Il giornalismo ambientale e la sfida dei nuovi valori

Fima

È nata poco più di un anno fa ma può già contare su un centinaio di soci tra testate, giornalisti e accademici: è la Fima – Federazione Italiana Media Ambientali, che si propone di raccogliere attorno a sé tutti coloro che si occupano di informazione e di comunicazione “green”.

 

Il 7 novembre la Fima ha tenuto a Rimini la sua prima assemblea generale, con l’obiettivo di condividere il programma di lavoro per il 2014 ed eleggere i propri rappresentanti per il triennio 2014-2016.

 

Marco Fratoddi, direttore di Nuova Ecologia, è stato eletto segretario generale, mentre Mario Salomone*, direttore di .Eco,  è stato nominato presidente.

 

Lsdi lo ha intervistato.

 

Una federazione di giornalisti, blogger, operatori dei social network, organi d’informazione, ma non solo: le porte della Fima, infatti, sono aperte anche a ricercatori, insegnanti, esperti in campo ambientale e comunicatori d’impresa per cercare di creare una sinergia tra diversi ambiti professionali e «contribuire a un futuro sostenibile dell’Italia e di tutta la comunità mondiale», dice Salomone nell’ intervista.

Un contributo che l’ informazione può, anzi deve dare, affinché aumenti nella popolazione la coscienza ambientale e chi governa possa affrontare seriamente l’ argomento prendendo decisioni adeguate. «I media ambientali – sottolinea Salomone – possono accompagnare la transizione ecologica verso nuovi valori, nuovi stili di vita e nuovi modelli di produzione e consumo stimolando i decisori, facendo inchiesta, informando i cittadini puntualmente e in modo approfondito e affidabile».

 

 (Intervista a cura di Fabio Dalmasso)

 

 

 

Mario Salomone
Mario Salomone

Che cos’è la Fima?

 

La Fima è una federazione di media ambientali che raccoglie tutti quanti fanno informazione sull’ambiente o comunque se ne occupano attivamente a vario titolo. Nella Fima accettiamo quindi sia giornalisti sia testate, ma anche comunicatori di impresa, ricercatori ed esperti. Ciò nasce dalla volontà di dare forza a tutto il settore, indipendentemente dai ruoli ricoperti, ma anche dalla costatazione che il modo di fare informazione sta cambiando: nell’era dei media digitali e dei social network che è anche, purtroppo, un’era di flessibilità e precarizzazione del lavoro, molte persone ricoprono contemporaneamente più ruoli o passano frequentemente da un ruolo all’altro.

Abbiamo inoltre una compresenza di proposte editoriali profit e di molte esperienze non profit e di giornalisti con tessera e “mediattivisti” ambientali senza tessera, di organi importanti e di utili e fondamentali iniziative di comunicazione dal basso. Insomma, una pluralità di situazioni che sfuggono alle classificazioni e che vari casi rendono difficile distinguere questi ruoli. Un blogger ad esempio chi è: un giornalista indipendente o anche un editore di se stesso? Uno scienziato che scrive sui giornali e compare in tv è un esperto o un giornalista?

 

Quando è nata e perché avete deciso di dare vita alla Fima?

 

I primi passi sono stati mossi in occasione di un incontro nazionale di giornalisti ambientali svoltosi a Rimini, durante l’edizione 2012 di “Ecomondo”, fiera che spontaneamente già vede la presenza di molti colleghi. L’atto fondativo vero è proprio è avvenuto nel giorno di apertura del “Festival internazionale di giornalismo” a Perugia, il 24 aprile 2013, con l’approvazione dello statuto e la nomina di un gruppo dirigente provvisorio. Il 7 novembre, poi, ci siamo ritrovati di nuovo a Rimini per la prima assemblea nazionale, che ha approvato lo statuto definitivo e ha eletto l’ufficio di presidenza che resterà in carica nel triennio 2014-2016. La decisione è nata dal vedere un grande fiorire dell’informazione ambientale ma anche dalla necessità di unire le forze e di dare visibilità a una comunità variegata che vorrebbe fare di più per fare cambiare in meglio le cose in Italia.

 

Quali sono i vostri obiettivi?

 

L’obiettivo, che è innanzitutto di ordine culturale, è di contribuire a un futuro sostenibile dell’Italia e di tutta la comunità mondiale. Crediamo che in questo impegno, che riguarda chiunque, l’informazione e in particolare l’informazione ambientale abbiano una grande responsabilità, perché possono aiutare la società a diventare più verde. I media ambientali possono accompagnare la transizione ecologica verso nuovi valori, nuovi stili di vita e nuovi modelli di produzione e consumo stimolando i decisori, facendo inchiesta, informando i cittadini puntualmente e in modo approfondito e affidabile. È anche per questo che chiediamo di aderire alla Fima anche a ricercatori e a chi fa didattica: possono contribuire alla riflessione e al miglioramento delle competenze professionali. I mass media fanno educazione in modo informale, professori universitari e insegnati la fanno in modo formale: tra questi due livelli ci deve essere più sinergia.

Come è scritto nel nostro statuto, richiamandoci anche alla convenzione di Aahrus, l’informazione è uno strumento essenziale di democrazia, di partecipazione, di esercizio di diritti. Ecco, potremmo dire che la Fima è nata per affermare meglio i tre diritti fondamentali nel campo dei temi ambientali: il diritto di informarsi, inteso come diritto dal basso, che qualsiasi cittadino ha di accedere all’informazione ambientale; il diritto di essere informato, che presuppone, dall’alto, l’obbligo delle pubbliche autorità di cercare, raccogliere, conservare, diffondere in modo esaustivo, continuo, trasparente e tempestivo, rendere comprensibili e accessibili a tutti le informazioni, sia sullo stato dell’ambiente attuale, sia su quanto potrebbe in futuro influire su di esso, fornendo così anche il presupposto per processi decisionali inclusivi e forme partecipative di governance; il diritto di informare, cioè il diritto, orizzontale, dei cittadini di diffondere ad altri le informazioni ambientali.

 

Quanti sono i giornali e i giornalisti aderenti?

A oggi abbiamo un centinaio di soci, tra testate sia cartacee sia online, giornalisti, accademici. Ora stiamo dotandoci di una serie di strumenti come un sito Internet (www.fimaoline.it), una newsletter, un ufficio stampa, ecc. Insomma, la vera attività inizia ora e contiamo su una forte crescita di aderenti nei prossimi mesi. Già ora però possiamo dire di raggiungere tramite i nostri aderenti vari milioni di contatti.

 

Ho letto che avete anche un comitato scientifico: da chi è composto e qual è il suo ruolo?

Attualmente è composto da una quindicina di membri. Si tratta di docenti universitari, soprattutto sociologi, che si occupano di comunicazione, di giornalisti noti al grande pubblico, di esperti della comunicazione e di persone che hanno un ruolo centrale nell’ambientalismo italiano soprattutto per il loro spessore scientifico e una storia personale di grande impegno per la causa della sostenibilità. Il ruolo del Comitato scientifico è dunque di aiutare la Fima ad approfondire la riflessione sull’informazione ambientale, migliorandone efficacia e impatto, e di proporre iniziative sia di formazione sia di ricerca nel nostro campo.

 

Cosa ne pensa del giornalismo ambientale italiano attuale?

Che è fatto di persone appassionate, impegnate come si suole dire 24 ore per sette giorni. A loro va una parte rilevante del merito se l’opinione pubblica non è totalmente disinformata e se si stanno facendo passi avanti nelle politiche pubbliche e in quelle delle imprese. Nel campo dei media ambientali c’è un gran fervere di iniziative.  Spesso però il giornalismo ambientale deve fare i conti con grosse difficoltà. L’editoria sconta ovviamente la crisi strutturale del nostro paese, i singoli giornalisti che oltre che per militanza fanno questo mestiere per vivere devono spesso accontentarsi di compensi irrisori. Un’altra criticità è l’insufficiente attenzione da parte dei media “mainstream”, grandi giornali e televisioni, cui corrisponde troppo poco spazio dato a servizi, programmi e rubriche sull’ambiente. E non mancano purtroppo casi di giornalisti coraggiosi, minacciati dalle mafie o boicottati dalle istituzioni.

 

Si fa spesso dell’allarmismo sulle tematiche ambientali, cosa ne pensa?

L’allarmismo è l’allarme dato con superficialità e scarsa professionalità, ma questi casi sono abbastanza rari. Sinceramente, penso che ci sia molto più negazionismo, che è ben più pericoloso per la sicurezza umana. Di allarmi invece non se ne danno abbastanza. Dare allarmi non significa essere catastrofisti, ma fornire motivazioni anche alla parte positiva e propositiva del discorso ambientale. Gli allarmi possono convivere benissimo con un approccio anche concreto e perfino ottimista: le soluzioni esistono, molte cose stanno già cambiando anche se non abbastanza e non abbastanza velocemente e se ci impegniamo davvero la crisi ecologica, morale ed economica può essere l’occasione per costruire una società migliore, più equa e più coesa.

 

 

Sempre più spesso si assiste a eventi gravi come in Sardegna, pensa che il giornalismo ambientale possa fungere anche da prevenzione grazie a una buona informazione?

Certamente. Il grave disastro in Sardegna, così come quanto accade sempre più spesso un po’ in tutte le regioni italiane, è la dimostrazione di quanto l’informazione sia importante per la difesa dell’ambiente. Di fronte al saccheggio di territorio, al consumo di suolo, alla cementificazione, all’insufficienza delle politiche per ridurre drasticamente le emissioni di CO2 ci vuole un giornalismo cane da guardia (“watchdog”, come dicono gli americani). Il contributo dell’informazione ambientale è fondamentale per spingere i decisori politici a cambiare le loro priorità e per avere dei cittadini più attenti e informati. Di fronte ai disastri sempre meno “naturali” e sempre più conseguenza di un modello dissennato di sviluppo occorrono più consapevolezza di amministratori e tecnici e anche più conoscenze da parte dei cittadini, per capire ad esempio che non devono contribuire allo scempio o come devono comportarsi in caso di disastro. Per rallentare e si spera arrestare l’effetto serra ci vorranno decenni, ma intanto dobbiamo anche imparare tutti a prevenire e a sapere come comportarci L’informazione insomma può aiutare a cambiare mentalità, a mobilitare energie, a far conoscere tutti i dati necessari e quindi a rendere tutta la comunità più “resiliente”, cioè più capace di affrontare gli choc.

 

Quali sono i vostri prossimi appuntamenti e le vostre prossime iniziative?

Come ho detto, il nuovo ufficio di presidenza entra in carica il 1° gennaio 2014. Già fin d’ora, però, posso dire che la Fima svolgerà un’azione di rappresentanza collettiva verso le istituzioni (Governo, Parlamento, Regioni, ANCI, Commissione Europea, imprese, ecc.) per orientare investimenti nella comunicazione ambientale, intervenire su leggi e regolamenti, ecc. e continueremo a prendere posizione, come stiamo già facendo, quando è in gioco la libertà di informazione o per denunciare i buchi dei media non ambientali. Da un lato, inoltre, presidieremo i principali eventi, come le fiere specializzate ma non solo. Ad esempio ci piacerebbe fare qualcosa alla Fiera del libro di Torino. A gennaio parteciperemo a Roma a un convegno che mette in discussione la famosa “sindrome Nimby”. Dall’altro organizzeremo nostri appuntamenti, soprattutto seminari formativi, corsi anche online anche in collaborazione con master e corsi di laurea esistenti. Un altro campo cui guardiamo con interesse è quello internazionale, per promuovere scambi e collaborazioni con colleghi e testate di altri paesi. Infine, speriamo di attivare anche servizi utili per i soci, specie quelli più “deboli”, come convenzioni e accordi sia a vantaggio dei singoli sia delle testate.

 

 

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*Mario Salomone è sociologo dell’ambiente e del territorio all’Università di Bergamo. È autore di monografie, articoli su riviste scientifiche e capitoli di opere collettive, nonché di romanzi e racconti e dirige il mensile .eco e il semestrale scientifico internazionale Culture della sostenibilità. Nel 2013 è stato tra i fondatori della Fima, Federazione Italiana Media Ambientali, di cui è stato eletto presidente. Tra gli altri ruoli ricoperti, è inoltre Segretario Generale dei World environmental education congresses (WEEC), che dal 2003 costituiscono il più grande evento internazionale del settore.