Pnrr: sarà ripresa o resistenza

La scorsa settimana abbiamo provato, grazie al sapiente lavoro del nostro Marco Dal Pozzo, ad anticipare alcuni dei nostri “avvisi ai naviganti”, in prossimità della consegna alla Commissione Europea dei piani italiani di ricostruzione post covid 19. La scadenza è a fine mese. Probabilmente sarà prorogata, chissà. In ogni caso bisogna far presto e  bene, e magari evitare alcuni errori del passato. Di questo si occupava il testo del nostro associato. Ebbene, oggi vorremmo provare ad andare un pochino avanti nel ragionamento e mettere sul tavolo, “for example”, alcune considerazioni sul “piano di indirizzo”, del Ministero dell’Innovazione. Un documento pubblico. Visibile e scaricabile online, qui:

 

https://assets.innovazione.gov.it/1616065557-audizionecolaopnrr18marzo2021.pdf

 

Prendendo ad esempio quel documento, proviamo ad aggiungere qualche nostra breve “nota a margine”, e vediamo l’effetto che fa. Intanto grazie per l’attenzione e alla prossima ;)

 

 

 

Stiamo coordinando infatti i molti progetti afferenti alla transizione digitale, assicurando il trasferimento di esperienze, il rafforzamento delle competenze della Pubblica Amministrazione e l‘ottimizzazione la spesa complessiva, ricercando economie di scala. Una parte importante riguarderà anche iniziative per il sostegno e l’educazione dei cittadini alla vita digitale, perché se finora il digitale è stato percepito come una partita difficile per pochi, oggi questa partita devono poterla giocare tutti.

Il Next Generation EU prevede che il 20% dei fondi destinati agli Stati Membri attraverso la Recovery and Resilience Facility sia destinato alla trasformazione digitale. Nel caso dell’Italia, questa cifra dovrebbe essere di poco superiore ai 40 miliardi ma, guardando allo stato di avanzamento del PNRR a cui il Governo sta lavorando, la cifra sarà considerevolmente superiore se si includono anche le misure che riguardano interventi parzialmente digitali, quali ad esempio interventi di digitalizzazione e sensorizzazione di strade e infrastrutture critiche o gli investimenti sulla sanità territoriale e la telemedicina o relativi alla formazione di competenze digitali per cittadini e lavoratori pubblici e privati.

 

La visione Digital Compass della Commissione europea  ha come obiettivo di raggiungere una digitalizzazione pressoché piena entro il 2030. Grazie al PNRR vogliamo far sì che l’Italia non solo recuperi il terreno perso, ma sia tra i paesi più vicini a realizzare la visione del Digital Compass già nel 2026. 

 

(avete segnato la data? che poi Vi interroghiamo, o meglio ci interrogheremo)(ndr)

 

 

 

Con queste premesse, come fare a non sentirsi in una “botte di ferro”, ma ci chiediamo, saremo i novelli Attilii Regolii, o andrà molto meglio? (Si scherza). Ma bando alle ciance e andiamo a vedere di cosa consta questo piano e in cosa si sostanziano queste iniziative così “prestigiose”. L’approccio governativo si riassume in sei (6) punti, vediamo il primo e Vi premettiamo che per questo nostro povero articolo, basta e avanza, sigh:

 

 

 

Primo, è necessario adoperarsi per ammodernare ed estendere le infrastrutture digitali su tutto il territorio nazionale in maniera uniforme, per garantire che l’evoluzione tecnologica vada di pari passo con l’inclusione sociale e territoriale. È noto, come ha anche ricordato il Ministro dello sviluppo economico nella sua audizione di ieri, che abbiamo un serio problema di copertura del territorio con reti a banda ultra larga: qui mi preme sottolineare un dato su tutti, e cioè che, ad oggi, la copertura FTTH raggiunge poco meno del 34% delle famiglie italiane. Il problema però non riguarda solo l’infrastrutturazione, ma anche il tasso di adozione dei servizi dati di accesso ad Internet: nel 2020 risultano esserci 10 milioni di famiglie italiane (il 39% del totale) che non hanno attivato offerte di accesso ad Internet su rete fissa e oltre 5,5 milioni di famiglie (il 21% del totale) che usufruiscono di servizi Internet su rete fissa ma con velocità inferiore ai 30 Mbps. In totale, circa 16 milioni di famiglie (il 60% del totale) che non usufruiscono di servizi Internet su rete fissa o non hanno una connessione fissa a banda ultra larga.

 

Per velocizzare la copertura con reti a banda ultra larga di tutto il territorio, va quindi rivisto il modello seguito fino ad oggi, ponendosi l’obiettivo concreto di connettere tutti entro il 2026 con connessioni ad altissima velocità lasciando agli operatori la libertà di scegliere la migliore tecnologia.

 

 

 

Ops e pure oibò, avrebbe detto il Principe De Curtis. Che significa questa frase a Vs giudizio? A noi sembra piuttosto chiara e ci trova perplessi per non dire allarmati. Per giunta arriva da un Ministero al cui vertice si trova  in questo momento –  nel Governo Draghi –  una persona che poco prima rivestiva un ruolo apicale proprio in una di queste compagnie tecnologiche. Queste tecno-company a cui si affida, come testé scritto e letto nel piano nazionale di resistenza e resilienza:   “la libertà di scegliere la migliore tecnologia”. Ma proseguiamo nella lettura del documento, ci sono un paio di altre cosette degne di nota:

 

 

 

In questa ottica, le tecnologie radio possono (e devono) essere utilizzate laddove la fibra non arriva o non riesce ad arrivare, così come dobbiamo favorire un rapido investimento nello sviluppo delle reti 5G. Dobbiamo infatti assicurarci di cogliere appieno la rivoluzione del 5G e dalla banda ultra larga mobile: sarebbe economicamente penalizzante e socialmente inaccettabile se realtà produttive e lavorative che operano in zone meno centrali del nostro Paese non potessero accedere alle opportunità di automazione e remotizzazione a bassa latenza che queste tecnologie consentono. Questi due fenomeni, disuguaglianze e divari territoriali, sono ancora più evidenti alla luce della pandemia: con il lavoro che si sposta in remoto, le scuole che adottano la didattica a distanza, e gli ospedali non in grado di assistere molti malati da vicino a causa della pandemia, ammodernare le infrastrutture per la connettività si configura come un dovere dello Stato, chiamato dall’articolo 3 della Costituzione ad assicurare uguale accesso alle opportunità ed a offrire a tutti i cittadini le medesime condizioni di partenza. Per noi, la connettività va intesa come diritto.

 

 

 

Mumble, mumble, direbbe “Basetta”, o meglio “esclamerebbe dentro una nuvoletta sospesa sul suo testone canino”, il vice di Basettoni dentro un albo di Topolino, masticando e rimasticando il suo sigaro perennemente all’angolo della bocca, insieme a  questi “oscuri” concetti,  in attesa di capirci qualcosa o anche solo di essere fulminato da improvvisa illuminazione. Ri-mumble e mumble gli facciamo eco, mentre l’illuminazione tarda ad arrivare,  e in compenso giungono a noi quesiti che ci paiono logici. Ad esempio:  ma il rivoluzionario  5G,  in un Paese ancora per la maggior parte  sconnesso o connesso male,   è davvero un’opportunità? Siamo proprio convinti, come spiegano dal Ministero, della “necessità inderogabile” dell’arrivo della connessione 5G; o ancora della priorità di questo imperioso e pericoloso salto tecnologico? Vediamo intanto cosa dice la nostra Costituzione all’articolo tre, che non è solo un articolo fra tanti, come ben sappiamo, della Carta dei diritti costituzionali del nostro Paese, bensì uno dei “principi fondamentali” della nostra Repubblica:

 

 

 

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 

 

 

Ci sembra un pochino eccessivo tirare in ballo questo articolo della Costituzione per problemi tecnici che poi, tre righe sopra, e quattro sotto, nello stesso documento,  si legge che siamo pronti a rivolgerci – non a probi e dotti Costituenti illustri – ma a CEO di  ricche compagnie private,  che, con tali soluzioni tecnologiche,  mettono insieme “ovviamente”, luculliani profitti e non certificano alcun diritto sociale. Un articolo così importante del dettato costituzionale. Uno dei fondamenti della Repubblica  per giustificare il passaggio al 5G? Mah… riflettiamo insieme e proseguiamo nell’osservazione del documento. Senza dimenticare però che le problematiche evocate prima di citare l’articolo della costituzione, nello stesso documento ministeriale,  erano già state ugualmente tirate in ballo in un documento precedente sempre di matrice parlamentare e facilmente reperibile. Si tratta di un file pubblico pubblicato nel luglio dello scorso anno,  al link che vi appuntiamo di seguito:

 

https://documenti.camera.it/_dati/leg18/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/017/005/INTERO.pdf

 

In quel documento si leggevano fra le altre cose, riguardo la copertura del segnale e lo stato delle operazioni di  cablaggio della nostra penisola con la rete a fibra ottica, le seguenti notizie:

 

 

 

La copertura in fibra in Italia nel 2017 aveva raggiunto il 22% mentre a livello europeo era del 58%

 

Lo sforamento di oltre 2 anni dei tempi per la realizzazione dei piani BUL 1 e BUL 2 (banda ultra larga) che dovevano essere completati a giugno 2020 e, inoltre,  lascia prevedere il rischio di un ritardo ancora maggiore, in quanto 3.877 comuni (pari al 52,6% di tutti i comuni coinvolti) dovrebbero diventare operativi nel 2022.

 

La società Open Fiber ha segnalato come per la realizzazione del proprio progetto infrastrutturale sono stati stimati ben 100 mila permessi da ottenere fino alla fine del progetto (solo nella città di Roma ne serviranno 25.000)

 

Con riferimento allo stato dei lavori del dispiegamento in fibra ottica, secondo gli ultimi dati ad oggi disponibili sul sito del Ministero dello sviluppo economico, su un totale complessivo di 7146 comuni previsti con copertura in fibra ottica, solo 296 comuni risultano collaudabili (per un totale di 370 mila unità immobiliari), mentre i comuni già disponibili agli operatori sono 172 (per un totale di 105 mila unità immobiliari).

 

 

 

Notiziole che non ci tranquillizzano, che ne dite? Nello stesso documento veniva alla luce poi un fatto davvero importante e oltremodo delicato. Vediamo il passaggio specifico dello scritto e poi ragioniamoci sopra, come direbbe Crozza quando imita Zaia:

 

 

 

Un ultimo profilo emerso dalle audizioni, anche per le sue ricadute in termini di redditività per le compagnie di telecomunicazione,  è quello della limitata domanda da parte dell’utenza italiana di servizi di connessione fissa ultraveloce (meccanismo che potrebbe replicarsi con riferimento all’utilizzo dei servizi del 5G). Le ragioni sono in parte legate alla composizione sociale e demografica italiana (utenza anziana e meno interessata alle nuove possibilità tecnologiche) e in parte, come ricordato dall’AGCOM, dalla mancanza di contenuti idonei ad invogliare all’uso di tali nuove possibilità.

Da più parti è emersa l’esigenza di favorire, attraverso lo strumento dei voucher per i quali sono disponibili ingenti risorse (1,3 miliardi di euro), l’acquisto delle connessioni basate sulla nuova tecnologia

 

(Il documento della Camera è stato rilasciato a luglio del 2020)

 

 

 

Serve ragionarci, dopo aver letto quanto riportato nel documento? Un pochino servirebbe ma le querele sboccerebbero a frotte e noi siamo assai poveri e scarsamente attrezzati per rispondere a stormi di avvocati impettiti. Lasciamo a Voi il giudizio di merito e magari, visto che nel frattempo il Recovery Plan sarà arrivato al capolinea europeo, proveremo a ritornarci sopra fra qualche tempo. Grazie ancora  della Vs. attenzione e a presto ;)