Bosnia: nel buio dell’ informazione ufficiale solo i social media riescono a fare da ‘’quarto potere’’

Bosnia-copPotere e mass media: un rapporto spesso ambiguo che permette al primo di influenzare, o addirittura, controllare quelli che invece dovrebbero essere i cosiddetti “cani da guardia”, il famoso (e in alcuni casi fantomatico) quarto potere che vigila e informa i cittadini raccontando la verità.

Un concetto, questo, che non sempre trova posto nel giornalismo, soprattutto in quello praticato durante momenti particolari, caratterizzati da tensioni e scontri. Se ne è avuto un esempio quando in Bosnia –Erzegovina, e più precisamente a Tuzla prima e in altre città poi, come Sarajevo, le piazze sono state invase da cittadini esasperati da una situazione sociale ed economica estremamente difficile.

 

 

di Fabio Dalmasso

 

 

Lo Stato nato dagli accordi di Dayton del 2005, costituito da due entità, la Federazione croato-musulmana e la Repubblica Srpska, sta infatti attraversando da anni una crisi che si rispecchia nei dati dell’occupazione che si attesta intorno al 27% e del salario medio mensile netto pari a circa 420 euro.

 

 

Prima Tuzla, poi altre città

 

Una situazione che ha spinto i cittadini a scendere in piazza per chiedere cambiamenti seri e reali: l’inizio si è avuto a Tuzla, il 5 febbraio, con la protesta, in atto da tempo, da parte dei lavoratori di due grandi società privatizzate e subito fallite. Le manifestazioni si sono poi estese ad altre città, come Sarajevo, Zenica, Mostar e Bihac attirando l’attenzione anche dei media internazionali, colpevoli, forse, di aver in parte trascurato la situazione balcanica, dando per scontato che “finita la guerra torna la pace”. Ma non è così.

 

Tornata alla ribalta suo malgrado, la Bosnia – Erzegovina è stata coperta giornalisticamente in maniera ambigua, dando spesso risalto alle violenze che sono esplose dopo i primi giorni di pacifica protesta: le gesta di un gruppo ristretto di manifestanti che ha preso a sassate e dato fuoco ad alcune sedi del potere politico a Tuzla, Zenica e Sarajevo hanno così fatto immediatamente il giro del mondo, accompagnate dai commenti dei leader politici della Bosnia – Erzegovina, pronti ad additare gli episodi messi in atto da una sparuta minoranza come segno distintivo, invece, dell’intera protesta. I pochi violenti sono così diventati la faccia principale di manifestazioni pacifiche che ha visto scendere in piazza una maggioranza di persone assolutamente pacifica, ma esasperata, che chiede a gran voce una vera svolta politica ed economica.

 

 

BosniaDisinformazione

 

Un copertura mediatica, quindi, non molto accurata e veritiera, come ha brillantemente sottolineato Paulina Janusz, giornalista del settimanale bosniaco BH Dani, in un articolo pubblicato su sul sito Kontrapress e prontamente tradotto dall’ Osservatorio Balcani e Caucaso emblematicamente intitolato ‘’Bosnia: partiti e media uniti contro i manifestanti’’.

 

Nel paese che secondo l’ultimo rapporto World Press Freedom Index di Reporter senza frontiere occupa il 66° posto (su 180) in fatto di libertà di stampa, molti mass media, d’accordo con i poteri politici, sono venuti meno al loro compito di raccontare la verità e, come scrive Janusz, “soltanto i social network sono stati in grado di salvare i cittadini dal completo buio dell’ informazione in cui rischiavano di sprofondare”.

 

Un buio nel quale sono spiccati, in senso negativo, due episodi in particolare. Il primo è l’incendio dell’Archivio della Bosnia–Erzegovina, in parte ospitato nell’edificio della Presidenza: le immagini venivano accompagnate da duri commenti di condanna e di indignazione per una violenza gratuita che aveva provocato, stando alle prime notizie, un danno inestimabile alla cultura del paese. “I media hanno condannato l’incendio dell’Archivio e soltanto più tardi hanno iniziato a parlare di quanto materiale era stato effettivamente distrutto. Nessuno – scrive Paulina Janusz – ha citato i testimoni che hanno sostenuto che la maggior parte (un 99,99%) del materiale è stato salvato. Questa informazione non sarebbe mai diventata di pubblico dominio se non fosse stato per i social network e la regista Jasmila Žbanić che per prima ha iniziato a prestare attenzione alla manipolazione mediatica in corso”

 

 

 

Proteste e droga

 

L’ altro esempio di come sia avvenuta la manipolazione giornalistica è quello che la giornalista chiama “il colpo più basso”: la notizia che “durante la protesta la polizia ha confiscato 12 kg di droga”, è apparsa per la prima volta su Klix.ba sabato mattina, ed è stata ripresa da tutti gli altri portali web. L’ informazione è stata “casualmente” inclusa tra i comunicati stampa della polizia di Sarajevo con i dati sugli arresti. A dirla tutta, la notizia è stata smentita in serata, ma il danno era già stato fatto”.

 

Collegare il sequestro di droga con le manifestazioni ha fatto sì che, nella mente dei lettori e degli ascoltatori, si formasse l’equazione manifestanti = drogati. “Probabilmente – conclude Janusz – questi dettagli possono offrire una qualche spiegazione del perché i media bosniaci, neanche a margine del loro lavoro giornalistico, discutano la drammatica situazione dei lavoratori o il collasso sociale ed economico del paese. I giornalisti bosniaci sanno molto bene chi è al potere e quali interessi devono difendere. A prezzo della propria integrità professionale”.

 

Per capire meglio la situazione Lsdi ha intervistato la stessa Paulina Janusz che spiega anche come fare giornalismo in Bosnia–Erzegovina sia estremamente difficile: «Non c’e libertà, non c’e una televisione o un giornale completamente libero dalle influenze politiche»

 

 

 

L’ INTERVISTA

 

 

Prima di tutto com’è la situazione ora, dopo le manifestazioni di due settimane  fa?

 

Io vivo a Sarajevo. La situazione qui si è calmata, ogni giorno però ci sono circa 200 persone che escono, bloccano una strada principale e così praticamente fermano il traffico nel centro. Lo fanno perché vogliono le dimissioni del governo al livello federale, cioè in una delle due entità della Bosnia Erzegovina. La protesta però non è più violenta. Ieri (25 febbraio n.d.r.) il direttore della polizia federale ha pure detto che la polizia cantonale (perché qui pure la polizia è divisa per le entità) può sbloccare la città in 5 minuti, ma per ora non vede il motivo di farlo. Ogni giorno ci sono delle piccolo proteste nelle altre città, oggi (26 febbraio n.d.r.) per esempio ci sarà una più grande a Tuzla, ma per ora i cittadini cercano di trovare un altro modo di farsi sentire.

 

 

Come si sono comportanti, secondo te, i principali mass media bosniaci nel raccontare gli episodi?

 

I principali, ma anche i piccoli media privati, sono nelle mani dei politici e quindi si comportano come vogliono loro. Forse la caduta del mito del giornalismo libero era più spettacolare del solito durante la protesta, ma è una cosa che non sorprende più nessuno. Allora si cercava di presentare i manifestanti come dei vandali organizzatissimi per distruggere lo Stato, mettere in pericolo serbi/bosniaci/croati (dipende dal punto di vista) o comunque di mettere in pericolo “i nostri”.

 

I problemi economici e la situazione disperata del più di 50% della popolazione della Bosnia – Erzegovina sono completamente spariti dai giornali. Interessante però notare come i media abbiano capito i bisogni dei politici subito, non ci voleva nemmeno un colpo di telefono di qualche ministro (quelle sono cominciate due giorni dopo le proteste). È solo una conferma che i giornalisti sanno qual è il loro ruolo e non cercano di cambiarlo. Il popolo allora è sceso in strada contro la classe politica, ma i giornalisti non l’hanno fatto.

 

 

Qual è stato il ruolo dei social network informazione? Quali sono stati i social più seguiti: Facebook, twitter ….?

 

Senza i social network (sopratutto Facebook, twitter non è molito diffuso) era praticamente impossibile sapere quello che succedeva. Però dobbiamo prendere in considerazione che per quanto riguarda l’uso dei social network la Bosnia–Erzegovina rimane ancora molto indietro per cui solo lo strato più privilegiato ne poteva far uso. Questo ovviamente ha facilitato tutte le manipolazioni e, secondo me, è uno dei motive della fine abbastanza veloce della protesta.

 

 

Pensi che l’uso dei social abbia aiutato i bosniaci a capire cosa stesse effettivamente succedendo?

 

Come ho già detto: si, ha aiutato a capire ma solo a quelli già consapevoli dei problemi sociali. La maggior parte della popolazione è rimasta nelle tenebre.

 

 

Nel tuo articolo accenni al caso dell’archivio della Bosnia Erzegovina, puoi spiegare?

 

Nessuno era consapevole dell’esistenza di questo archivio, ma i media hanno fatto sì che in una paio d’ore l’archivio fosse diventato la cosa più importante nel paese. “I vandali hanno distrutto il nostro passato”, cercavano di convincerci. L’archivio è solo un esempio della manipolazione mediatica, che devo dire è riuscita, visto che della cosa si parla ancora oggi.

 

 

Droga, hooligan e ladri: è questa l’immagine che hanno dato i media delle rivolte? Perché?

 

Addirittura io ho ricevuto delle foto fatte in modo da suggerire che ci siano state pure le prostitute! Così si nascondono i problemi veri. Si fa capire alla gente che “un cittadino bravo” non deve sempre obbedire, ma lo deve fare in modo tranquillo. La classe politica è consapevole che le proteste pacifiche si possono ignorare con calma e lo fa. I lavoratori di Tuzla, dove la cosa è cominciata, erano in sciopero per anni, bloccavano strade, sono pure venuti a piedi a Sarajevo. E niente. E quel niente, cioè nessun cambiamento, è quello che i politici vogliono. Importante è pure l’associazione con la guerra: in un paese dove purtroppo la maggior parte della gente se la ricorda bene la violenza fa più paura che, per esempio, in Svezia. Con questa paura sempre presente è facile manipolare.

 

 

Puoi spiegare il caso della droga collegata alle manifestazioni?

 

È la storia della confisca di droga fatta in un’altra parte della città e non collegata alla protesta. Ma per i motivi che ho già spiegato era molto comodo cercare di manipolare anche con questo l’informazione, cosa che in parte è riuscita. Non c’era una negazione ufficiale di questa informazione nei media di stato, allora quelli che contavano di più.

 

 

Come giudichi la situazione del giornalismo in Bosnia Erzegovina? C’è liberta di espressione e pluralismo di informazione?

 

Non c’e libertà, non c’e una televisione o un giornale completamente libero dalle influenze politiche. Di solito se mi dici che lavori per una tv, un giornale o un sito io sono capace di dirti per quale partito lavori. Scrivere in Bosnia – Erzegovina è un campo minato. La pressione giornaliera, la censura, le telefonate dei politici, le minacce, gli attacchi verbali sono sempre presenti se cerchi di toccare una cosa che “non si può toccare”. E purtroppo non c’e speranza di cambiamento.

 

 

Che cos’è Kontrapress? Quando è nato, perché e quanti giornalisti collaborano ad esso?

 

Kontrapress è un piccolo sito di Belgrado, fondato da una amica mia l’anno scorso. Io di solito non lavoro per loro, ma per un settimanale bosniaco, BH Dani: solo in quell’occasione, visto che vivo a Sarajevo, mi hanno chiesto di scrivere quell’articolo.