La vittoria dello showman

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Il caso mediatico “Trump” già analizzato su queste colonne nei mesi scorsi dal punto di vista dell’uso del linguaggio dall’allora studente   per la laurea triennale in Comunicazione presso l’Università di Padova del corso di “Linguaggio giornalistico” del Professor Raffaele Fiengo, diventa caso politico e torna ad essere analizzato da Massimiliano Pappalardo sulle nostre colonne. Pappalardo che  all’epoca sul tema aveva proposto alcuni estratti  dalla sua  sua tesi di Laurea intitolata: “I linguaggi di Donald J. Trump e Barack Obama e la loro diffusione giornalistica”, ci propone questa volta, sempre sotto la supervisione del suo professore e nostro mentore e fondatore Raffaele Fiengo, un’osservazione del voto americano che ha portato all’elezione del tycoon alla presidenza  analizzando una serie di articoli usciti sulla stampa Usa subito dopo il trionfo di Trump. In calce al pezzo oltre al solito spazio destinato ai commenti che come sempre saranno aperti, liberi  e a cui risponderemo sollecitamente dalla redazione, inseriremo per espressa richiesta dell’estensore dell’articolo,  la mail personale dell’autore che si mette a disposizione di chiunque voglia interagire anche in privato con lui sulla materia. Buona lettura.

 
” Il Wall Street Journal fa notare come Trump abbia ottenuto ben 1.600. 000 voti in meno di quelli raccolti da Mitt Romney nell’elezione del 2012 persa contro Obama.
Questo pone inevitabilmente un punto interrogativo sui mancanti elettori democratici che hanno di fatto regalato il timone dell’America al magnate. Secondo Brad Heath, Mitchell Thorson e Jim Sergent di USA Today, autori di ‘How the election unfolded’ del 9 novembre 2016, la causa sta principalmente nell’affluenza in calo tra la popolazione di colore e nei “bastioni” democratici. Hillary ha portato meno ispanici dalla sua parte rispetto a quanto fatto da Obama nel 2012, nonostante le dichiarazioni di Trump sui messicani.
Donald, invece, è stato capace di ridare entusiasmo politico alle classi lavoratrici, passando dal 59% del 2012 al 66% del 2016. Nelle contee che dal 2010 al 2014 hanno dovuto sopportare i più alti tassi di disoccupazione, i repubblicani sono cresciuti di 6 punti percentuali, aumentando dal 58% dell’era Obama all’attuale  64%.
La comunicazione “elementare, talvolta volgare” del tycoon ha sortito l’esito sperato, facendo presa tra quella fetta meno scolarizzata della popolazione. Questo viene avvallato proprio da USA Today, che fa notare come l’America sia in verità una nazione profondamente divisa. Tra coloro che hanno un’istruzione da college, la Clinton ha il 52% del consenso contro il 43% di Trump. Dei votanti che non hanno frequentato il college, il 52% sono per Trump contro il 44% dei sostenitori democratici.
Non è tutto, perché la politica apertamente maschilista proposta da Trump lo ha reso inviso alle elettrici, soprattutto quelle altamente scolarizzate che lo hanno sostenuto solo con il 45%, preferendogli la Clinton con il 51%. L’elettore di Trump per eccellenza, però, è bianco e non è stato al college; addirittura il 72% di questi ha votato per Trump e un miserrimo 23% ha votato democratico.
Quando Dante Chinni e Aaron Zitner del Wall Street Journal dicono nel loro articolo – ‘Voter Turnout Fell, With Biggest Declines in Urban Areas’ del 9 novembre – che l’affluenza nelle comunità più rurali è aumentata, in qualche modo trovano riscontro le supposizioni circa una maggiore presa del linguaggio semplice del neoeletto presidente nella componente meno istruita della popolazione.

 

 

Nell’articolo Donald Trump: una serie di (s)fortunate scelte” (pubblicato il 3 ottobre 2016 da LSDI si raccontava del suo sforzo di usare frasi di due sillabe.

 

 
Anche il Wall Street Journal parla di un aumento del numero dei votanti (nelle zone rurali della Pennsylvania e della Florida rispetto all’elezione del 2012). Sebbene prima fossero territori a prevalenza democratica, Trump ha vinto in questi stati. I giornalisti portano l’esempio della Stark County (Ohio), patria dell’industria dell’acciaio, dove nel 2012, i democratici  avevano raggiunto  una percentuale quasi uguale a quella dei repubblicani, mentre grazie a Trump nell’ultima elezione gli stessi repubblicani hanno trionfato con 17 punti  di scarto. Aumentano i voti repubblicani anche nella Rural Clark County (Wisconsin), contea che ha supportato l’imprenditore portandolo ad una vittoria con un divario del 33% anche se partendo da un vantaggio repubblicano di 9 punti percentuali alle ultime elezioni.
Uno dei nodi fondamentali di questa elezione può essere dunque ritrovato, secondo i giornalisti del WSJ, nell’affluenza delle piccole comunità rurali americane. Nelle aree urbane del Midwest, dove c’era stato un forte appoggio ad Obama negli anni precedenti, l’entusiasmo per il primo presidente americano di colore non si è trasferito nella causa che avrebbe visto la prima presidentessa americana donna e così l’affluenza è venuta a diminuire proprio nelle città, ambiente in cui la Clinton avrebbe potuto raccogliere più voti.

 
Per rendersi realmente conto di questa decentralizzazione elettorale, basta guardare le cartine politiche di ognuno dei 50 stati americani pubblicate dal New York Times sul proprio sito internet, suddivise per ogni contea e ancora via via aggiornate.donald-trump-bloomberg-770x474
Tornando alla Florida, uno degli stati più ambiti grazie ai suoi 29 grandi elettori, questa tendenza “centrifuga” del consenso repubblicano – vincitore in quello stato con il 49,1% contro il 47,8% della Clinton – è facilmente visibile con la presa da parte dei democratici di 5 contee con centri urbani come Miami (63,7%), Orlando (60,4%), Tampa (51%), Tallahassee (60,5%) e Palm Beach (56,5%), con l’unica eccezione di Jacksonville divenuta repubblicana per un punto e mezzo di scarto. La cosa più significativa di questi dati è che nella capitale Tallahassee e a Miami, città più popolosa dello stato con 430.000 abitanti, se escludiamo l’area metropolitana, la Clinton ha prevalso con almeno il 60% dei voti. Nelle contee più rurali attorno a queste zone urbane troviamo località come Liberty County e Lafayette County con percentuali altissime di voto repubblicano, rispettivamente 77,1% e 82,8%.
Un altro swing state in cui la vittoria del magnate è stata decisiva è l’Ohio, conquistato con il 52,1% dei voti, ovvero 8,6 punti in più rispetto ai sostenitori di Hillary. Nei centri più importanti Trump è uscito sconfitto ancora 5 volte su 6, perdendo le contee in cui sono presenti le città di Cleveland (con un sonoro distacco del 35%), Columbus (34,7% con i blu al 60,6%), Akron (al 52% democratico), Cincinnati (43% contro il 52,6%) e Toledo (quasi 20 punti di scarto), vincendo di appena 1,3 punti la contea che comprende la città di Dayton. Sulla scia di quanto avvenuto in Florida, anche la contea della capitale Columbus – 835’000 abitanti – e quella della seconda città più popolata dell’Ohio, Cleveland – con i suoi 393.000 abitanti – mostrano vittorie democratiche che superano il 60%. Fatta eccezione per le contee di Mahoning County e Athens County, democratiche più o meno nettamente, il resto dello stato risulta quasi interamente rosso repubblicano con picchi dell’80,7% a Mercer County e oltre il 65% di margine sulla sinistra americana. Risulta emblematico il fatto che contee confinanti, come per esempio quella della capitale – Franklin County – e Madison County, mostrino percentuali di voto completamente opposte: attorno al centro hanno vinto i democratici con il 60,6%, mentre subito fuori sono i pro-Trump ad avere avuto la meglio con il 67,6%.

 
La tendenza si palesa anche in un altro stato della Rust Belt, la Pennsylvania, dove il Grand Old Party ha vinto con il 48,8%, 1,2 punti in più della Clinton. A parte la contea di Erie, caduta in mano repubblicana per 2 punti percentuali, e Centre County, democratica ma con lo stesso distacco di Erie, nei centri di Filadelfia (82,4% a 15,5%), Pittsburgh (56,4% e più 16% sugli avversari) e Allentown (50,4% contro 45,9%) hanno dato decisamente più fiducia alla Clinton come successore di Obama. Stupisce la dimensione della vittoria nella capitale Philadelfia, una città che da sola nel 2014 contava 1.560.000 abitanti. Pittsburgh – tra le città più popolate dello stato con i suoi 305.000 abitanti – pur non raggiungendo la percentuale della capitale, rappresenta l’ultimo “avamposto” democratico a ovest nella Pennsylvania, essendo circondata da contee repubblicane dal 58% in su. Allontanandosi dalle metropoli, infatti, la situazione di dominio della Clinton si capovolge con contee a tinte rosso repubblicano con percentuali in media del 70% e picchi come quello di Fulton County con l’84,2% di repubblicani, un risultato davvero impressionante.

 
Pure in North Carolina la situazione si presenta così, anche se meno clamorosa nei numeri. Trump e’ vincitore nello stato al 50,5% sulla Clinton ferma al 46,7%. In questo caso i fan di Hillary, oltre ad aver preso le contee con i centri di Charlotte (63,3%), Greensboro (58,7%), Fayetteville (56,7%), si sono spinti anche più a nordest nelle contee di Halifax, Warren, Northampton, Hertford con consensi abbastanza forti intorno al 60%. Anche nella Carolina del Nord, quindi, il partito dei democratici conquista la capitale Raleigh (58,4%) e la grande Charlotte – 827.000 abitanti – con una vittoria netta e molto vicina al 60%. Le contee tutt’intorno a Charlotte, anche stavolta, cambiano completamente credo politico con percentuali di vittoria repubblicana che vanno dal 58,5% di Cabarrus County al 72,6% di Lincoln County. A sud di Fayetteville e a ovest di Charlotte il panorama politico si mantiene nettamente sul rosso come a Brunswick County (63,1%) e ad Alexander County (76,8%).

 
Lo Iowa ha scelto Trump presidente nel 51,8% dei casi, fermando la sua avversaria al 42,2%, sebbene il miliardario in un’occasione si fosse chiesto quanto fossero “stupide” le persone dello Iowa per credere alle affermazioni di Ben Carson. Nella Polk County, contea della capitale Des Moines, Hillary ha trionfato con quasi 12 punti di distacco su Trump, rimasto al 40,9%. Nelle contee che racchiudono i centri di Davenport e Cedar Rapids, la moglie di Bill Clinton ha imposto il suo pensiero rispettivamente per 1,5 e 9 punti percentuali, mentre la contea di Sioux City ha visto Trump trionfare con il 57,4% e quasi 20 punti di distacco dalla sua rivale. Il resto dello Stato, come prevedibile, è decisamente repubblicano nelle zone periferiche con percentuali che vanno dall’82,1% di Sioux County al 49,5% di Clinton County, vicina proprio alla località di Davenport. Le conquiste democratiche in Iowa si limitano alle contee limitrofe a Des Moines – Story County con il 51,3% – e a Cedar Rapids – Johnson County con il 66% di voti per l’asino, praticamente le contee con le città più grandi dello stato.
Molto interessante il panorama elettorale anche in Illinois, tra gli stati più corposi – in termini di seggi – presi dalla Clinton. In questo stato dove i democratici si sono imposti con il 55,4%. Qui Trump è stato votato dal 39,4% dei cittadini, la differenza è stata fatta in gran parte dalla roccaforte scelta da Obama per il suo discorso da vincitore dopo le elezioni del 2008: Chicago. In questa metropoli la Clinton è riuscita a dare continuità al corso di Obama ottenendo il 74,4% dei consensi vincendo agilmente anche nelle contee immediatamente circostanti. Negli altri centri urbani la situazione non è così rosea per i democratici che trovano terreno nella contea di Peoria (48,3%) perdendo però la contea di Rockford (46,5% con Trump che ha riscosso 1,2 punti in più) e inaspettatamente anche quella di Springfield – città in cui Obama aveva fatto il discorso in cui avrebbe annunciato la sua candidatura – con la Clinton appena al 42,2% e Trump al 51,6%. L’Illinois certifica così come Trump abbia difficoltà proprio nelle città più popolate, come mette in luce il divario di 53 punti patito a Chicago, terza città più abitata degli Stati Uniti e casa di 2.722.000 americani.

 
Il trend decentralizzatore di questa vittoria repubblicana è ancora più visibile in Nevada, dove la Clinton ha sì avuto la meglio con il 47,9%, ma dove Trump ancora una volta ha preso a mani basse tutta la parte fuori dai grandi centri delle contee di Las Vegas e di Reno. Queste due città, infatti, sono democratiche rispettivamente al 52,4% (contro il 41,8% repubblicano) e al 46,4%, solo 1,2 punti sopra gli avversari. Allontanandosi progressivamente da queste zone centrali e andando verso la periferia, si parte da un consenso trumpista del 52,5% di Carson City (vicino Reno) per arrivare all’84,7% di Eureka County, quasi esattamente a metà strada tra le due contee democratiche.
Meno immediata è la situazione in New Hampshire, dove Trump non è riuscito a fare presa completamente nelle lande più periferiche, lasciando alla prima candidata donna tutte le contee con i principali centri urbani di Manchester (democratica al 50,7%), Dover (59%), Nashua (53,7%) e Concord (59,2%). A nord e a ovest, diversamente da quanto riscontrato negli altri stati, lo scontro è stato più duro e i gap sono stati  minimi come il 49,6% blu di Stratford e il 48% di Ashland, rendendo la mappa del New Hampshire un vero mosaico in cui però si nota facilmente come le aree di influenza democratiche siano principalmente attorno ai centri urbani. Solidi bastioni repubblicani a nord sono Pittsburgh (72,7%) e la contea di Millsfield (80%).

 
Conferme per questa teoria arrivano anche dalla Virginia, Stato in cui la Clinton ha visto i suoi voti al 49,9%, quasi 5 punti in più di quelli del suo rivale. Su 5 centri di Richmond, Norfolk, Roanoke, Alexandria e Virginia Beach, Hillary ha perso solo l’ultimo di questi con uno scarto di 4,4 punti percentuali, catturando però la capitale Richmond al 78,8%, Alexandria al 65,3%, Norfolk al 68,4% e Roanoke al 56,1%. A parte la contea di Albemarle, democratica al 59,3%, tutte le restanti terre – soprattutto a ovest – sono saldamente repubblicane con consensi dal 61,5% all’82,3%. La Virginia si allinea, dunque, con quella serie di stati la cui capitale ha votato Hillary, grazie alla capitale Richmond – 214.000 unità – in cui la dottrina del tycoon ha attecchito appena nel 15% degli elettori, confermando le difficoltà repubblicane al di fuori delle zone rurali.
Curioso il caso dell’Oklahoma, dove Trump ha sbaragliato i democratici con un 65,3% contro il loro 28,9%, ma in cui il magnate ha arrancato di più nelle città. Tutte le contee, infatti, hanno scelto lui come presidente, anche se nelle contee di Oklahoma – la capitale – e Tulsa si sono osservati i divari minori – seppur enormi – dalla Clinton, rispettivamente 10,5% di distacco ad Oklahoma e 22,8% a Tulsa. Lo scenario generale, però, vede vittorie di Trump come quella di Cimarron (addirittura 89,3%) e Beaver County (88,8%).

 
In Arkansas, stato repubblicano al 60,4%, la Clinton è riuscita a portare a casa solo la contea della capitale Little Rock, Pulaski County con il 56% e quella immediatamente a sud, Jefferson County, con il 60,9%, oltre alla contee confinanti a est con il Missouri. La voglia di cambiamento è stata tale da portare a votare Trump anche le città di Fort Smith (65,2%), Fayetteville (50,8%) e Jonesboro (64,4%).

 
Le uniche conquiste democratiche nello Utah, perso con il 27,8% contro il 46,6% di Trump, sono le contee della capitale Salt Lake City (44,9%) e quella confinante a est, Summit County (50,9%), mentre nelle restanti zone il miliardario si è imposto con percentuali dal 43,5% di Grand County fino al 79,8% di Emery County. Non sorprende che proprio dalla capitale Salt Lake City nonché città più popolata dello Utah provenga una delle due vittorie democratiche dello Stato.
Interessante anche la situazione dell’Oregon, dove i democratici hanno incassato 7 grandi elettori grazie al 51,7% dei voti popolari, 10,6 punti in più di Trump. Dando un’occhiata alla mappa elettorale di questo Stato, salta subito all’occhio come la predominanza sia assolutamente di un rosso repubblicano a est e a sud, mentre a nordovest le contee di Portland – la capitale –, Eugene, Salem e Bend siano democratiche o perse per una manciata di punti, rispettivamente con due vittorie a Portland (76%) e Eugene (55,5%) e due sconfitte nella contea che comprende Salem (5 punti di scarto) e di Bend (3,8 punti di scarto). A sud invece è forte il consenso per Donald Trump che a Lake County trova il 78,7%, così come a est dove a Grant County arriva al 76,4%. Come visto in precedenza, tuttavia resta il fatto che i grandi centri urbani siano il terreno meno fertile per il pensiero trumpista, dato che è che proprio nelle città che Trump fatica di più a vincere. Dati demografici alla mano, infatti, ci si accorge della differenza tra la popolazione della democratica Portland – 583.000 persone – e quella delle repubblicane Salem, Medford e Bend – in ordine 157.000, 76.000 e 73.000 abitanti.
Dopo questo excursus in 13 dei 50 stati americani, viene da pensare che Donald Trump avesse studiato a tavolino l’affluenza elettorale americana nelle contee più lontane dalle metropoli e abbia quindi proposto volontariamente un linguaggio a dir poco elementare e diretto per la sua campagna elettorale che aveva come target principale proprio la popolazione meno scolarizzata, per raccogliere tutti quei voti spesso dimenticati di coloro i quali non si interessano della vita politica degli Stati Uniti, apparentemente così lontana dalla loro realtà locale fortemente radicata nel proprio terreno e nelle sue immediate vicinanze.

 
attnA detta del Wall Street Journal, la vittoria di Trump è stata anticonvenzionale, in quanto in una nazione sempre più urbana, egli è stato capace di “emozionare e portare al voto gli abitanti delle piccole cittadine e delle comunità rurali”, spesso colpevoli di non riservare attenzioni alla politica nazionale. 
Il suo punto di forza si trova quindi nella classe bianca lavoratrice e, nonostante tutto, nel non aver allontanato molto le minoranze, come invece avevano pronosticato i sondaggi.

 
L’articolo chiude affermando che il neopresidente è riuscito a limitare i danni presso la popolazione afroamericana, tallone d’Achille dei repubblicani nel 2012, riducendo le perdite dall’87 all’80%.
Secondo un articolo intitolato ‘Young Voters Stood Against Donald Trump — but Not Strongly Enough’ di attn, un sito che pone in evidenza le notizie che meritano più attenzione – frase abbreviata proprio in “attn” –, il supporto dei giovani alla Clinton è stato significativo, anche se non ha raggiunto i livelli di Obama nel 2012. Guardando un grafico di Civic Youth proposto da attn, infatti, si nota come la popolazione giovanile compresa tra i 18 e i 29 anni di età abbia votato la Clinton al 55%, mentre nel 2012 aveva scelto Obama al 60%. Le percentuali calano a mano a mano con l’età dell’elettorato, trovando il 50% degli uomini tra 30 e 44 anni che hanno votato democratico e tra i 45 e i 64 anni che hanno scelto la Clinton nel 44% dei casi, ben l’11% in meno dei giovani.

 
Usando una chiave di lettura più ampia per queste ultime elezioni e collegandola alle votazioni per la Brexit, possiamo affermare tranquillamente che i sistemi di previsione statistica dell’esito delle elezioni hanno preso una batosta non da poco. Inoltre, quello che colpisce di più è l’ondata di insoddisfazione popolare tra le masse, da una parte stufe di dover sottostare ai dettami dell’Unione Europea dovendo seguire direttive sgradite ai più, mentre dall’altra deluse dall’amministrazione Obama che aveva creato grandissime aspettative nell’America senza però tramutarle completamente in realtà, soprattutto nelle aree della profonda America.

 
In America e in Gran Bretagna, possiamo notare analogie nella voglia di troncare nettamente il filo conduttore con il passato per dare una svolta decisa al presente e al futuro, affidandosi ananniversario costo di affidarsi a personaggi del panorama politico accusati di fare pura demagogia, come Nigel Farage, ex leader dell’UKIP, e per l’appunto Donald Trump. Molti altri sono gli stati in cui la destra sta emergendo – come non pensare alla Lega di Salvini o a Front National della Le Pen in Francia – e questi recenti risultati elettorali non fanno che porre grandi interrogativi sulla reale preparazione e sull’ideologia dell’opinione pubblica, sempre più portata a dare quel famoso voto “di pancia”, come emerso nel Regno Unito e nelle campagne statunitensi.

 
È l’inizio di un’era in cui sarà il populismo a fare da padrone? Possibile.
È il momento di ridimensionare la validità delle previsioni di sondaggisti e giornalisti in generale? Probabile.
Certo è che il mondo femminile si trova bloccato ancora una volta sotto il “tetto di cristallo”, quella condizione di estrema vicinanza ma anche di impossibilità a raggiungere una posizione di comando, anche se la colpa si può identificare proprio nell’elettorato femminile di Trump.
Un’altra certezza fornita da queste elezioni è la scarsa affluenza degli americani al voto, stavolta decisiva e ferma vicino al 50%, davvero troppo bassa per un popolo che fa del patriottismo la sua bandiera”.

 

 

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