L’archeologia fa notizia

Dopo anni,  – proprio anni –   di preparazione certosina, il “nostro” Angelo Cimarosti, è di nuovo online con un diverso e originale esperimento di giornalismo professionale e partecipato. Ne più e ne meno come nel 2008, – anno di nascita dell’altro fantastico laboratorio praticato di giornalismo: prima immaginato e poi realizzato da Cimarosti – allora –  assieme ad “alcuni altri avventurosi e coraggiosi  imprenditori dell’informazione e del video reportage”(De Nicolo e Bauccio per non fare nomi) –  ricordate YouReporter? Con alcune differenze sostanziali, rispetto al primo progetto del “nostro”, ecco giungere dodici anni dopo: ArchaeoReporter. La prima differenza è che Angelo in questo suo nuovo lavoro viaggia in solitaria. La seconda è che nel lavoro di preparazione a questa nuova avventura Angelo ha inserito una laurea in archeologia, conseguita in lingua inglese presso un prestigioso campus britannico. La terza, la più importante,  è che nel frattempo Angelo  è diventato prima marito e poi padre.

 

Differenze di spessore e di intenti,  non indifferenti,  per chi vuol praticare questo mestiere –  che nel frattempo – è arrivato ad un giro di boa: forse l’ultimo? Certamente nel BelPaese la vicenda Inpgi – di cui in questa sede e in particolare dentro a questo articolo –  non ci occuperemo; rischia di essere un sentiero di non ritorno per la categoria. Così come gli Stati Generali del Giornalismo – convocati, realizzati, e poi rimasti clamorosamente inascoltati da tutti i soggetti in campo – sono stati una rappresentazione davvero precisa della filiera di produzione dell’informazione italiana, conclusasi però in modo a dir poco, inglorioso.   Inutile aggiungere poi, che nel frattempo,  la crisi delle edicole, delle vendite dei quotidiani di carta, il tracollo più o meno manifesto e totale, dei  media mainstream in generale, e la nascita di nuovi soggetti – molto spesso fuori dall’industria dell’editoria di informazione –  hanno aggiunto complessità, per dirla con il nostro Piero Dominici  – ad un settore che si dichiara in crisi da anni e che da altrettanto tempo, non sembra avere concreta intenzione di porre rimedio a questa tanto sbandierata situazione di emergenza.

 

Ma torniamo al nostro Angelo. Compagine societaria ristretta, quella della sua nuova avventura professionale, ma certamente redazione articolata e composita, pronta a voli pindarici di grande spessore tecnico e artistico, e a preziosismi di approfondimento giornalistico di ottimo livello,  nei molteplici servizi che fanno già bella mostra di sé sul sito: questa è di primo acchito l’impressione che si ha visitando la pagina di atterraggio del sito di ArchaeoReporter. E invece è tutta farina del sacco Cimarosti,  tutto  il lavoro ben rappresentato in pagina è opera di un’unica persona. La scelta –  ci ha detto lo stesso Angelo –

 

 

 

…è stata per ora  di lavorare con calma in solitaria. Un’opera in punta di fioretto. Un lavoro di cesello più che una costruzione imponente e articolata. L’archeologia  – oggi più che mai –  non è un posto, una disciplina, un oggetto da confinare in un museo o in biblioteche; bensì un settore in forte espansione e sempre più legato al turismo, e alla valorizzazione dei singoli territori.

 

 

Come va di moda dire oggi, – continuiamo noi –  dentro al marketing territoriale. Espressione orribile,  ma molto usata dentro le istituzioni pubbliche del BelPaese. Che tradotta significa valorizzare posti e luoghi in modo coordinato e multidisciplinare. Se in un territorio ci sono prodotti squisiti, vestigia storiche e architettoniche di pregio, personalità di spicco, scienziati di vario tipo, e magari pure due o tre eroi o santi o navigatori: si mette tutto dentro uno shaker chiamato appunto “marketing territoriale” e si crea e si vende un unico prodotto, promuovendo quel luogo su ogni mercato possibile del turismo e non solo; invece di proporre i soliti “viaggetti” –  come direbbe Crozza quando imita il governatore della Campania De Luca – dentro alle  solite nicchie o agli ambiti specifici  del turismo, più o meno di massa.

 

 

Ma cosa è davvero questo sito? E cosa intende fare, oltre a trasformare in giornalismo l’archeologia e le spedizioni – Indiana Jones permettendo – alla scoperta di manufatti nascosti e preziosi, tuttora in corso in numerosi luoghi dell’Italia e del mondo intero?  Rispondiamo a queste risposte prendendo a prestito un paio di espressioni usate dallo stesso Angelo  Cimarosti nel descrivere altrettanti box di rubriche fisse inserite nella home page di ArcheoReporter,:

 

 

Non c’è nulla di più contemporaneo dell’archeologia.
È un nostro pensiero, ma noi vorremmo conoscere i vostri, e le vostre critiche, indicazioni e suggerimenti.

 

 

e ancora:

 

 

Volete raccontare il vostro scavo? Documentare il vostro intervento di archeologia preventiva? Diffondere i risultati della vostra ricerca oltre il pubblico degli specialisti? Un restauro? Il vostro museo?
Invitare il pubblico ad un’iniziativa sul vostro sito? Scriveteci

 

 

 

 

E dunque, permetteteci la ripetizione: “l’archeologia fa notizia” è proprio il caso di dirlo, e soprattutto –  vorremmo aggiungere –  l’archeologia fatta da giornalisti,  fa ancora più riflettere e appassiona nel proporre uno sguardo diverso sui territori di ogni luogo del mondo,  per riuscire a raccontare fatti e vicende di ogni tempo e  documentare l’apparizione e il tragitto dell’uomo, da quando  è arrivato su questa rotonda sfera celeste in viaggio nello spazio. Un connubio questo, abbastanza scontato a nostro avviso, ma che non ha riscontri, o quasi, in Italia, e nemmeno in giro per il  mondo dell’informazione. E invece, sempre a nostro personalissimo avviso, è proprio verso prodotti editoriali di questo tipo che il nostro mestiere dovrebbe provare ad approdare, se si volesse davvero cercare di porre un freno all’emorragia – vero o presunta che sia – del lavoro giornalistico in Italia. Non a caso nel nostro digitTour dal vivo di inizio d’anno e poi nelle nostre recenti “lezioni da remoto” che abbiamo tenuto per gli alunni dei corsi di comunicazione pubblica e di sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Perugia la scorsa settimana, abbiamo affrontato proprio il tema dei cosiddetti “riders dell’informazione”.    

 

L’ardito parallelismo fra ciclo fattorini e giornalisti,  concepito qui a bottega,  per proporre un metodo nuovo e una nuova visione per  risolvere le gravi problematiche della categoria. ArchaeoReporter, tema a parte, nasce proprio da questa riflessione. Fare giornalismo in modo professionale e diverso dai soliti schemi produttivi, rispettando le regole di fondo: deontologiche e di macchina; per riuscire a produrre notizie di spessore e magari esclusive, reportage inediti, interviste e inchieste dedicate. Tutto teso e improntato alla valorizzazione e alla divulgazione dell’immenso e sconosciuto patrimonio archeologico/culturale e territoriale di luoghi e popolazioni del nostro Paese e – perché no – del mondo intero. Attivando connessioni –  del resto non è forse questo il più grande messaggio che dovremmo attingere dal concetto di rete – dove ancora non siano stati attivati, o anche semplicemente visti, notati, o ancora nemmeno creati, questi collegamenti. Del resto a cosa serve il giornalismo? Oggi più che mai a renderci liberi, a creare le condizioni per una reale emancipazione per ciascuno, a mettere a fuoco processi, persone e luoghi – reali o virtuali – che non vedremmo mai dentro all’agone mediatico, dentro alla confusione dei dati, dentro alla moltiplicazione esponenziale del rumore di fondo che è e sta sempre più diventando questo nostro mondo in “overload” perenne.

 

Ma se parliamo di giornalismo e non solo di archeologia,  cosa è più importante per un “nuovo” giornale dall’avere uno o più scoop  fra i propri articoli?  Nella video intervista a destra del reportage sul sito archeologico di Nora, in Sardegna, che apre la home page di ArchaeoReporter,  troviamo proprio il primo scoop della nuova testata. Si parla di una scoperta davvero eccezionale. La decifrazione di una delle scritture più antiche della storia dell’Umanità. Una scrittura scoperta da tempo ma il cui significato era rimasto ignoto fino ad ora. Come spiega la pagina di Wikipedia sul tema:

 

“L’elamita lineare è un sistema di scrittura indecifrata dell’età del bronzo, usata a Elam, nota soltanto per le sue monumentali iscrizioni. Venne usata contemporaneamente a quella elamita cuneiforme e probabilmente nella lingua elamica”.

 

 

Nel pezzo di apertura di ArcheoReporter si parla proprio della decifrazione – e questo è lo scoop – della prima scrittura fonetica della storia dell’Umanità che si chiama appunto: “l’elamita lineare”.  Come spiega lo stesso Angelo Cimarosti nel testo che accompagna il video:

 

 

a illustrare la scoperta è l’orientalista Francois Desset che ha decifrato una delle antiche scritture scoperte,  (tra i 4 .000 e i 5.000 anni fa, nell’Iran Meridionale) che ancora resistevano alla decifrazione. In anteprima, il ricercatore, visiting professor dell’Università di Padova, mostra una delle 40 iscrizioni da lui tradotte, ancora in attesa di pubblicazione. La scoperta di Desset, che è ricercatore all’università di Teheran e membro del CNRS team Archéorient, apre importanti prospettive per lo studio dell’antica Asia centrale e i rapporti con il Vicino Oriente, molto oltre le civiltà Mesopotamiche.

 

 

Di seguito il video integrale estratto dal sito di ArcheoReporter:

 

 

 

 

Grazie come sempre del tempo e dell’attenzione che ci avete concesso ;)

Questo è il link al sito di ArchaeoReporter:      https://www.archaeoreporter.com/

Alla prossima!