondo sul treno proveniente da Trieste fermo in sosta alla stazione di Milano. Nessuna delle bombe fa delle vittime, e alla fine il bilancio sarà di dodici feriti. In un primo tempo le accuse si rivolgono verso i terroristi altoatesini, ma presto coinvolgono ancora una volta gli anarchici.

Le bombe scoppiano in un Paese dove, a partire dal 3 gennaio 1969, ci sono stati 145 attentati: dodici al mese, uno ogni tre giorni, e la stima forse è per difetto. Novantasei di questi attentati sono di matrice fascista o perché diretti verso simboli partigiani, sedi di gruppi extraparlamentari disinistra, movimento studentesco, sinagoghe etc. o perché gli autori sono stati identificati.

Nel frattempo si intensifica il controllo degli ambienti anarchici; la pressione si fa sentire sempre più forte. A pochi giorni dell’anniversario della Liberazione gli stessi Casile e Aricò subiscono un’irruzione della polizia politica alla ricerca di armi ed esplosivi a Reggio Calabria.

Tra gli episodi che contribuiscono ad infiammare il clima, poche settimane prima dell’esplosione della bomba in piazza Fontana, c’è la morte del giovane Antonio Annarumma, agente di pubblica sicurezza di 21 anni, originario di Monteforte Irpino. Viene ucciso a Milano il 19 novembre 1969, durante le cariche dei reparti mobili della polizia scatenate contro un corteo dell’Unione dei marxisti-leninisti, a conclusione di un comizio sindacale di fronte al Teatro Lirico. La dinamica della morte di Anarumma non è mai stata chiarita. La tesi delle forze dell’ordine, immediatamente accolta dalle forze di destra, è che la morte del poliziotto sia stata causata da una sbarra metallica lanciata dei manifestanti. Secondo la ricostruzione dei manifestanti, invece, il mezzo guidato da Annarumma sbanda scendendo dal marciapiede, scontrandosi così con un’altra jeep della polizia. L’urto avrebbe sbalzato Annarumma dal sedile, facendolo sbattere contro la sbarra che sorregge il telone. Nei giorni seguenti alla morte dell’agente si parla dell’esistenza di un filmato che prova la tesi dell’incidente, ma di questo materiale scompare dall’archivio televisivo nel quale era depositato.La tensione a Milano è altissima. Nel corso della notte seguente alla morte del poliziotto, i reparti mobili minacciano l’ammutinamento e si asserragliano nelle caserme. Il 25 novembre si svolgono i funerali; Mario Capanna, che si era presentato alle esequie per dimostrare l’estraneità del movimento studentesco alla morte del poliziotto, si salva a stento dal linciaggio.

 

 

6.3 Le bombe a Reggio

Nella notte tra il 6 e il 7 dicembre 1969 un ordigno esplode nell’atrio del palazzo della Questura di Reggio Calabria, nella centralissima via dei Correttori, nei pressi di piazza Duomo. Intorno alle 23 la bomba, consistente in trecento grammi di tritolo, viene fatta esplodere sotto la finestra di un seminterrato, in corrispondenza del posto di guardia delle camere di sicurezza. Viene ferito l’appuntato di servizio Antonio Pirrone. Ma l’attentato alla Questura non è che l’ultimo episodio di un serie di esplosioni messe in atto nella provincia reggina negli ultimi due mesi. Gli attentati coinvolgono le sedi della Dc e del Pli, la chiesa parrocchiale del quartiere di San Bruno (in coincidenza di un comizio di Almirante), il supermercato Standa, la chiesa di Marina di San Lorenzo. Gli attentati vengono attribuiti agli anarchici e ai maoisti dalla stampa della catena Monti («Il Tempo» e «La Notte») e dall’informazione locale («Gazzetta del Sud» e «Tribuna del Mezzogiorno»); la città di Reggio è «indignata per il gesto criminale dei dinamitardi di sinistra contro uno dei templi del potere costituito».

«L’ufficio politico della Questura ha richiamato ancora quelle dieci, massimo quindici persone che, a Reggio, si sa che hanno agganci negli ambienti anarchici e maoisti»

«Uno degli elementi sul quale lavorano gli inquirenti è il giovane con barba alla «Che»Guevara…Quest’ultimo indizio- la barba- aveva semmai fatto pensare ad anarchici e maoisti come autori delle tre imprese che hanno scosso l’opinione pubblica reggina»

 

Il 17 dicembre a Roma vengono identificati e arrestati i responsabili della bomba alle questura. Sono due studenti universitari: Giuseppe Schirinzi e Aldo Pardo, che vengono accusati di detenzione di esplosivi, lesioni aggravate e concorso in strage. Pare siano stati identificati da due agenti di polizia che li videro entrare di fretta, poco dopo lo scoppio dell’ordigno, al teatro comunale, dove era in programma «Turandot».

Nel casellario giudiziario appare una serie incredibile di denunce (apologia di fascismo, danneggiamenti, rissa aggravata, lesioni personali etc.) ma mai una condanna. Il loro curriculum politico, alla luce dei tragici avvenimenti di quei giorni, appare significativo: ex dirigenti nazionali della missina Giovane Italia, negli ultimi due anni hanno militato nei ranghi di Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese e di Ordine Nuovo. La bomba in questura scoppia alla vigilia di un evento d’eccezione: il comizio che Junio Valerio Borghese, ospite in un albergo di Reggio dal 6 dicembre, dovrà tenere il giorno successivo in città.

Il comizio, vietato dalla giunta comunale, si svolge ugualmente; la polizia prima invita i dimostranti a sgomberare, poi carica la folla, dalla quale viene aggredita però bombe molotov, manganelli e spranghe di ferro. Trentanove tra le forze dell’ordine e sei tra i civili sono feriti. Nove persone sono arrestate e settantadue fermate. Il giorno successivo la stampa locale racconta gli scontri: innanzitutto, il comizio viene affiancato alla manifestazione della sinistra che si tiene contemporaneamente in una piazza vicina. Manifestazione autorizzata ma, soprattutto, comunista. I sostenitori di Borghese sono definiti anticomunisti, estremisti, facinorosi, simpatizzanti. Gli scontri avrebbero potuto essere evitati se da parte della giunta comunale

«non fosse sopravvenuta la decisione di concedere ai comunisti la piazza e vietare che si tenesse l’annunciato discorso di Junio Valerio Borghese, organizzato dal Fronte Nazionale».

 

6.4 Le infiltrazioni neofasciste a Reggio

A Reggio la destra neofascista ha dei forti legami con i suoi esponenti nazionali; anche qui come nel resto del paese, scrive il giudice Salvini, è in atto un strategia di provocazione da parte di elementi di estrema destra nel tentativo di dirigere e pilotare le manifestazioni e gli interventidi piazza dei movimenti.

E anche a Reggio ilmetodo messo in atto è lo stesso: membri di organizzazioni della destra neofascista cercano di penetrare all’interno dei gruppi anarchici o nei movimenti della sinistra estrema.

Personaggio centrale sembra essere proprio Giuseppe Schirinzi, esponente locale di Avanguardia Nazionale. Legato ad esponenti nazionali di An e Ordine Nuovo, nella primavera del ’68 Schirinzi partecipa ad un viaggio-premio in Grecia , con una delegazione di giovani neofascisti italiani ospiti dell’Esesi, l’organizzazione di studenti ellenici in Italia. Del gruppo, organizzato dal giornalista Pino Rauti de “Il Tempo”, fa parte anche Mario Merlino.

Casile nel corso dell’estate del 1970 è testimone nell’istruttoria del giudice Occorsio sugli attentati di piazza Fontana e sulle altre bombe. Afferma di avere incontrato Schirinzi a Roma proprio nel pomeriggio del 12 dicembre, e di averlo aggredito: nella concitazione della giornata lo accusa di essere stato lui ad aver messo le bombe all’Altare della Patria.

 

Ma Giuseppe Schirinzi appare in più occasioni nelle vicende concitate di questi mesi.

Nell’estate del 1969tenta una vera e propria infiltrazione nel gruppo degli anarchici reggini, con un’operazione simile a quella realizzata da Mario Merlino a Roma. Anche lui propone di costituire un nuovo gruppo «XXII Marzo», ma viene fermato da Casile che riesce ad ottenere proprio la lista dei neofascisti che hanno partecipato al viaggio; ad ottobre tenta di accreditarsi nuovamente al gruppo partecipando alla manifestazione contro la proiezione del film «Berretti Verdi».

Il 26 agosto 1970, un mese esatto prima di morire, Angelo Casile si presenta dal giudice Caudillo e chiede siano messi a verbale proprio questi tentativi di infiltrazione da parte dei fascisti di Ordine Nuovo.

Lumley, op.cit.

Ginsborg , Storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi, vol II, Dal miracolo economico agli anni ’80, Einaudi 1989

Il primo a parlare di «autunno caldo» fu «24 Ore», il quotidiano vicino agli industriali, nel numero del 21 agosto 1969; l’espressione nasce probabilmente da un’analogia con una stagione di rivolte razziali negli Stati Uniti nota come «la lunga estate calda»

Boatti , Piazza Fontana: 12 dicembre 1969. Il giorno dell’innocenza perduta, Einaudi 1999

Istat, Sommario di statistiche storiche in Crainz, Il paese mancato, Donzelli 2003

 

In Crainz, op.cit.

Ginsborg, op.cit.

Ginsborg, op. cit.

Franco Ferraresi, La Strage di Piazza Fontana, in «Storia d’ Italia- La criminalità», Einaudi1997

Lumley, op.cit.

Ad esempio, quando nell’estate 1969 la corrente di destra abbandonò ilpartito socialista da poco riunificato e ricostituì il Psdi, uno dei fogli di Monti, «Il Giornale d’Italia», uscì con questo titolo a caratteri cubitali: Sventato il complotto contro lo Stato! Il testo dell’articolo spiegava come la leadership socialdemocratica avesse impedito al resto del partito di gettare la nazione nelle fauci dell’Impero sovietico

Lumley, op.cit.

Intervista a Raniero Coari in «Umanità Nova», 29 giugno 1997

 

La bomba scoppiò pochi minuti prima delle 19 nel padiglione Fiat della Fiera Campionaria, ferendo una ventina di persone; meno di due ore dopo un secondo ordigno esplode nell’ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni nell’atrio della stazione centrale di Milano, e anche in questo caso i danni si rivelarono fortunatamente lievi.

Dietro alle figure dei Corradini si profila il tentativo di coinvolgere nelle accuse l’editore Giangiacomo Feltrinelli, oggetto a questo proposito di alcune relazioni dell’ufficio affari riservati del ministero dell’interno nelle quali viene indicato come “colui che agiva dietro le quinte e sospetto finanziatore dei filocinesi e di altri gruppi di estrema sinistra.”

AA.VV., La strage di stato, Samonà e Savelli 1970

Intervista a Raniero Coari in «Umanità Nova», 29 giugno 1997

La versione, riportata da diversi giornali, attribuisce il filmato ad una equipe che lavorava per conto dell’Office de la Radio et Télévision Française; le ricerche effettuate degli archivi dell’Ortf si sono rivelate senza successo.

Località dove, durante l’estate, alcuni appartenenti di estrema destra si erano riuniti per un “campeggio marino” organizzato dai fratelli Crea, due industriali legati a Junio Valerio Borghese

«La Tribuna del Mezzogiorno»

, 18 marzo 1969

«La Tribuna del Mezzogiorno», 21 marzo 1969

 

«La Tribuna del Mezzogiorno», 21 marzo 1969

La presenza di Schirinzi a Roma il 12 dicembre 1969, secondo il giudice Salvini, diventa particolarmente significativa alla luce di alcune testimonianze nell’ambito dell’istruttoria che attribuiscono senza alcuna incertezza la commissione materiale dei due attentati all’Altare della Patria ad elementi di Avanguardia Nazionale. Giuseppe Albanese, in particolare, specifica di avere appreso che i responsabili sono esponenti calabresi di quella organizzazione

È di interesse la controversa questione dei gruppi costituiti dagli infiltrati di destra che cambiarono le cifre dall’alfabeto arabo in numeri romani

Ritorna all'inizio - Vai al Capitolo 7

CINQUE ANARCHICI DEL SUD
UNA STORIA DEGLI ANNI SETTANTA

Introduzione

Parte 1

Capitolo 1 Dall’estremo Sud lungo le strade d’Europa

Capitolo 2
La scoperta dell’anarchia

Capitolo 3 L’anarchismo italiano alla ricerca di un nuovo equilibrio

Capitolo 4
L’adesione all’anarchia

Capitolo 5
Controcultura e controinformazione

Parte 2

Capitolo 6
1969:gli scontri di piazza e l’entrata in scena delle bombe

Capitolo 7
La strage di piazza Fontana

Capitolo 8
La rivolta di Reggio Calabria

Capitolo 9
Il deragliamento della “Freccia del Sud”

Capitolo 10
Nella notte di Ferentino

Capitolo 11
Luci e ombre di un incidente

Bibliografia