L’ esercito dei “quasi giornalisti” del web

Gillmor1Nell’ odierno ecosistema dell’ informazione, tutti possono trovare pubblico e attenzione, o almeno provarci.

Teoricamente, nel mondo dei bit è finito il predominio dei grandi editori o delle testate tradizionali: l’ etichetta di “new media” abbraccia blogger e aziende, enti non-profit e siti sparsi. Come spiega il noto autore e docente Clay Shirky, “la produzione editoriale non è più un’industria, ma un pulsante sul web“.

A fronte dell’ info-tainment dei brand pubblicitari (dalla Coca-Cola a Red Bull), cresce così anche l’ offerta giornalistica proposta da gruppi di attivismo, dai progetti di citizen-journalism e dal settore non-profit.
Lo sottolinea un intervento del giornalista Usa Dan Gillmor, che li raggruppa in settore a sé: i “quasi giornalisti“.

 

Anche in contrapposizione al rapporto State of the News Media , recentemente diffuso dal Pew Research Center, Gillmor sottolinea che gruppi come Human Rights Watch, l’American Civil Liberties Union e il Cato Institute sono «sempre più impegnati nella produzione di informazione fatta in proprio», e anzi «vanno assai in profondità su temi a cui sono interessati e che è vitale vengano pienamente compresi dai cittadini».
In particolare, Human Rights Watch  ha avviato delle partnership con Upworthy e altre organizzazioni, tra cui ProPublica e Climate Nexus, per un progetto giornalistico finalizzato a incrementare la credibilità pubblica su temi quali diritti umani e cambiamento climatico.
Ciò grazie anche alla disponibilità di centinaia di volontari sparsi nel mondo e pronti a raccogliere punti di vista diversi in loco, oltre che alla propria rete di avvocati, esperti e accademici già impegnati su questi temi. Un po’ come avere un esercito di «corrispondenti esteri ciascuno dei quali è un attento conoscitore delle strutture socio-politiche di un certo Paese».
Ricorrendo agli strumenti di Internet e al social web, diventa così possibile avviare simili partnership trasversali, nell’ambito di una strategia mediatica mirata  a un pubblico di nicchia ma qualificato che vuole rimanere aggiornato su temi di portata “glocale”. Un trend che merita attenzione.

 

Ma ecco qui sotto un’ ampia sintesi dell’ articolo di Gillmor su Slate

 

 

In lode dei ‘’quasi-giornalisti’’

 

Gillmor2Testate come BuzzFeed , Vox , e la nuova FiveThirtyEight di ESPN, e una serie di altre iniziative di media giornalistici grandi e piccoli – racconta Gillmor – stanno ampliando l’ ecosistema dell’ informazione giornalistica. Ma lo fanno anche Human Rights Watch , l’American Civil Liberties Union (ACLU), il Cato Institute, e una miriade di altre organizzazioni che fanno giornalismo molto serio su alcune delle questioni chiave del nostro tempo. Queste associazioni stanno facendo advocacy journalism – giornalismo impegnato,  orientato da una visione del mondo, e spesso aprono la strada ai giornalisti tradizionali.
‘’Nel mio libro più recente li ho chiamati “quasi-giornalisti”, perché credo che il lavoro degli attivisti non sempre dia spazio ai punti di vista e fatti opposti o alternativi. Ma a questo punto – aggiunge Gillmor – sono pronto a far cadere il “quasi”. Non sto dicendo che stanno facendo il tipo di giornalismo che si è affermato sui giornali Usa nella seconda metà del 20 ° secolo, quella copertura “oggettiva” che può avere ancora una sua piena validità. Ma questo nuovo giornalismo sta andando più a fondo di chiunque altro su argomenti importanti, di vitale importanza per i cittadini, che i giornalisti tradizionali ignorano o trattano in maniera superficiale. Ora, quel giornalismo ci sta dicendo quello che ha imparato, usando gli strumenti e le tecniche dei media del 21° secolo.
Prendiamo ad esempio Human Rights Watch, che fa il miglior giornalismo possibile nel suo campo. Pew non lo include nell’ ecosistema, ma Upworthy, il popolare sito di aggregazione di notizie, invece, giustamente, lo include. In una sua nuova iniziativa, Upworthy ha fatto un accordo con Human Rights Watch, Climate Nexus e ProPublica per coprire i diritti umani, il cambiamento climatico e la politica economica. ” Non pensiamo che basti promettere di dedicare maggiore attenzione a questi temi: e siamo orgogliosi di annunciare che stiamo collaborando con alcuni esperti in questi campi per ottenere la giusta copertura”, ha spiegato Upworthy sul suo blog.
La parola chiave nel post di Upworthy è “esperti” – perché questa è la qualità essenziale che Human Rights Watch e altri soggetti come HRW  portano nell’ ecosistema giornalistico. Le libertà civili sono una delle arene più importanti per le persone impegnate. Abbiamo bisogno del loro lavoro, sia perché i giornalisti tradizionali hanno sempre avuto la tendenza ad una certa superficialità su questi argomenti e sia perché sono spesso troppo timidi per sfidare le vacche sacre della politica, come ad esempio nel caso delle ‘’Guerre al Terrore’’, che hanno portato a grandi abusi .
Molto prima che Edward Snowden passasse i documenti sulla sorveglianza di massa a Glenn Greenwald e Laura Poitras , l’ ACLU era riuscita a scovare tutti i tipi di informazioni sulla sorveglianza di massa e su altre minacce per le nostre libertà.
Sempre più spesso, sono questi gruppi di impegno civile che guidano anche giornalisti con una grossa esperienza. Al Cato Institute , per esempio, Julian Sanchez,  che ha scritto per Slate, così come per l’ Economist , Ars Technica e Reason, si batte per ripristinare le libertà che abbiamo perso negli ultimi anni. Sul sito dell’istituto, su Twitter  e altrove, Sanchez sta rafforzando la propria già notevole conoscenza ed esperienza.
I gruppi di militanza – ONG , think tank, ecc. -, certo, sperano ancora che il loro lavoro venga ripreso da quello che è rimasto dei Big Media, che possono amplificarlo in maniera vitale – osserva Gillmor -. Ma nell’ era di Internet  essi possono mettere i loro canali di informazione direttamente a disposizione del pubblico. (Ad esempio, la New America Foundation, che è un partner con Slate e Arizona State University in Tense Future, pubblica il suo Weekly Wonk.

 

Insomma, sottolinea il docente, ‘’chiunque abbia un sito web è un editore, siamo tutti delle testate giornalistiche oggi’’.

 

Certo – aggiunge -, sostenere un principio o una visione del mondo non trasforma automaticamente in giornalismo il nostro lavoro. Altrimenti, anche i comunicati stampa sarebbero giornalismo. Ma il giornalismo con una determinata visione del mondo è stato comune in molti paesi  e i ‘’consumatori’’ di informazioni si sono trovati bene. Quando sono a Londra compro il liberal Guardian e il conservatore Telegraph, e mi sembra di muovermi bene fra i vari punti di vista dell’ establishment britannico.

 

Una visione del mondo può migliorare la qualità, perché può fornire un quadro di riferimento al pubblico.
E – conclude – se qualcuno pensa di escludere dal firmamento dell’ informazione il giornalismo degli attivisti, che ha una lunga e onorevole storia anche in America (vedi Ida Tarbell), che cosa dovremmo fare con trasmissioni trasmesse anche su reti importanti come la CNN, in cui c’ è gente che specula all’ infinito su un aereo che manca oppure lancia come ‘’breaking news’’ gli ultimi semi-fattoidi provenienti da fonti anonime?