Il precariato si allarga a macchia d’ olio, il caso Slovenia

Zurnal

Non solo Usa. E non solo Italia. La crisi del giornalismo attanaglia tutti i paesi, anche quelli più piccoli dove uno immagina una maggiore elasticità delle strutture e una maggiore resistenza. Un esempio viene dalla Slovenia, che si trova attualmente a fare i conti con tagli e licenziamenti.

 

Secondo quanto riferito da Matija Stepišnik, presidente dell’Associazione stampa slovena (2.188 iscritti al 2013), in un anno si sono ritrovati senza lavoro 100 giornalisti: «Una catastrofe per il giornalismo e per la comunicazione democratica», commenta Stepišnik.

 

Tra i casi più eclatanti quello dei 47 giornalisti del quotidiano gratuito Žurnal, licenziati da un giorno all’ altro. O quello di un giornalista rimasto senza lavoro che si è visto proporre da un quotidiano un contratto di lavoro con alcune precise clausole: le spese giudiziarie derivanti da eventuali denunce per diffamazione sarebbero state a carico del giornalista il quale, inoltre, si impegnava a pagare una penale di 30.000 euro nel caso avesse deciso di fare causa al giornale per chiedere l’ assunzione come redattore.

 

Una situazione, quella slovena, che sembra molto simile a quella italiana. Anche nel paese balcanico, infatti, gli editori fanno sempre maggiore ricorso a collaboratori esterni pagati pochissimo: 10 euro ad articolo o, in alcuni casi, 4,5 euro all’ora.

 

Una situazione che veniva già denunciata un anno fa da Igor Vobic, docente di giornalismo presso l’ Università di Lubiana, il quale sottolineava come «i precari del giornalismo sloveno, negli ultimi anni sono diventati qualcosa di normale: molto raramente il loro è un lavoro regolare e nelle redazioni il gap generazionale si è fatto sempre più evidente. I giornalisti più anziani in genere hanno ottenuto un impiego regolare mentre le generazioni più giovani lavorano in vari forme di rapporto a rischio».

 

Mentre il sindacato dei giornalisti parlava già di «situazione assolutamente inaccettabile», Vobic commentava: «È importante pensare al di là della lotta sindacale, ma la tendenza generale all’ individualizzazione dei rapporti di lavoro, sostenuta dai proprietari, non facilita la solidarietà e questo nella comunità giornalistica provoca instabilità e crisi di identità che possono avere implicazioni fortemente negative per il ruolo del giornalismo nella società. Un ricercatore olandese, Mark Deuz descrive le case editrici come “istituzioni zombie” che ogni giorno si sforzano di offrire un prodotto come l’ informazione ma in sostanza sono morte».

 

A un anno di distanza da queste dichiarazioni la situazione non sembra essere migliorata, anzi.

 

fabio dalmasso