Aggressione alla ‘’erede’’ della Politkovskaja, ‘’i veri delinquenti non si troveranno’’

I presunti colpevoli dell’ aggressione di Elena Milasina, considerata l’ erede di Anna Politkovskaja alla Novaja Gazeta, sono stati arrestati – Come al solito in queste vicende, per la polizia si tratterebbe di ‘’normale’’ criminalità,  mentre per la giornalista e la Novaja si sarebbe trattato di un attentato motivato dall’ impegno giornalistico di Elena sulle questioni del Caucaso – Tanto che i poliziotti che hanno svolto le prime indagini, ricorda Elena, ‘’dicevano in continuazione: non serve scrivere e dimostrare niente. Soprattutto in televisione’’ .

 

‘’I veri delinquenti, soprattutto se l’ aggressione è legata alla mia attività professionale, non si troveranno. Non solo, perché questo rovinerebbe la gloriosa tradizione russa. La causa è più banale e terribile: l’ assoluta mancanza di professionalità e l’ assoluta indifferenza’’

 

 

di Valentina Barbieri

 

 

Il “buonsenso” suggerirebbe ad un giornalista russo di non raccontare troppo a lungo e dettagliatamente le vicende di altro giornalista russo finito male.

Lo stesso buonsenso suggerirebbe altresì ad un giornalista russo di non voler proseguire le inchieste del giornalista prima citato.

 

Elena Milašina, corrispondente della Novaja Gazeta, è l’ennesima giornalista russa aggredita nel suo paese. Come Anna Politkovskaja, anche la Milašina si occupa di giornalismo d’ inchiesta e soprattutto della questione del Caucaso settentrionale.

 

La Milašina è stata aggredita il 5 aprile di quest’ anno – ad un solo giorno dalle elezioni presidenziali delle quali aveva denunciato la pressione sui giornalisti – mentre camminava per le vie di Balašicha con Ella Asojan, collaboratrice della ong Freedom House.

 

Il 14 aprile i colpevoli sono stati individuati ed arrestati: due ragazzi senza lavoro, con precedenti penali, nati nel 1982 e 1985.

 

I colpevoli sono stati arrestati grazie alla precisione delle descrizioni di Ella Asojan, che oltre ad essere una delle vittima dell’ aggressione, è stata la principale testimone dell’ accaduto.

 

“Dalle parole degli arrestati l’aggressione risulta essere stata compiuta per motivi contingenti e impulsivi e non è in nessun modo legata all’attività professionale dei feriti” ha dichiarato la polizia, aggiungendo che la stessa versione è confermata anche dai documenti dell’indagine.

 

Le versioni dei fatti della Milašina e della polizia divergono in vari punti. Secondo la giornalista la polizia sarebbe arrivata sul luogo del pestaggio più di un’ora dopo l’accaduto; la seconda versione invece indica che la pattuglia è arrivata in tempo ma non ha trovato i feriti nel posto indicato dal testimone.

 

A differenza delle forze dell’ordine, la giornalista non esclude che l’aggressione sia legata alla propria attività professionale, sostenendo – anzi- di essere stata picchiata in modo mirato, come se in questo stesse il senso principale dell’ accaduto. La redazione della Novaja si allinea sulla stessa versione, arrivando a scrivere: “Vorremmo davvero pensare che non si sia trattato di un attentato ma di un reato qualsiasi. Ma diversi elementi ci portano a vederla in un altro modo: l’aggressione alla giornalista della Novaja Gazeta e alla sua collega è stata un’azione pianificata ed abilmente eseguita’’.

 

Pubblichiamo di seguito il racconto che Elena Milašina ha fatto dell’intera vicenda, pubblicato sulla Novaja Gazeta il 9 aprile (link)

 

Mi hanno tirato per il cappuccio e hanno iniziato a picchiarmi in testa

 

“Sono passati cinque giorni da quando siamo state aggredite io e Ella Asojan, collaboratrice di Freedom House, organizzazione per la difesa dei diritti dell’uomo. Ella è una mia carissima amica e mi sento colpevole nei suoi confronti: è per colpa mia che l’ hanno picchiata. Ma è stata una fortuna per me che lei ci fosse. La mia fantasia (che spesso galoppa) si rifiuta di immaginare  come avrebbe potuto finire se io fossi stata sola.

 

E’ evidente che se io ho sofferto di più (mi hanno colpito più a lungo e con più cattiveria) è stata proprio Ella la principale testimone dell’ episodio. Lei ha visto e memorizzato tutti i dettagli dell’ aggressione: dal momento in cui nel viale buio (in cui proprio la notte tra il 4 e il 5 aprile non funzionavano i lampioni, cosa piuttosto strana per il nostro quartiere, un viale in cui, fra l’ altro,  non c’è nessuna videocamera) sono apparsi dietro di noi in due e ci hanno seguito, aumentando il passo e fino al momento in cui questi due, per nulla intimoriti dalla comparsa di tre testimoni (abitanti del quartiere), sono tranquillamente scomparsi in direzione di Ščelkovskij šosse.

 

Quando stavo iniziando a rielaborare l’accaduto è arrivata alla Novaja Gazeta la notizia secondo cui l’aggressione sarebbe stata presumibilmente una banale rapina. Vorrei davvero pensarla così.

Alla fermata del bus Ella ed io abbiamo comprato una bottiglietta d’acqua e si è avvicinato a noi un ragazzo, ha visto che tenevo i soldi nella tasca dello zaino. Ero assolutamente sicura che fosse stato proprio lui a seguirci e a colpirci.

 

Poi ho saputo che Ella aveva visto entrambi gli aggressori. Chiarisco: questo ragazzo dai tratti slavi (totalmente ubriaco, a proposito) non ha preso parte all’aggressione. Dalla fermata al luogo dell’ aggressione (400 m circa) non ci ha seguito nessuno. Probabilmente ci aspettavano.

 

Due persone dai tratti non slavi ci hanno seguito. Quello che ha aggredito Ella l’ ha colpita sulla gamba, le ha tirato un calcio, l’ ha spinta e le ha portato via entrambe le borse. Lei è riuscita a dargli un calcio sullo stomaco, è volato via. Ella si è alzata in piedi e … ha ripreso al delinquente la sua borsa con i soldi e documenti. E’ un fatto incredibile, che dice molto. Il delinquente non ha più colpito Ella, si è messo in mezzo e bloccava tutti i suoi tentativi di avvicinarsi a me. In questo modo lui ha permesso ad Ella di guardarlo molto bene. Proprio lui quanto sono apparse le tre ragazze ha iniziato a gridare: “Loro sono le nostre puttane”.

 

La recita è stata perfetta ed è stato talmente convincente che le nostre tre salvatrici all’inizio avevano deciso di non immischiarsi negli “affari di famiglia” .

 

E mi hanno continuato a picchiare. Per Ella intenzionalmente, come se in questo ci fosse il senso principale dei fatti..

 

Io in realtà non ho visto niente. Mi hanno tirato per il cappuccio, mi hanno colpito in testa, gettato per terra e hanno iniziato a picchiarmi in testa. Evitando così i colpi in viso. Sui denti le ho prese più tardi, quando ho cercato di gridare. Mi ricordo la parola “Chiudila”. Per il resto il viso è a posto. Ho un ottimo aspetto finché non sorrido. Dovrò girare con il buco tra i denti ancora 3 mesi, è possibile che tocchi togliere ancora qualche dente. Il colpo è stato molto forte.

 

La reazione dei medici dei vari pronto soccorso (sono andata in due) è stata solidale: «Oddio!»

Io non ho visto gli aggressori, non ho capito nemmeno che oltre a me stavano picchiando Ella. Non ho perso coscienza ma la capacità di percepire adeguatamente la realtà è tornata solo dopo che i criminali sono spariti. Poi mi sono ricordata tutto quello che è successo dopo l’ aggressione. Dei tanti piccoli dettagli per cui la rabbia ancora non cala.

 

Tre telefonate allo «02» e poi mi hanno detto con incredibile indifferenza che lo “02” è il numero di telefono per i moscoviti e non per me, abitante del quartiere Podmoskovie. Però l’ho detto a tutto personale di turno che cosa è successo, dove, cosa faccio nella vita, ho dato il mio indirizzo e i miei numeri di telefono, di casa e cellulare. Mi hanno detti “Aspetti”.

 

Con la tenacia degna della migliore prassi. Sono arrivati dopo quasi un’ora e mezza.  Quando aspettare al gelo ci è diventato insostenibile io e Ella siamo andate, non senza difficoltà, in appartamento. Ci hanno detto: Tornate indietro. L’abbiamo fatto (…).

 

Verso il mattino ci ha chiamate tutta la direzione della polizia di Balašicha. Dal pronto soccorso traumatologico ci aspettavano  8 persone. Nessuna di queste era in uniforme, ma molti di loro avevano macchine incredibilmente care. Uno, nero in tutta l’apparenza, una Mercedes blindata mi è particolarmente rimasto impresso. Non c’era nessun coordinamento. Le azioni seguenti sono state caotiche. Mentre alcuni ci seguivano in branco da uno studio medico all’altro, altri chiedevano che ci portassero subito nel luogo dei fatti. Quando alla fine siamo arrivati sul posto non c’era nessuno e abbiamo aspettato altri dieci minuti. In loco hanno fatto un paio di foto, hanno trovato l’orecchino che Ella aveva perso durante l’aggressione, i soldi metallici che erano caduti dal mio zaino. Non hanno confiscato né i vestiti che indossavamo al momento dell’ aggressione né il mio zaino né la borsa di Ella con le tracce di sangue (per l’ identificazione) né il secondo orecchino per il confronto. Tutte queste cose le ho portate io stessa all’interrogatorio.

 

Abbiamo ascoltato molti discorsi di questi poliziotti. Abbiamo fatto nostro quello che non amano. Mi dicevano in continuazione: non serve scrivere e dimostrare niente. Soprattutto in televisione. (…)

 

I veri delinquenti, soprattutto se questo è legato alla mia attività professionale, non si troveranno. Non solo, perché questo rovinerebbe la gloriosa tradizione russa. La causa è più banale e terribile: l’ assoluta mancanza di professionalità e l’ assoluta indifferenza.

 

Ma quello che non mi permette di buttarmi giù è l’ incredibile solidarietà delle persone e dei colleghi non indifferenti in tutto il mondo. Il mio Facebook è stato invaso da uno tsunami di cose buone. Le parole di empatia e sostegno si sono trasformate nella forza della mia azione. Nella migliore medicina contro lo stress, il dolore, l’umiliazione e la paura. Grazie.