Open Data: dalla Basilicata un modello di Foia da esportare

La presentazione pubblica della Proposta di legge lucana ha aperto nuovi possibili scenari allo sviluppo dell’ Open Data in Italia: il Freedom of Information Act – Una rete virtuosa di istituzioni aperte -Lo stato di avanzamento dei lavori da monitorare e una best practice da esportare


 

di Andrea Fama

 

Si arricchisce la mappa delle iniziative istituzionali in materia di Open Data. In attesa di riscontri concreti da parte del Governo centrale (vedi Cabina di Regia per l’Agenda Digitale), sono le autonomie regionali a segnare il passo in materia.

Oltre alla legge adottata a dicembre 2011 dalla Regione Piemonte (finora unico esempio in Italia), si sono infatti moltiplicate le iniziative spontanee di liberazione dei dati (GeoDati in Sardegna e in Trentino) e le Proposte di Legge in materia.

 

A questo proposito, sabato 10 marzo in Basilicata è stata presentata a istituzioni, stampa e cittadinanza locale la Proposta di Legge regionale su accesso, pubblicazione e riutilizzo dei documenti e dei dati pubblici dell’amministrazione regionale lucana. La Proposta si distingue – come già segnalato su LSDI – da ogni altra norma in Italia in quanto introduce per la prima volta il principio del Freedom of Information Act – FOIA, ovvero il diritto riconosciuto a chiunque di richiedere e ottenere le informazioni prodotte dal settore pubblico.

 

Nel corso del dibattito di presentazione, il Consigliere Ernesto Navazio, primo firmatario della PdL, ha inteso “condividere” pubblicamente l’iniziativa con tutto il panorama istituzionale lucano e con la cittadinanza, nella consapevolezza che il dato libero e accessibile è patrimonio comune, da valorizzare e capitalizzare.

 

Ma è auspicabile – ha rilanciato l’altro Consigliere firmatario, Roberto Falotico – che il processo di condivisione si allarghi anche alle altre Regioni che hanno già adottato o che intendono munirsi di una normativa in materia, al fine di creare una rete virtuosa di istituzioni aperte in grado di valorizzare esponenzialmente le rispettive esperienze [magari anche attraverso la standardizzazione, l’automatismo e l’interoperabilità dei sistemi. Il rischio, che già si sta delineando, è infatti quello di avere sistemi che come schegge isolate non comunicano tra loro. NdR].

 

Abbattere, dunque, la cronica resistenza della Pubblica Amministrazione a liberare gli atti pubblici, poiché il dato libero non è solo un incontestabile diritto e principio etico (favorire trasparenza e partecipazione, checché ne dica il Garante per la privacy Pizzetti, le cui recenti dichiarazioni suonano interlocutorie e sinistramente sibilline – associare un’amministrazione orwelliana a un’amministrazione digitale aperta è una pericolosa distorsione nonché un ribaltamento della realtà), ma anche un formidabile strumento pratico, in grado di migliorare tanto il funzionamento di una PA quanto la fruizione quotidiana dei servizi da parte dei cittadini; di generare risparmi ed evitare duplicazioni; di consentire soluzioni inaspettate a criticità complesse; di contribuire al diritto all’informazione e all’economia della conoscenza.

 

Ma per fare ciò la sola volontà di aprire la propria amministrazione forse non basta. C’è bisogno di competenza e di una radicale opera di alfabetizzazione digitale di tutto il comparto pubblico. Restando al tema dell’Open Data, infatti, un sondaggio di Forum PA rivela che “c’è ancora molto da fare visto che i partecipanti al nostro Panel – 1.574 intervistati, il 74% dei quali tra l’altro appartiene al settore pubblico – dichiarano di non essere ancora molto informati: solo il 7% ha una conoscenza approfondita del tema, appena il 28% buona, il 39% sufficiente e il 26% addirittura scarsa. Solo il 30% conosce amministrazioni che hanno avviato iniziative di diffusione di Open Data e solo il 14% soluzioni o servizi realizzati a partire dall’utilizzo di Open Data”.

 

Alla luce di ciò, risulta ancor più condivisibile l’esigenza di un’adeguata data literacy manifestata da Ernesto Belisario, Presidente dell’Associazione Italiana per l’Open Data, e quella di una più generale patente digitale per parlamentari e amministratori pubblici proposta dal Senatore Vincenzo Vita.

 

Ma gli ostacoli all’Open Data non risiedono soltanto nelle resistenze e nella scarsa alfabetizzazione delle PA.

 

Digital divide e data divide sono fenomeni attigui. Adottare principi anche tecnologicamente così innovativi è infatti in netto contrasto con un accesso alla Rete talvolta mortificante, evidenzia Enzo Fierro di Stati Generali dell’Innovazione. In tali condizioni – reinterpreto – dotarsi di determinati strumenti informatici è come guidare una Ferrari per una stradina sterrata di campagna.

 

A ciò si aggiunge, per bocca di Belisario, la lungaggine dei tempi di approvazione delle leggi [l’innovazione tecnologica vola e le norme in tal senso sono facilmente deperibili e obsolete]; il rischio di promuovere leggi di mero principio [vedi “leggi spot” sull’onda delle tendenze del momento] che non mirino poi ad una concreta attuazione; l’effettiva rilevanza dei dati resi pubblici [vedi il numero di oleandri piantati lungo i viali di una città vs. la spesa pubblica in materia di tutela del territorio]; la mancanza di investimenti, seppur minimi, a sostegno di progetti realmente efficaci in materia di Open Data [non sempre è possibile friggere i pesci con l’acqua].

 

Sempre secondo Belisario, le possibili soluzioni passano attraverso un inevitabile sistema sanzionatorio per le Amministrazioni che non ottemperano alla liberazione dei propri dati [vedi la Direttiva USA per l’Open Government], nonché tramite un attento monitoraggio delle iniziative in essere.

 

La chiusura del dibattito pubblico è stata affidata al Senatore Vincenzo Vita, vice presidente della Commissione Cultura del Senato, che ha ribadito la trasversalità politica dell’Open Data e ha sottolineato l’importanza della dimensione regionale e locale nella promozione e attuazione di una cultura e di una strategia di Open Government.

 

Vita ha inoltre espresso l’auspicio che la Proposta di Legge lucana venga presto condivisa e approvata da Consiglio e Giunta regionale, e che diventi una best practice da esportare ad altre autonomie, offrendosi di divulgarne personalmente il testo tra colleghi e operatori. Il progetto Basilicata Open Data – ha proseguito Vita – può diventare un laboratorio in movimento, una piattaforma per lo scambio di buone pratiche.

 

Troppo spesso, l’agenda di politici e amministratori è dominata da questioni certamente prioritarie quali il lavoro, la salute, la casa, mentre il tema della cultura (specie quella digitale) è sovente marginalizzato. Ciò che sfugge, tuttavia, è che “la dimensione digitale illumina tutto ciò di una luce diversa, nuova, ricca di opportunità”. I temi dell’Open Data, dell’open access e del diritto d’autore [vedi in proposito possibili interferenze con l’accesso ai dati pubblici] rappresentano infatti il futuro di ogni agenda politica, non solo digitale.

 

Avanti quindi lungo il percorso tracciato in Basilicata, ha chiosato Vita, ribadendo la necessità di un attento monitoraggio e di un costante aggiornamento del cosiddetto “Stato di Avanzamento Lavori”.

 

Un altro importante seme per l’openness italiana è stato piantato. La fioritura, ora, dipende anche dall’impegno di ciascuno di noi.