Formazione obbligatoria dei giornalisti. La curia triestina contro l’ Ordine, crociate e polemiche

VitanuovaI corsi di formazione obbligatoria dell’Ordine dei Giornalisti? Uno strumento per l’ indottrinamento di regime, un pericoloso mezzo per costringere i giornalisti a seguire una perversa ideologia che vorrebbe equiparare eterosessuali, omosessuali, bisessuali e transessuali. La spaventosa longa manus della lobby LGBT emerge minacciosa e nessuno si erge a difesa dei valori naturali e tradizionali. L’attacco arriva dalle pagine del settimanale cattolico della diocesi di Trieste Vita Nuova e dal suo direttore Stefano Fontana, mentre l’Assostampa del Friuli Venezia Giulia esprime la sua solidarietà ai colleghi dell’Ordine regionale che respinge le accuse.

 

Ricostruiamo qui la vicenda dando la parole al direttore della rivista e al presidente dell’Ordine.

 

 

A cura di Fabio Dalmasso

 

 

I fatti

 

Tutto ha inizio con un editoriale intitolato “All’ordine!” firmato da Stefano Fontana e pubblicato sul suo settimanale Vita Nuova il 25 aprile: parlando dei corsi obbligatori di formazione istituiti dall’ Ordine dei Giornalisti del Friuli, Fontana contesta il fatto che un incontro venga realizzato in collaborazione con la Re.a.dy, la Rete Nazionale delle Pubbliche Amministrazioni Anti Discriminazioni, della quale fa parte anche il comune di Trieste assieme ad altri 50 comuni, sei regioni e undici province.

 

Gli obiettivi di questa rete? Promuovere culture e politiche delle differenze e sviluppare azioni di contrasto alle discriminazioni basate sull’ orientamento sessuale e sull’ identità di genere. Nulla di così straordinariamente ‘’pericoloso’’ dunque – anzi -, ma non per tutti. Secondo Fontana, infatti, dietro alla “lotta contro le discriminazioni di genere” si cela la minacciosa “imposizione dell’ ideologia omosessualista”. Meglio dunque mettere in guardia i fedeli (in tutti i sensi) giornalisti e sottolineare come quell’ incontro fissato per il 9 maggio e intitolato subdolamente Discriminazione femminile e sessuale di genere sia pericoloso visto che, conclude l’editoriale, “finora questa Rete [Re.a.dy., N.d.R.] non ha dato buona prova di sé e ha fatto entrare massicciamente nelle scuole le associazioni gay e lesbiche”.

 

L’ incontro del 9 maggio

 

Ma le persone, si sa, sono curiose e un fedele, e purtroppo anonimo, lettore (o giornalista?) del settimanale si è recato comunque all’ incontro facendone un resoconto che è stato pubblicato su Vita Nuova il 16 maggio in un pagina in cui campeggia il titolo “Purtroppo sui corsi per giornalisti avevamo ragione: indottrinano”. Come nelle più classiche profezie che si autoavverano, lo scritto anonimo sostiene che le preoccupazioni espresse nel precedente editoriale erano fondate.

 

Ignorando il fatto che ad essere obbligatoria è la formazione e non il singolo corso e che il giornalista è libero di scegliere quali appuntamenti seguire, lo scritto prosegue denunciando la mancanza di dialogo e di visioni diverse e l’ assai pericolosa proposta, fatta dai relatori, di adottare “un coacervo di termini artificiosi, volti all’ adesione entusiastica a quella strana teoria sociale secondo la quale il genere maschile e femminile è tutt’altro dal mero dato biologico reale: outing, coming-out, LGBT”.

 

Sconcerto e shock al quale Fontana risponde parlando di indottrinamento di regime e chiedendosi: “Ma se l’Ordine dei Giornalisti si piega all’ indottrinamento di regime, anche il giornalismo diventa di regime. E l’Ordine non serve più a proteggere i giornalisti dal regime. E allora a cosa serve?”.

 

In una lettera al sito lettera al sito Bussola Quotidiana, Fontana affonda il colpo e, parlando di rieducazione dei giornalisti, afferma: “Una cosa certamente spiacevole è che questi corsi sono obbligatori. La seconda è che non rispettano minimamente l’abc della deontologia giornalistica che pure vorrebbero insegnare: aderenza ai fatti e garanzia del contraddittorio. La terza è che, purtroppo, i giornalisti che vi partecipano bevono senza protestare. Tranne i giornalisti di Vita Nuova”.

 

La posizione di Associazione stampa e Ordine

 

Ovviamente non mancano le reazioni: in una nota del 28 maggio l’ Assostampa Fvg esprime piena e convinta solidarietà a Cristiano Degano, presidente Ordine dei giornalisti del Friuli Venezia Giulia, e ai colleghi dell’Ordine regionale, “oggetto di un pesante e ingiustificato attacco da parte del direttore del periodico Vita Nuova” mentre lo stesso Degano ha scritto una lettera in cui sottolinea che “non c’è, ovviamente, nessuna volontà di “rieducare” ma solo la necessità di predisporre degli incontri, appunto, di aggiornamento professionale che la legge, da quest’anno, ci impone di organizzare per i colleghi”.

 

Ricordando come non siano state illustrate posizioni di parte, bensì le linee guida del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, quindi una posizione istituzionale, Degano conclude dicendo che lo spazio per interventi e osservazioni c’era: “se qualcuno, a cominciare dal Direttore Fontana o da qualche suo collaboratore, avesse voluto illustrare punti di vista diversi avrebbe potuto farlo. Anzi, il confronto sarebbe stato sicuramente utile. In ogni caso, sono sicuro che i colleghi giornalisti, non solo quelli di Vita Nuova, sono in grado di partecipare a questi ed altri appuntamenti formativi con cognizione di causa, non limitandosi, come teme il Direttore Fontana, a “bere senza protestare” ”.
Lsdi ha intervistato Stefano Fontana, direttore di Vita Nuova, e Cristiano Degano, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Friuli Venezia Giulia.

 

Stefano Fontana, direttore di Vita Nuova

 

Nell’editoriale di Vita Nuova del 25 aprile lei scrive di non essere tranquillo sui corsi organizzati dall’Ordine dei Giornalisti del Friuli Venezia Giulia, può spiegare perché?

 

In quell’editoriale avevo espresso una previsione. Poi abbiamo ripreso la cosa perché quella previsione si è verificata. La previsione consisteva in questo. L’ordine diceva che ci sarebbero stati incontri formativi sulla “identità di genere” in collaborazione con la Re.a.dy, la Rete della pubblica amministrazione contro le discriminazioni di genere. Quando si leggono queste cose bisogna alzare le orecchie, perché ormai quasi sempre sotto queste espressioni si nasconde l’equiparazione degli orientamenti sessuali e dei modelli di famiglia. Si nasconde cioè l’ indottrinamento ad una ideologia.

 

Quali sono secondo lei i pericoli derivanti dalla collaborazione con la rete Re.a.dy?

 

La Re.a.dy ha dato più volte prova di funzionare solo in un senso. Se delle lezioni di educazione sessuale all’affettività nelle scuole sono organizzate con la sua collaborazione si può star certi che la docenza è affidata ad associazioni di lesbiche o gay. Noi abbiamo già evidenziato queste cose nella nostra Regione. In un editoriale del 28 marzo avevo espressamente chiesto al Comune di Trieste di uscire dalla Re.a.dy perché non ha una linea affidabile ed equilibrata.

 

Lei conclude la risposta alla lettera su Vita Nuova del 16 maggio dicendo che “una cosa certamente spiacevole è che questi corsi sono obbligatori”. Però obbligatoria è la formazione, non il singolo corso da lei citato, gli iscritti all’ordine possono scegliere altri corsi.

 

Questo è vero. Però bisognerebbe considerare quanto siano presenti incontri su questi temi nelle proposte di formazione. In ogni caso non mi sembra corretto indicare il tema del rispetto dei diritti connessi con l’identità di genere e poi trattarlo in modo equivoco. Il giornalista va per il bisogno della formazione obbligatoria e perché attratto dal titolo e poi si trova davanti ad una trattazione di parte.

 

Perché, come scrive, il corso “non rispetta minimamente l’abc della deontologia giornalistica che pure vorrebbero insegnare”?

 

Per il motivo ora detto. Appartiene all’abc del giornalista la documentazione circa i fatti e l’ apertura a tutte le posizioni sull’ argomento. Questa sarebbe una informazione/formazione obiettiva. Ma nell’incontro organizzato dall’ Ordine sull’argomento era proposta solo una versione, quella che potremmo chiamare dell’ ideologia del gender e tra i relatori non c’era nessuno che esponesse l’ altra versione secondo la quale, per esempio, eterosessualità, omosessualità o bisessualità non possono essere equiparate, come non lo possono  essere il matrimonio tra un uomo e una donna e quello omosessuale. Questa visione mancava del tutto.

 

Lei dice che “se l’Ordine non difende più i giornalisti dal regime, a cosa serve?”. Di quale regime parla? E secondo lei l’Ordine serve?

 

Mi riferisco al regime del pensiero unico, che è oggi molto duro verso chi voglia esprimere delle idee diverse. Se il dipartimento Pari opportunità nelle sue Linee guida dice ai giornalisti che non si deve più adoperare l’espressione “famiglia naturale” vuol dire che c’è un regime culturale che fa pressione sulla libertà di espressione. Che l’ Ordine serva o non serva dipende molto dall’ Ordine stesso. L’ Ordine aveva annunciato di aver istituito una commissione deontologica per questi temi. La faccia funzionare e non si faccia dettare la deontologia dal dipartimento delle Pari Opportunità o dalla Re.a.dy o dalla pressione delle associazioni omo.

 

Come dovrebbero essere secondo lei i corsi di formazione dell’Ordine?

 

Dovrebbero rispondere all’abc della informazione e formazione giornalistica: insegnare ad attenersi ai fatti e presentare tutte le voci in campo. Dovrebbero essere obbiettivi e completi.

 

 

Cristiano Degano, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Friuli Venezia Giulia

 

Cosa ne pensa delle affermazioni fatte dal direttore di Vita Nuova, Stefano Fontana, sul corso di aggiornamento del 9 maggio, Discriminazione femminile e sessuale di genere?

 

Ho ritenuto giusto rispondere con un breve comunicato* (riportato al fondo all’intervista N.d.R.) all’ articolo del Direttore di Vita Nuova e mi rimetto a quella nota. Non intendo infatti coinvolgere ulteriormente l’ Ordine dei giornalisti in una polemica che trovo francamente inopportuna.

 

Giudica positiva la collaborazione con la rete Re.a.dy per l’ incontro del 9 maggio?

Si. È stata una collaborazione positiva quella con il Comune di Trieste e l’ Assostampa su un tema, oltretutto, di grande attualità. Lo dimostra anche la notevole affluenza registrata, circa 300 colleghi rimasti in sala quasi tutti sino alla fine dell’ incontro.

 

Fontana parla di regime e di un Ordine che non difende i suoi iscritti da questo regime e si chiede a cosa serva l’Ordine, che ne pensa?

 

Non c’è alcun regime né, come è stato scritto, un Ordine dei giornalisti che prende ordini dal Governo. Come ho sottolineato anche nella risposta inviata a Vita Nuova, abbiamo semplicemente illustrato ai colleghi le linee guida proposte sull’argomento dal Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, quindi una posizione istituzionale. Sottolineando, nel presentare i relatori, che si trattava appunto di un’ opportuna informazione su tali linee guida e non certo di un’ imposizione da parte dell’Ordine.

 

Fontana afferma che il corso “non rispetta minimamente l’abc della deontologia giornalistica che pure vorrebbero insegnare”, come risponde a questa accusa?

 

Non sono ovviamente d’accordo, ma lascio il giudizio ai colleghi.

 

È vero che non c’è stata possibilità di dialogo ed è stata fornita solo una visione del problema? 

 

Nel corso dell’incontro, come previsto, sono state illustrate le linee guida del Dipartimento per le Pari Opportunità. Al termine delle relazioni, comunque, abbiamo lasciato spazio a interventi e osservazioni. Se qualcuno, a cominciare dal Direttore di Vita Nuova o da qualche suo collaboratore, avesse voluto illustrare punti di vista diversi avrebbe potuto farlo. Anzi, il confronto sarebbe stato sicuramente utile.

 

I prossimi corsi in programma saranno nuovamente in collaborazione con la rete Re.a.dy o verteranno sul tema affrontato il 9 maggio?

 

I temi da affrontare nell’ambito della formazione permanente obbligatori per i giornalisti sono tanti. Abbiamo comunque pensato di cominciare da quelli deontologici e in particolare dalla comunicazione riguardante i soggetti più deboli. Se in futuro si presenteranno poi altre occasioni di collaborare con la rete Re.a.dy le prenderemo senz’altro in considerazione. In ogni caso non ci faremo condizionare da questa o da altre polemiche.

 

 

* Nota del presidente dell’Ordine dei Giornalisti in merito alle affermazioni del direttore di Vita Nuova sul corso di aggiornamento tenuto il 9 maggio a Trieste

 

Leggo su Vita Nuova l’articolo del Direttore, Stefano Fontana, sui corsi di aggiornamento professionale per i giornalisti promossi dall’Ordine del Friuli Venezia Giulia dal titolo “La rieducazione dei giornalisti”.

Non c’é, ovviamente, nessuna volontà di “rieducare” ma solo la necessità di predisporre degli incontri, appunto, di aggiornamento professionale che la legge, da quest’anno, ci impone di organizzare per i colleghi. Come Ordine regionale cerchiamo, comunque, di trasformare un obbligo di legge in un’opportunità per la categoria. L’opportunità di informarsi e aggiornarsi su diversi temi che riguardano la professione, a cominciare da quelli deontologici.

 

Per questo abbiamo accettato, insieme all’Assostampa, la proposta del Comune di Trieste per un incontro sull’informazione relativa alle persone omossessuali e transessuali, e quindi anche alla questione, particolarmente attuale, dell’omofobia. Lo abbiamo fatto illustrando non posizioni di parte, proposte da questa o quella associazione, ma le linee guida del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, quindi una posizione istituzionale. Sottolineando oltretutto, nel presentare i relatori, che si trattava di un’opportuna informazione ai colleghi su tali linee guida e non certo di un’imposizione da parte dell’Ordine.

 

Dispiace poi che si definisca l’appuntamento “caratterizzato dall’assenza completa di dialogo e confronto”. Al termine delle relazioni abbiamo infatti lasciato spazio a interventi e osservazioni. Se qualcuno, a cominciare dal Direttore Fontana o da qualche suo collaboratore, avesse voluto illustrare punti di vista diversi avrebbe potuto farlo. Anzi, il confronto sarebbe stato sicuramente utile.

 

In ogni caso, sono certo che i colleghi giornalisti, non solo quelli di Vita Nuova, sono in grado di partecipare a questi ed altri appuntamenti formativi con cognizione di causa, non limitandosi, come teme il Direttore Fontana, a “bere senza protestare”.

Cristiano Degano