Il Guardian, ex sostenitore dei contenuti gratuiti

Proseguono in tutto il mondo sperimentazioni e rilanci degli editori per portare i lettori ad una partecipazione economica che cerca di non perdere di vista le entrate pubblicitarie – Alcuni, come il Guardian, differenziano l’ accesso mobile da quello a postazione fissa, con l’ evidente convincimento che i primi abbiano maggiore disponibilità economica dei secondo, mentre altri, come il New York Times, tentano di sedurre i propri lettori offrendo una certa quantità di contenuti gratuitamente

 

di Antonio Rossano

 

Dal 13 gennaio il Guardian ha attivato l’ accesso a pagamento delle sue versioni Ipad dotate di sistema operativo IOS 5 che prevede un contributo mensile di 9,99 sterline (12 euro).
Lanciata come gratuita a metà ottobre 2011, grazie alla sponsorizzazione di Channel 4, l’ applicazione è stata scaricata fino ad oggi 500.000 volte, ma con un numero effettivo di utenti di poco sopra la metà (280.000) e rimarrà gratuita per gli abbonati alla versione cartacea (che pagano 27,38 sterline (33 euro/mese).
Se il Guardian riuscirà a convertire al pagamento anche solo un 17% di questi 280.000 utenti, pari a 47.600 utenti paganti, potrà realizzare un introito mensile di quasi 475.000 sterline (circa €570.000).
Gli utenti che avevano scaricato in passato l’applicazione su IOS5, riceveranno da subito la richiesta di pagamento, mentre per i nuovi utenti che scaricano l’ app, la “strategia” è di fornire un periodo di prova di sette giorni al termine dei quali  viene richiesta la sottoscrizione.
Il Paywall per IOS5 è sostanzialmente diverso da quello che il Guardian ha introdotto sugli Iphone, che consente agli utenti di leggere liberamente tre articoli al giorno, prima che scatti la richiesta di abbonamento mensile (£ 2,99 per sei mesi, £ 4,99 per dodici e libero negli USA).
Sembrano lontani i tempi in cui il Guardian descriveva il progetto di Murdoch di creare dei paywall per le principali testate del gruppo, come un progetto che poteva “violare la legge anti-trust”: i paywall a firma News Corp su Times e Sunday Times sono stati realizzati e dopo un avvio che aveva le caratteristiche del fallimento, con il passo della tartaruga ed i risultati della cicala, il progetto inizia a produrre dei risultati “incoraggianti”. Nessuna violazione della legge anti-trust quindi, bensì qualche problema di validità e di credibilità del progetto, come sostiene Clay Shirky.
Ovviamente non bisogna dimenticare che Guardian continua a sostenere la sua posizione di sostenitore di contenuti liberi (“stalwart of free content” come lo definisce paidContent )  per gli utenti internet da postazione fissa, ma la gloria della posizione ed il conseguente benefico effetto marketing-mediatico si riducono molto se ricordiamo che, come annunciato da Morgan Stanley nei suoi Internet Trends ad inizio del 2010, gli utenti internet su mobile supereranno entro il 2013 quelli su desktop.
Nel frattempo però, anche le pubblicazioni digitali da postazione fissa, stanno selezionando e sperimentando modalità di accesso a pagamento.
Lo scorso marzo il New York Times ha esordito con un modello di paywall “a soglia”, sul modello di giornali economici come il Financial Times, che prevede la lettura libera di 20 articoli mensili superati i quali, scatta la richiesta di pagamento. Questo tentativo sembra stia dando dei buoni risultati.
A Settembre del 2010 anche il defunto News Of The World aveva lanciato un suo paywall per web e Ipad  (1,99 sterline/mese) “ma la sua prematura scomparsa ci ha lasciati orfani di dati sulla sua efficacia”,  ricorda Nick Bell, direttore dei prodotti digitali di News International. E questo perché il gruppo di Murdoch sta pensando di lanciare un paywall sul domenicale superstite, “The Sun”, ma con molte perplessità perché, dopo la ingloriosa fine del NOTW, il segmento dei periodici in Inghilterra ha subito un forte ridimensionamento.