Ma il bacino di lettori dei quotidiani si sta davvero contraendo?

In un dialogo a distanza con Alan Mutter, un noto esperto di economia dei media, Dean Starkman, della Columbia Journalism Review, cerca di dimostrare che in realtà, al di là del calo della diffusione delle edizioni su carta e della necessità di ritoccare in negativo i dati sui visitatori unici dei siti web, il bacino di lettori dei quotidiani si sta espandendo –  E che, come ha dimostrato uno studio sull’ ecosistema informativo di Baltimora,  i giornali (e i media tradizionali) continuano ad avere un ruolo preminente nel processo di produzione delle notizie.

 

Anche se non si sa come da questa posizione di forte influenza su tutto l’ ecosistema dell’ informazione possano venir fuori dei soldi – Pubblichiamo la traduzione integrale dell’ articolo di Starkman e i dati completi raccolti da Mutter

 

 

Are newspaper audiences really shrinking?
A dialogue with Alan Mutter

di Dean Starkman

(The Audit)

 

Qualche giorno fa Alan Mutter aveva scritto un post – “The incredible shrinking newspaper audience” – che mi aveva fatto pensare: ma davvero l’ audience dei giornali si sta restringendo?

 

Quindi l’ ho chiamato, ne abbiamo parlato ma non ci siamo trovati d’ accordo. Molto dipende, naturalmente, da che cosa si intende per audience.

 

Ma in realtà, secondo me, essa sta crescendo.

 

Alan cita degli studi del Pew, secondo cui, in sistesi (in chiusura ci sono i dati integrali riportati da Mutter, ndr): la percentuale di persone che nella settimana precedente il ‘sondaggio’ hanno letto un giornale locale per informarsi andava dal 36% delle aree metropolitane al 42% dei piccoli centri; la penetrazione web non era molto migliore; il 44% degli americani possiedono uno smartphone e il 22% un tablet; due terzi del campione usano settimanalmente ‘’tre o più fonti’’ di informazione locale.

 

E cita anche uno studio del New York Times, secondo cui mentre il 53% della Boomer generation (55 anni e più) dice di leggere i quotidiani su carta, solo il 22% dei Millennials (18-34) e il 32% della Generation Xers (35-54 ani) ricorrono alla carta; mentre  ‘’l’ uso dello smartphone è più forte fra i giovani che fra i Baby boomers’’.

 

Ci sono una serie di vaghe sensazioni che circolano attorno alla questione dei quotidiani in questo periodo. C’ è una idea generale secondo i giornali starebbero andando di corsa verso il disastro e diventando sempre più irrilevanti. C’ è l’ idea, in un segmento dell’ industria editoriale dei giornali, secondo cui mentre gli abbonamenti calano i lettori crescono e ci si culla in questa convinzione. E ci sono gli esperti, come Mutter, convinti che il settore si stia baloccando con questo problema.

 

Naturalmente c’ è del vero in tutte queste posizioni, ma qui stiamo discutendo di dimensioni dell’ audience.

 

Cominciamo con i dati della (non-disinteressata) Newspaper Association of America, che raccoglie i numeri della diffusione e li passa a ComScore e Nielsen. I dati dicono:

 

– La diffusione dei quotidiani su carta è scesa molto, 20 per cento, a 44,4 milioni, dai 55,4 milioni del 2000.

– I visitatori unici dei siti dei quotidiani sono sui 110 milioni/mese quest’ anno, in leggero aumento (7%) rispetto ai 103 milioni circa della fine del 2010, secondo i dati comScore.

 

Alan ritiene che c’ è un po’ di confusione in questi dati sul Web, e in effetti c’ è. E’ da parecchio che si discute di “visitatori unici” come di un termine di misurazione problematico: se leggo il Chicago Sun-Times sul mio telefono e sul computer, mi contano come due. Non si può mettere insieme abbonati alla carta e visitatori web perché possono essere le stesse persone, e spesso capita.

 

Inoltre, e quello che dice Alan è innegabile, non si tratta più del pubblico ‘’fedele’’ di una volta. La gente che arriva su un sito tramite un link di Facebook non è la stessa che compra un abbonamento all’ edizione cartacea ed è più probabile che sia ‘’fedele’’ a Facebook che alla fonte del link.

 

Quindi, è necessario ritoccare i dati della NAA relativi al Web, ma di quanto? Chi lo sa, anche se un bel po’ sopra lo zero.

 

Alan mi ha inviato un link che cita l’ analista Greg Harmon, uno che ha speso un sacco di tempo sul problema della misurazione del traffico quotidiano Web:

 

Come Harmon ha scoperto studiando il traffico sui siti web di decine di giornali per diversi anni, i consumatori di notizie online non sono tutti uguali. Il pubblico, spiega, si divide in tre categorie nettamente differenti:

– un 25% di lettori fedeli, che visitano il sito del giornale una media di 20 volte al mese e spesso più volte al giorno.

–  un 21% di lettori saltuari, che visitano il sito da una a tre volte al mese.

– un 54% che Harmon chiama “fly-sosta”: persone che possono capitare una volta al mese seguendo un link su un altro sito che li dirige vero il giornale.

 

 

Chiaramente, molti dei 110 milioni di persone che visitano i siti web dei giornali, probabilmente la metà, non sono abbonati all’ edizione su carta, e molti altri invece lo fanno in modo regolare. E quello che servirebbe sono 11 milioni di lettori sul web per tornare alla consistenza del pubblico dei giornali che c’ era nel 2000. Sono pronto a ritoccare i dati del traffico Web di parecchio, ma non del 90 per cento.

 

Quindi, sia in senso tecnico che nella realtà l’ audience dei giornali si sta espandendo.

 

Alan dice in una nota:

     Certo, è giusto dire che un sacco di gente guarda gli articoli di giornale in momenti diversi della giornata. Ma la lettura occasionale – determinata da un motore di ricerca o dai social media – non ha la stessa consistenza e persistenza di quella dei lettori che hanno pagato.

 

Non c’ è dubbio. Ma diciamo che c’ è una divergenza sulla definizione di audience.

 

Non sto dicendo che questi numeri sono qualcosa di particolarmente eccitante: ma solo che il bacino di  lettori  per i giornali locali è più grande di quanto si pensi, se si include il traffico Web, e forse significativamente più ampio.

 

Questo rende i giornali grandi? No. Rende il loro futuro luminoso? No. L’ industria utilizza allora i suoi dati, col trattamento comScore, per illudersi? Sì, non ci sono dubbi.

 

Ed è innegabile, come Alan suggerisce qui di seguito, che su base relativa, i giornali si stiano infatti restringendo.

 

Ma valgono anche i termini numerici assoluti e ci sono un paio di cose da tener presente quando si analizzano l’ audience e l’ influenza dei quotidiani.

 

Quando Pew, o chiunque altro, riferisce che le persone intervistate hanno dichiarato di utilizzare “Internet”, i “social media”, i “dispositivi mobili”, o i media digitali come una “fonte” per le notizie locali, questo non significa che la notizia stessa viene da una testata giornalistica non tradizionale. Come vedremo, è molto più probabile che sia vero il contrario.

 

Pew dice, ad esempio:

 

Coloro che vivono in città o nelle periferie urbane usano con regolarità una più ampia varietà di fonti di notizie locali. Quasi la metà dei primi (45%) e dei secondi (51% per cento) utilizzano una combinazione di canali locali tradizionali, online e mobili per l’ informazione locale, rispetto al 38%  di coloro che vivono in città piccole e il 27% dei residenti in zone rurali .

 

Ma, i termini “online e mobile” si riferiscono ai dispositivi che distribuiscono quell’ informazione non  a chi la produce. Lo stesso vale per gli aggregatori, a volte indicati come fonti digitali “native’’ nello studio del New York Times.

 

Come Pew Tom Rosenstiel, del Pew, mi dice in una nota:

 

 

    Ottenere, a partire dai dati dell’indagine, un dato preciso su quante persone hanno utilizzato contenuti prodotti dai giornali è abbastanza difficile per una serie di motivi.

    Se la gente usa un aggregatore come Yahoo News o Huffington Post, può non riconoscere la fonte originale del contenuto cui accedono.

    Allo stesso modo, se l’ utente sta leggendo un articolo di una agenzia di stampa può non sapere come classificarlo. Se l’ accesso ai contenuti avviene attraverso un motore di ricerca, come Google, e cliccando su link multipli, ugualmente può non essere in grado di ricordare o identificare la “fonte” che ha prodotto quella notizia.

           Aggiungi poi alla sfida di separare la fonte dalla piattaforma la difficoltà del linguaggio e della classificazione … chi è un aggregatore ora? Chi è un produttore? Con l’ espansione della  tecnologia, anche descrivere delle piattaforme diverse o fare in modo che la gente capisca la domanda diventa difficile.

 

    Infine, vi è la sfida relativa al fatto che le persone non consumano i media allo stesso modo ogni giorno. La maggior parte degli americani leggono i giornali e guardano la TV. Quello che si sta restringendo è l’ utente che consuma tutti i giorni e sette giorni alla settimana, perché la gente ha tante altre opzioni. La tecnologia digitale è un sistema di erogazione. A volte, meno spesso, una fonte. Ma queste sono differenze concettuali difficili da ‘’catturare’’ in un sondaggio nazionale su un campione rappresentativo della popolazione.

 

 

Capito. Ovviamente, dal momento che i giornali continuano a guadagnare molto di più dal settore della stampa piuttosto che dal digitale, il fatto che molti utenti possano cercare l’ informazione tramite smartphone o tablet non è necessariamente una grande notizia per loro. Il fatto che il nocciolo duro del pubblico di riferimento dei giornali stia invecchiando e che solo un quinto dei lettori più giovani si informano attraverso la stampa (anche se, come vedremo, qui si apre un altro problema) non fa ben sperare neanche.

 

Ma, d’ altra parte, questo non significa che il pubblico dei quotidiani si stia restringendo. È vero anzi il contrario.

 

Perché è importante?

 

La risposta è in uno studio, sottovalutato, che il Pew fece nel 2010 sull’ ecosistema informativo di Baltimora, “How News Happens” (un grande lavoro, e non solo perché conforta le mie intuizioni), che analizzava dove venivano prodotte le notizie relative a sei vicende di argomento diverso (una sparatoria della polizia, gli annunci di tagli di bilancio, la chiusura di un teatro locale, ecc). La risposta, naturalmente, è stata: il Baltimore Sun, altri giornali, emittenti televisive locali e altre fonti “tradizionali”, mentre i nuovi media erano una piccola frazione.

 

Ecco il grafico:

 

 

Se leggete il rapporto vedrete che la percentuale dei social media sembra più grande qui di quello che è in realtà. Per esempio, viene dato come fonte Twitter un tweet inviato da un reporter del Sun.

 

La valutazione di base insomma è che la straordinaria quantità di “nuove notizie” sulle principali vicende locali viene da giornali e TV.

 

Questa è l’ influenza ‘’clandestina’’ dei media tradizionali sull’ ecosistema dell’ informazione. Si può ricavare qualche centesimo da questa influenza? Questo non lo so.

 

Guardando comunque da un altro punto di vista: quello che sembra essere un ambiente informativo tanto fiorente si basa in realtà su un sistema di raccolta delle notizie news gravemente indebolito.

 

Naturalmente i blog hanno prodotto articoli e servizi importanti,  anche a Baltimora. Ed è vero che la gente ora si affida a molte fonti per l’ informazione locale, circa 300 a Chicago, ad esempio, come ricostruisce  questo nuovo studio della Community Chicago Trust.

 

Ma lo studio di Baltimora, mi dice Rosenstiel, è l’unico che segue il percorso delle notizie fino alla loro fonte originaria, e la fonte è costituita dalle testate giornalistiche tradizionali.

 

Una parola finale da Alan:

 

Sono d’ accordo sul fatto che i giornali hanno un’ influenza che va oltre il loro marchio, ma è sempre stato così, essendo stati fino ad oggi la fonte primaria della diffusione delle notizie. Poiché i pubblici di entrambi, giornali ed emittenti, nell’ era digitale si sono frammentati, nessuno di loro ha più la quota di mercato, il potere di richiamo e la forza commerciale che avevano prima dell’ arrivo della Rete.

 

 

Mi sembra giusto.

 

Ma, il fatto che l’ enorme quantità delle notizie viene ancora da redazioni di giornali rinsecchiti è decisamente una notizia che non va bene per nessuno.

 

Tra l’ altro, lo studio del 2010 su Baltimora aveva scoperto anche che chi dà il via alle storie – chi decide l’ agenda delle notizie, in pratica – era il governo (il 62% di articoli e servizi).
Ma questo è un altro discorso.

 

Se ho ragione nel dire che il pubblico dei giornali è in crescita, e non in via di contrazione, e se lo studio del Pew è rappresentativo, allora sono i giornali e gli organi di informazione tradizionale a sostenere ancora l’ ecosistema dell’ informazione.

 

Questo è giusto riconoscerlo di per sé stesso. Un’ altra questione è invece cosa possano fare i giornali locali per allineare la forza del marchio e la quota di mercato alla loro influenza.

 

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The incredible shrinking of newspapers audience  

I dati di Alan Mutter

 

 

– Secondo uno studio realizzato nel settembre scorso dal Pew Research Center, il numero delle persone che nella settimana precedente il sondaggio hanno letto un giornale per l’ informazione locale va dal 36% delle aree urbane al 42% delle piccole città.   Secondo quella ricerca il ‘’consumo’’  dei siti web dei giornali era più debole che quello della stampa, con dati che andavano dal 31% delle aree metropolitane al 20% dei mercati più piccoli. Al contrario il peso delle emittenti televisive locali era pari al 65% nelle grandi città e al 72% dei piccoli centri e delle aree rurali. L’ uso della tv via web andava dal 27% delle grandi al 21% delle piccole città.

 

– In un altro  studio pubblicato in settembre, Pew ha osservato che il 44% degli americani possiedono uno smartphone e il 22% un tablet (una percentuale doppia rispetto all’ anno scorso). In pratica quasi la metà della popolazione americana ha un dispositivo mobile e i due terzi di questo gruppo lo usa nel campo dell’ informazione. Il consumo di notizie, secondo Pew, era per importanza la seconda attività dopo le email.

 

– In questo secondo studio Pew osservava che complessivamente i due terzi dei consumatori usano tre o più fonti per la cronaca locale ogni settimana. ‘’La popolazione urbana o suburbana usa un’ ampia gamma di fonti dfi informazione locale in modo regolare’’, osservava Pew.  ‘’Pressoché la metà dei residenti nelle zone urbane (45%) e suburbane (51%) usano un insieme di strumenti tradizionali, online e mobili per l’ informazione locale, rispetto al 38% di coloro che vivono in piccoli centri o al 27% dei residenti in zone rurali’’.

 

– Il netto gap generazionale nel campo della lettura dei giornali è illustrato in uno studio realizzato qualche settimana fa dal New York Times. Mentre il 53% della Boomer generation (55 anno e più) dice di leggere i quotidiani su carta, solo il 22% dei Millenials (18-34) e il 32% della Generation Xers (35-54 ani) usano quel mezzo. Come si vede nella tabella sotto, il consumo di informazione online è invece ragionevolmente consistente in tutte le fasce d’ età, mentre l’ uso degli smartphone è più elevato fra i più giovani rispetto ai Boomers.

 

 

– Un’ altra conferma del divario generazionale viene da uno studio  realizzato l’ aprile scorso da Burst Media, un’ azienda specializzata in pubblicità mirata. La ricerca aveva scoperto che  Facebook era solo al secondo posto fra i siti a cui i sub-Boomers attingevano per le notizie politiche. Mentre il 44% dei Millennials utilizzavano i siti giornalistici per l’ informazione politica, il 22% usavano Facebook e il 17% YouTube. Dall’ altra parte dello spettro, il 53% dei boomers si affidava ai siti di informazione e solo l’ 8% a Facebook, e il 7% a YouTube. Mentre per i GenXers la percentuale era:  49% per i siti di notizie, il 12% Facebook e il 6% YouTube.

Supponendo che i più giovani non abbandoneranno presto i loro giochi a favore della carta, gli editori che sperano di mantenere il valore delle loro zone di influenza dovranno investire in maniera aggressiva per allargare il proprio pubblico e le opportunità di reddito molto oltre i limiti angusti del loro attuale, monolitico, e sempre più fragile businesses.

Certo, è una cosa più facile a dirsi che a farsi, ma l’ alternativa a un profondo impegno per lo sviluppo strategico del pubblico di lettori è lasciare che il bacino di lettori e  le entrate si inaridiscano al punto che i costi ruperino il beneficio di stare nel campo dell’ informazione e della pubblicità locale.

 

Sulla base del calo del 6,6% dei ricavi pubblicitari dei quotidiani nella prima metà di quest’ anno, le vendite non saranno superiori ai 22,5 miliardi di dollari nel 2012 – e cioè meno della metà del picco raggiunto dal settore nel 2005, 49,4 miliardi.

 

Mentre la Borrell Associates (che, come la maggior parte di noi, non sempre è perfettamente preveggente) ha previsto coraggiosamente una crescita dello 0,5%  nelle entrate pubblicitarie dei quotidiani l’ anno prossimo e per l’ online aumenti a una sola cifra nei prossimi anni,  gli editori non dovrebbero farsi ingannare da qualche piccolo rimbalzo provocato da un economia in fase di miglioramento.

 

Fino a quando le aziende editoriali di quotidiani non troveranno il modo di collegarsi ai pubblici giovani, c’ è veramente il rischio che essi vengano marginalizzati al punto da diventare irrilevanti.