I media online nell’ era della distruzione creativa

Elettrofotografia L’ analisi del futuro dei nuovi media attraverso sei domande chiave in un ampio articolo su Agoravox – Come si può guadagnare del danaro? C’ è un modello economico possibile? – Che cosa ci si può attendere dall’ evoluzione della pubblicità e degli inserzionisti? – Ancora: chi produrrà l’ informazione ? – E così via fino alla domanda ovvia: ma allora, che devono fare i media online? – Il dibattito è aperto e non ci sono risposte definitive, ma almeno una direzione è chiara: investire, innovare, fare evolvere le pratiche e la cultura delle redazioni – Tenendo conto comunque che il valore dell’ informazione “bruta” comincia a tendere verso lo zero.

Nella foto: Elettrografia della serie “Energie!” di Thorsten Fleisch (http://fleischfilm.com/).

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Si parla tanto dell’ avvenire della carta stampata, ma c’ è un’ altra questione importante: quella del futuro dei media online.
E’ da questa premessa che parte Francois Guillot  (33 anni, consulente in Comunicazione, associato al Gruppo i&e, dove è incaricato delle strategie Internet) in un ampio articolo su Agoravox, per analizzare la situazione di quelle testate giornalistiche professionali che – dice – “impiegano e (sotto)pagano dei giornalisti e che hanno bisogno di un modello economico per sopravvivere”.

L’ analisi tiene conto dell’ ampio dibattito che si sta svolgendo su questi temi in Francia (ma che si può ampiamente applicare a qualsiasi paese europeo) e si articola attraverso sei domande.

A queste sei questioni Guillot non dà una risposta definitiva, spiegando che si tratta – appunto – di un dibattito aperto.
Ma ne vengono fuori ugualmente molte indicazioni.

– Per esempio che non è vero che “In 20 anni di web in Francia, nel corso dei quali le sconfitte si sono succedute, nessuno può sperare di diventare ricco lanciando un sito di informazione”. Non sono d’ accordo con questa convinzione di Cédric Motte. Credo che questo ragionamento non tenga conto della dinamica del web e dell’ attuale atmosfera di distruzione creatrice: il web 2.0 non ha più di quattro anni, avvengono cose nuove in continuazione e tutti imparano tutti i giorni. Io avrei più la tendenza a vedere il periodo attuale come un periodo transitorio da cui può venir fuori… tutto e il contrario di tutto.

– Per esempio che il modello fondato sulla pubblicità può avere la conseguenza di orientare il contenuto redazionale verso le informazioni più “popolari”. Ed è proprio internet, in pratica, con la sua struttura e le sue caratteristiche salienti, che può incoraggiare un approccio redazionale “marketing-orientato”: il fatto di vedere esattamente quali pagine vanno e quali no incoraggia il redattore a comportarsi non  da giornalista (verificando, contestualizzando, fornendo senso e restituendo dei fatti) ma da uomo di marketing (il mio pubblico vuole una informazioni con queste e quelle caratteristiche, e io produco la mia informazione in funzione d questa caratteristiche).

– Per esempio, ancora, che le difficoltà delle redazioni hanno come corollario la riduzione dei costi: riduzione degli organici, giornalisti pagati male, redazioni web focalizzate sulla selezione delle notizie e non sulle inchieste. Ma è sostenibile ragionare solo in termini di costi quando si attraversa una crisi o quando si è in un periodo di distruzione creativa?

Secondo Guillot, invece, è vero il contario. Proprio perché stiamo vivendo in un periodo in cui le convinzioni abituali vengono sovvertite, dobbiamo investire e innovare.
E, nello stesso tempo, fare evolvere le pratiche e la cultura delle redazioni.
Per riuscire a dare valore aggiunto all’ informazione bruta, il cui valore da sola, secondo molti, attualmente tende ad avvicinarsi progressivamente allo zero.



Il futuro dei media online in 6 domande

di  François Guillot
(L’avenir des médias en ligne en 6 questions; a proposito dell’ autore vedi anche su Lsdi,  La morte dei giornali cartacei, e la sua influenza).

Francois Guillot1. Come si può guadagnare del danaro? C’ è un modello economico possibile?

Nonostante la crescita dell’ audience di Internet, la questione si pone perché, come spiega ad esempio Cedric Motte su Chouingmedia,  nelle redazioni online molto spesso la situazione è veramente difficile.     
“I siti che si reggono sulla loro attività editoriale sono molto pochi”, spiega Cedric Motte. Una constatazione fatta propria anche dagli intervenuti a una recente conferenza organizzata dal SNJ (Sindacato nazionale dei giornalisti, una delle quattro organizzazioni sindacali dei giornalisti francesi) e intitolata “Il web, affossatore o salvatore del giornalismo?” (“Le web, sauveur ou fossoyeur du journalisme ?”: una ottima sintesi è stata pubblicata su Ceucidit).

* Alcuni esempi a conferma:
– Per quanto ne so, un sito come Rue89 ha raccolto nei mesi migliori 30.000 euro di publicità e sono molto di meno di quelli che ci vorrebbero. Ma ci sono dei mesi che non raccoglie più di 1.000 euro”, ha detto ad esempio Gérard Desportes di Mediapart, sempre secondo Ceucidit.
– Backchich ha fatto recentemente un appello alla generosità dei lettori.
– La situazione delle redazioni online in attivo comunque è da valutare con attenzione:  Lemonde.fr, indicato come attivo, ripubblica degli articoli dell’ edizione originale il cui costo di produzione è a carico dell’ edizione cartacea. Anche se l’ edizione online paga qualcosa per questo contenuto, questo contributo non sarebbe certo “il giusto prezzo” (almeno secondo le valutazioni di Narvic , nei commenti di Chouingmedia).

In altri termini, Lemonde.fr sarebbe “sovvenzionato” dalla versione carta. Cosa che pone la seguente questione: se il media online è in attivo (tecnicamente guadagna dei soldi), che costo ha la versione offline ?

Perché, siccome l’ audience si sposta verso internet, vi è per forza un “buco” economico per la versione cartacea. E si ha un bel dire che l’ edizione online è un prodotto di richiamo per quella cartacea, ma se internet porta dei lettori alla versione di carta non è che tutta questa operazione porta molti meno benefici rispetto ai reali costi?

Insomma, se i lettori migrano verso il web, che sarebbe il mezzo del futuro, questa migrazione non è che accelera il declino dei media tradizionali… mentre dei modelli economici efficaci del web non sono stati ancora definiti?

* Il problema dei prezzi della publicità

Il problema del modello economico, secondo Cédric Motte, non è altro che il problema dei prezzi della pubblicità:

è  impossibile vivere di un sito d’ informazione di qualità. La colpa? Non certo di una audience che manca: i siti di informazione sono tra i più visitati. No, la causa sono ancora, come sempre, i prezzi della pubblicità” (…)
“Per chi ha conosciuto le strategie pubblicitarie dei grossi portali del passato, a volte si arrivava al meno 80% per CPM (costo per mille contatti, ndr). Ovviamente, quando Yahoo annuncia un CPM ridicolo, che AOL accetta e a cui MSN non è contrario, in un momento in cui loro concentravano tutta l’ attenzione, questo ha pervertito gli inserzionisti… Di colpo ci si ritrova con dei CPM attorno a 5-10 euro”.

* L’ abbonamento : una soluzione marginale ?

Se la pubblicità non permette di sopravvivere, come guadagnare dei soldi? Il web d’ informazione a pagamento deve ancora misurarsi per bene con il mercato.  Da questo punto di vista le esperienze ancora recenti di  @rrêt sur images e Mediapart (vedi Lsdi, Giornalismo partecipativo, tre esperienze francesi a confronto) saranno ricche di insegnamenti. (Anche se personalmente non sono convinto della loro sostenibilità economica).

Dove sembra che ci possa essere una certa disponibilità a pagare per dell’ informazione online – come rileva ancora Cédric Motte, sempre lui – è nell’ ambiente dei quadri, nelle imprese, là dove l’ informazione ha un valore economico e finanziario (sono le aziende che poi pagano gli abbonamenti). Cosa che dà una posizione favorevole  alle testate ben piazzate e molto CSP+ (cioè, categoria socio-professionale superiore,ndr) oppure “leader nel campo delle opinioni”. L’ abbonnement sarebbe dunque una soluzione solo per una minoranza di soggetti con un profilo molto preciso?

* Altri modi di fare soldi

Rue89 (per esempio) vende dei servizi editoriali. I siti leader nelle loro categorie sono anche dei siti di servizi: per esempio, Aufeminin.com, Boursorama, Allocine… non sono dei siti esclusivamente di contenuti.

Cédric Motte :
Quali sono i siti che guadagnano? Quelli che hanno trasformato il loro modello mediatico  iniziale (sono un sito di informazione sulle donne per aufeminin, sono un motore di ricerca per google, sono una rete sociale per myspace) in modello di servizi BtoB (business to business, ndr)

Se bisogna vendere dei consigli editoriali o dei consigli di marketing per vivere (quello che  fa Yahoo per esempio), ciò pone però diversi problemi. Deontologici (conflitti di interesse, indipendenza della stampa), ma anche in rapporto al mercato dei consigli: i siti di informazione saranno domani i nuovi concorrenti delle agenzie di comunicazione?

Infine su questa questione dei modelli economici, la lettura del prossimo libro di Chris Anderson, “Free”, potrà essere chiarificatrice. Anderson non parla dell’ industria dei media in particolare, ma scrive che ci sono decine di modelli economici:

“il ‘freemium’ (una versione gratuita per tutti, una versione a pagamento, e molto costosa, per un piccolo numero di professionisti) ; il modello pubblicitario (che Google sta per trasformare profondamente); i modelli “cross-subsidies” ; quelli  “zero marginal cost” ; il “labor exchange” o ancora il modello-gift (regalo), ecc.”

(Si possono leggere anche un articolo di Anderson che annuncia il suo saggio e questa analisi di Frédéric Martel).

 

2. Che cosa ci si può attendere dall’ evoluzione della pubblicità e degli inserzionisti?

Dopo aver visto che le situazioni economiche delle redazioni sono particolarmente complicate e che il principale problema è costituito dai ricavi della pubblicità, il problema che si pone è di sapere come questi ricavi possono evolvere.

Non so se il prezzo dei CPM possa aumentare. L’ ipotesi che faccio è che se sono bassi è anche perché il web rende molto largamente definibile il comportamento dell’ internauta di fronte alla pubblicità. E siccome l’ internauta è attivo (evita la pubblicità, io spesso faccio  questo esempio di eye-tracking) e pubblifobico, è difficile creare dei format pubblicitari online che non lo irritino. Forse quello dell’ affiliazione è il format migliore.

In parole povere: i CPM sono bassi perché il web permette di mostrare che l’ efficacia della pubblicità online è relativa. Non che la pubblicità fuori della rete sia per forza più efficace, ma essa era/è senza dubbio parzialmente protetta dalla difficoltà di tracciare la sua efficacia.

Senza comunque scomodare qualche veggente, si possono distinguere tre tendenze che si confrontano in relazione all’ evoluzione della pubblicità.

* La concorrenza degli altri siti

Tutti d’ accordo sul fatto che la pubblicità online sta progredendo, ma verso quale tipo di siti? La strategia dell’ inserzionista potrebbe avere sui lettori anche degli effetti pericolosi per i siti d’ informazione: per esempio quelli di attirare l’ audience su siti diversi: motori di ricerca, aggregatori, siti di servizio, reti sociali, siti di condivisione, ecc.

Come diceva Trevor Edwards, della Nike,
“Noi non ci occupiamo di tenere in piedi le aziende dei media, il nostro business è nella connessione con i consumatori”.

Insomma, ed è normale, l’ inserzionista se ne frega di sapere quale tipo di media fa vivere e anche se lo fa vivere. Ecco un elemento di pessimismo.

* L’ aumento dell’ audience

Per Cédric Motte, “il web non andrà più lontano di ora in termini di penetrazione di mercato”. Non sono sicuro di riuscire a seguirlo: oggi il 58% della popolazione di + di 11 anni è internauta. La frattura numerica si riduce, anche se resta una realtà. E i tassi di connessione aumentano del 10-12% all’ anno. Certo che non si potrà mai connettere la totalità del restante 40% e Cedric me lo fa notare nel commento al mio post, ma io sono sicuro che l’ audience può ancora aumentare. Aspettiamo a vedere per esempio gli attesi sviluppi del marketing sul mobile… Un elemento di ottimismo dunque.

* L’ evoluzione verso altri indicatori di misura dell’ efficacia pubblicitaria

Si parla sempre di pù di cose come il contatto o l’ attenzione, oltre alla misurazione quantitativa dell’ audience. Effettivamente il tempo passato su un sito dovrebbe essere una nozione chiave: quando si conosce la durata delle visite cresce la tendenza a relativizzare la sua audience…

Ora, i sti di informazione fanno parte di quella categoria di siti più susctebbili di trattenere l’ attenzione dell’ internauta. Non ho ricerche sotto mano, ma mi sembra naturale che gli internauti passino un tempo medio più elevato su dei siti di informazione che sui blog, sui motori di ricerca o gli aggregatori. I siti di informazione sono dei siti di destinazione e la pubblicità lo dovrà riconoscere. Ecco un altro elemento di ottimismo.

 

 3. Quali conseguenze per il paesaggio dei media online?

Aufeminin.com annunciava due settimane fa un netto calo dei profitti collegandolo a dei “cambiamenti nel campo della concorrenza“, che sarebbero stati immediatamente sanzionati dalla borsa.

Mi sembra molto sintomatico che uno dei media online che ha avuto maggior successo annunci delle difficoltà a causa di una maggiore concorrenza nel campo dell’ informazione femminile su internet. Il messaggio mi sembra molto chiaro: malgrado i progressi dell’ audience che ci si può attendere, non ci sarà spazio per tutti. Il mercato dei media online dovrà per forza conoscere una fase di consolidamento. Ed è da questa fase di consolidamento che possono emergere dei soggetti solidi e in grado di fare profitti.

In questa prospettiva, quali media sono nelle posizioni migliori? E’ su questo che il dibattito non è ancora esauriente.

* Siti d’ informazione dei media offline e “pure players”

Da un lato i siti che sono la declinazione online di testate offline hanno qualche atout sicuro: l’ attrazione del marchio prima di tutto; poii la possibilità di recuperare dei conteuti prodotti dalla versione offline; e infine gli archivi, la cui pubblicazione favorisce il traffico attraverso i motori di ricerca.

Ma dall’ altro lato queste strutture non hanno una cultura web molto sviluppata e si contentano spesso di fare del cartaceo sul web o più in generale “la copia conforme del media da cui provengono”, come sostiene Alain Joannès in una intervista.

Questo spiega perché i leader nei vari settori siano tutti dei pure players : Aufeminin, Boursorama, Linternaute, 01net, Allocine… Cédric Motte ha appena diffuso una analisi di quello che differenzia i pure players dai siti dei media tradizionali , che si potrebbe riassumere in un solo concetto: l’ agilità.

Agilità che ha però il suo contrario, e in particolare la necessità di creare il marchio e l’ assenza di contenuti ripubblicabili e di archivi.

Non è detto che il consolidamento si produca solo attorno ai siti di media tradizionali oppure a quelli che sono pure players. Può benissimo avvenire attorno a dei siti usciti da entrambe le famiglie. Siamo in un periodo di “distruzione creatrice” o di “incertezza radicale”, per riprendere dei termini cari a Emmanuel Bruant. Il paesaggio è cangiante e può modificarsi sotto l’effetto di innovazione tecnologiche, di decisioni giuridiche… Sembrerebbe quindi illusorio anticipare il futuro e fare degli scenari.

A questo proposito devo rispondere a una valutazione di Cédric Motte in  un altro dei suoi post:
“In 20 anni di web in Francia, nel corso dei quali le scon fitte si sono succedute, nessuno può sperare di diventare ricco lanciando un sto di informazione”.

Io credo che questo ragionamento non tiene conto a sufficienza della dinamica del web e di questa idea di “distruzione creatrice”: il web 2.0 non ha più di quattro anni, avvengono cose nuove in continuazione e tutti imparano tutti i giorni. Io avrei più la tendenza a vedere il periodo attuale come un periodo transitorio da cui può venir fuori… tutto e il contrario di tutto.

 

4. Chi produrrà l’ informazione ?

E’ una domanda che  abbiamo posto su Internet et Opinion(s) qualche settimana fa, in seguito a un lungo articolo del New Yorker, alla sintesi che ne aveva fatto Benoît Raphaël e a un commento di Emmanuel Parody.

In sintesi: sono i media offline i principali produttori di informazioni. Su internet, in grande maggioranza, si copia-e-incolla e si ripubblica.

D’ altra parte Francis Pisani scriveva qualche giorno fa:
“Google News ha indicizzato più di 3.000 articoli relativi alla rottura del negoziato fra  Microsoft et Yahoo. 3.000 articoli  « sulla stessa cosa » sottolinea Scott Karp di Publishing 2.0".

Jean-Marie Le Ray d’Adscriptor fa giustemente notare che questi 3.000 articoli non sono uguali: in sostanza non bisogna confondere informazione bruta e analisi, ma l’ idea è quella. Su internet l’ informazione è duplicata, quadruplicata, ecc.
E commentata: il successo di alcuni media si basa sull’ aggregazione E il commento di informazioni prodotte da altri (Huffington Post ad esempio).

Dunque, se questi media di aggregazione e di commento captano la pubblicità mentre la stampa tradizionale continua a indebolirsi, chi produrrà l’ informazione?

La parte delle agenzie di stampa nella produzione di informazione sembra crescente, quella di chi emette informazone (uffici stampa e pubbliche relazioni) anche (Vedi lo studio dell’ Università di Cardiff in Lsdi, L’ indipendenza sta diventando un lusso). Ci si può aspettare che dei media online producano inchieste e analisi? Questo presuppone dei costi che non sembra sia possibile (o si voglia…) sostenere oggi.

 

5. Quali sono le implicazioni di questa situazione sul contenuto prodotto?

Molte delle scommesse a cui abbiamo accennato hanno delle conseguenze sulla natura dell’ informazione prodotta – a cominciare dall’ ultimo punto: il ruolo delle agenzie di stampa e delle pubbliche relazioni.
Aggiungiamo tre punti per rispondere alla questione del contenuto:

* Il marketing editoriale

L’ analisi del traffico sui siti è edificante. Philippe Cohen, redattore capo di Marianne2.fr, nel corso del dibattito organizzato da SNJ e riportato su Ceucidit :
“se faccio un articolo sullo sciopero a le Monde o a les Echos, vedo che arrivano 1500 o al massimo 2.000 visitatori. Se scrivo su Carla Bruni c’ è un bel balzo”,
concludendo:  “sono obbligato a giocare un po’ sui due piani” .

Il ragionamento fondato sulla pubblicità ha quindi la conseguenza di orientare il contenuto redazionale verso le informazioni più “popolari”.
In qualche modo Internet incoraggia l’ approccio redazionale “marketing-orientato”: il fatto di vedere esattamente quali pagine vanno e quali no incoraggia il redattore a comportarsi non  da giornalista (verificando, contestualizzando, fornendo senso e restituendo dei fatti) ma da uomo di marketing (il mio pubblico vuole una informazioni con queste e quelle caratteristiche, e io produco la mia informazione in funzione d questa caratteristiche).

E’ un po’ il contrario della vocazione giornalistica descritta per esempio da Hervé Bourges (resistere alle costrizioni temporali dettate dai nuovi media) e riportata da Narvic.

E così si arriva alla fine alla discussione sull’ offerta e la domanda: se si segue la domanda (e internet, rendendo chiare le richieste degli internauti, spinge in questo senso), l’ informazione avrà la tendenza a specializzarsi (sovra-rappresentazione di alcuni argomenti, sotto-rappresentazione di altri) e a deteriorarsi.

Per quel che riguarda l’ offerta, una informazione con del vero valore aggiunto deve poter trovare il suo pubblico, ma bisogna che sia in grado di dotarsi dei mezzi necessari.

E’ ancora il modello-abbonamento a pagamento che permette meglio di mettere in opera questo ragionamento sul piano dell’ offerta. Più che mai le sperimentazioni attuali sono da seguire con attenzione.

* L’ influenza del web comunitario

L’ ultimo post di Benoït Raphaël (vedi Lsdi, I 10 contributi dei blog al giornalismo ) – mostra anche l’ evoluzione del contenuto nei media professionali. E in effetti si vedono nei media (non solo in quelli online comunque) un sacco di cose che sono ispirate a quello che c’ è nella blogosfera.

Si vedono bene nel post di Benoît Raphaël le tendenze redazionali: una diversa organizzazione dell’ informazione; l’ evoluzione del tono (impiego dell’ “io”, esperienza personale, utilizzo dei link, degli elenchi…) ; la velocità di circolazione dell’ informazione, che può avere come corollario la mancanza di verifica (che non è solo monopolio del web) ; l’ inserimento dei commenti, che crea un processo di correzione e di arricchimento e ha fatto dire recentemente a Jeff Jarvis che “su carta, il processo crea il prodotto; online, il processo  stesso è il prodotto”; ecc.

Non sono sicuro che si tratta di una rivoluzione, ancora meno che essa abbia un impatto sull’ insieme del giornalismo online, ma possiamo ritenere che il web comunitario  continuerà a influenzare il contenuto prodotto dai media nei modi descritti da Benoît Raphaël.

* La rinascita del “consumerismo”

L’ impatto del web sui media è anche qui: in una informazione più consumerista.  L’ articolo di le Monde sull’ iPhone era stata una piccola rivoluzione appena rilevata all’ epoca, ma gli esempi pullulano. Per esempio il dossier di Libération sul videogioco Grand Theft Auto IV (GTA IV),  qui.

 

6. Che devono fare i media online?

Si cerca qui di sintetizzare diverse opinioni di esperti, che possono essere classificate grosso modo in due categorie: da una parte investire e innovare; dall’ altra fare evolvere le pratiche e la cultura delle redazioni.

* Investire e innovare
Ovviamente le difficoltà delle redazioni hanno come corollario la riduzione dei costi: riduzione degli organici, giornalisti pagati male, redazioni web focalizzate sulla selezione delle notizie e non sulle inchieste. Ma è sostenibile ragionare solo in termini di costi quando si attraversa una crisi o quando si è in un periodo di distruzione creativa? Invece è proprio perché il periodo sovverte le convinzioni abituali che bisogna investire e innovare.

Tutto questo passa attraverso la sperimentazione, come mostra in particolare Cédric Motte nella sua relazione  a un incontro con la Fédération Nationale de la presse française. Non c’ è nessuna soluzione preconfezionata, bisogna sperimentare. L’ inserimento dell’ UGC (User generated content, Contenuti prodotti dagli utenti, ndr) o del “citizen journalism” è una strada, ma le buone soluzioni forse non sono quelle che uno si aspetta. La parola chiave forse è serendipity.

 Alain Joannès, in una intervista sul rich media, insisteva sul fatto che la si potrebbe descrivere come “l’ informazione in 3 dimensioni” e il cui risultato è  “1+1=3“. Le pratiche di Rich Media, diffuse negli Usa, in Europa sono ancora in una fase di balbettamento, anche se qualcosa esiste. Alain Joannès difende l’ idea che la loro messa in campo è più una questione di cultura che di costi. Una risposta da scovare scavando, dunque.

Da segnalare anche una valutazione di Cédric Motte sull’ organizzazione del contenuto: far scoppiare i siti generalisti in una moltitudine di siti tematici specializzati. Idea che mi sembra coerente con il principio fondamentale del web: il funzionamento attraverso reti di affinità, o comunità tematiche.

L’ innovazione è anche nella ricerca del proprio business model e non per forza al solo livello redazionale. Se lo sviluppo dei servizi è la chiave verso la redditività, i siti di informazione devono sviluppare dei servizi (BtoB)… Non è quindi a livello della redazione che tutto questo si gioca, ma alivello della direzione generale, della strategia di impresa.

* Fare evolvere le pratiche e la cultura delle redazioni

Ah, il rapporto dei giornalisti col web… che si tratti di giornalisti fatti (come mostrava la situazione al Parisien qualche giorno fa ) o (più inquietante) di studenti in giornalismo, si usa definirlo “complicato”.

Non si compra una cultura web così, soprattutto quando la professione conserva sfiducia nei confronti della Rete, generando dei  giornalisti pieni di dubbi.

Questa cultura web passa quindi attraverso la formazione. A questo proposito bisogna rileggere  il punto di vista di Journalismes.net sulla formazione al web nelle scuole di giornalismo francesi. Philippe Couve diceva nel corso del suo intervento al dibattito SNJ :
“Alla domanda “un giornalista deve sapere fare di tutto ogg?”, ho risposto “sì”, mentre parte della sala era costernata. Effettivamente, io – ed è il senso della specializzazione multimediale messa in campo dal CFJ -, penso che i giornalisti oggi debbano saper dominare gli elementi di base di tutti i media (scrivere, scrivere per il  web, registrare il suono, scattare delle foto, girare un video).”

Alain Joannès da parte sua, evoca tre strade per una ri-legittimazione del giornalista: attendibilità, capacità, innovazione.
Una questione di atteggiamento e di esigenze, quindi.

Ma anche una questione di scelte editoriali e di identità di marchio.

Seth Godin insisteva sul suo blog  qualche giortno fa sulla necessità per il New York Times (ma vale per tutti) di concentrarsi sulle proprie forze, e questo perché NYT è molto ben conosciuto, e non su quello che non tratta meglio degli altri giornali. Cosa che si collega in qualche maniera al  punto di vista di Francis Pisani sui 3.000 articoli che trattavano la vicenda Microsoft-Yahoo e che gli facevano dire:
“il valore degli articoli di attualità, più ancora di quello dei prodotti di consumo corrente, tende verso lo zero” (…) “ Trattare argomenti che tutti trattano significa, per i media di informazione, prosciugare la sorgente che essi sfruttano. E’ una eredità del tempo in cui i lettori avevano accesso a un numero molto ristretto di pubblicazioni. E’ venuto il momento di inserire nell’ economia dei media il fatto che i loro lettori ne consumano sempre degli altri”.

Si tratta quindi per un media sia di sondare la propria identità di marchio (quello che costituisce il suo DNA, quello per cui è conosciuto) e sia di produrre del valore aggiunto. Ma che cos’ è il valore aggiunto per un media?.
*non l’ informazione bruta perché tutti ce l’ hanno e la riproducono (a meno di non averla prima di tutti).
* non le pagine di commenti perché il web comunitario pullula di eccellenti articoli di opinione (e qui ci vorrebe un cambiamente culturale fondamentale perché il must del giornalismo in Francia è diventare un editorialista).
* ma piuttosto l’ inchiesta da una parte e l’ analisi, la messa in prospettiva dall’ altra. Che sono i fondamenti del mestiere di giornalista….Bisogna dedurne che le redazioni avrebbero interesse a una maggiore crescita tecnico-professionale dei propri giornalisti, con la conseguente minore mobilità trasversale delle carriere?
* la capacità di riunire e animare una comunità intorno a sé, a farla parlare. Cosa che presuppone anche l’ implicazione dei giornalisti nelle relazioni con i lettori e pone, ancora come sempre, la questione del tempo disponibile, della cultura e della volontà.

Concludiamo ricordando che l’ avvenire dei media online passa anche attraverso il futuro dei marchi: il media si definisce sempre meno per quello che dà e sempre di più per la sua testata. Un media online del futuro è quindi, forse, la versione web di un gruppo editoriale che guadagna soldi sugli altri supporti… e così “sovvenziona” il sito.  

Naturalmente, chi è arrivato fino alla fine di questo lungo articolo si acorge ora che non c’ è nessuna risposta alle 6 domande. E’ quello che si chiama un dibattito aperto.