Copyright, tra censura e anarchia

Tra SOPA, ACTA, PIPA e AGCOM,  ultimamente il tema del diritto d’autore infiamma entrambe le sponde dell’Atlantico. Dagli Stati Uniti riportiamo due punti di vista tanto autorevoli quanto equilibrati sull’ argomento, scevri da quel conflitto di interessi e da quell’ estremismo digitale che, inevitabilmente, finiscono per caratterizzare il dibattito su temi di tale portata (intellettuale ed economica). –  Robert Levine, ex giornalista di Wired USA e auotore del libro Free Ride, sostiene che “Non si tratta di rubare, ma neanche di condividere. Vi è una differenza tra curation e pirateria. Megaupload non è curation, è distribuzione di massa illegale”. 

Bill Patry, ex consigliere sul copyright alla Camera dei Rappresentanti USA e autore di How to Fix Copyright scrive che ““nel mondo dell’abbondanza digitale, per far soldi è necessario vendere più copie ad un prezzo inferiore e non, come avveniva nel mondo della scarsità analogica, vendere meno copie ad un prezzo superiore … la questione di fondo è il prezzo, non la tecnologia”

 

di Andrea Fama

 

L’ex firma di Wired USA, Robert Levine, intervenuto presso il Copyright Clearance Center’s OnCopyright 2012, ha esposto una posizione lontana sia dalla propaganda terroristico-commerciale messa in atto dai grandi detentori del diritto d’autore, sia dalle utopie tecnologiche di chi in Rete vorrebbe cancellare tale diritto.

 

Come riporta PaidContent.org, l’autore di Free Ride ha ammonito i primi per invocare termini quali “furto” o “pedo-pornografia” come pretesto per far passare misure eccessivamente restrittive, e si è rivolto ai secondi per i quali qualsivoglia forma di controllo sul diritto d’autore è automaticamente inquadrabile come intrinsecamente oppressiva. “Non si tratta di rubare, ma neanche di condividere”, ha dichiarato Levine. “Vi è una differenza tra curation e pirateria. Megaupload non è curation, è distribuzione di massa illegale”.

 

È probabile che le parole di Levine scontentino tutti, è questo potrebbe essere un bene – sottolineano da PaidContent. Superare la semplicistica retorica del “condividere” e “rubare” potrebbe infatti essere il primo passo verso una soluzione dell’impasse che non implichi necessariamente assurdi richiami al crimine o all’anarchia intellettuale.

 

Per il momento, almeno negli Stati Uniti, la palla è in mano alle major del copyright, che dovranno superare anni di profonda e meritata sfiducia, e presentarsi al Congresso con un nuovo disegno di legge sul controllo dei contenuti, nella speranza comune che il dibattito abbia finalmente superato la stagnante dicotomia condividere-rubare.

 

Ancora da PaidContent segnalano un fondamentale contributo a tale dibattito, questa volta fornito da Bill Patry, ex consigliere in materia di copyright presso la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti e autore del saggio How to Fix Copyright (Patry è attualmente consulente di Google, ma la sua pubblicazione rientra in un progetto indipendente).

 

In virtù del suo status, Patry godrebbe dell’autorevolezza necessaria per superare le attuali controversie e spingere il confronto in una nuova e più costruttiva direzione. E il suo saggio, in parte incentrato sulla teoria legale e in parte sul puro business, sintetizza lo stato dell’arte del diritto d’autore statunitense e fornisce diversi spunti utili su cosa fare in materia.

 

I primi capitoli del libro ripercorrono la caduta del regime del copyright, alimentata dalla transizione dall’analogico al digitale e riflessa nelle cause legali sui campionamenti delle canzoni hip-hop  piuttosto che sulle restrizioni sugli audio-libri per non vedenti.

 

Secondo Patry un sistema legale studiato per tutelare il diritto d’autore dalla minaccia della copia non può funzionare laddove è possibile riprodurre un numero infinito di copie senza alcun costo marginale. E la soluzione alla perdita del controllo su tali copie passerebbe da un’idea alquanto intrigante, ovvero riconsiderare la pirateria come un problema di prezzo: “nel mondo dell’abbondanza digitale, per far soldi è necessario vendere più copie ad un prezzo inferiore e non, come avveniva nel mondo della scarsità analogica, vendere meno copie ad un prezzo superiore … la questione di fondo è il prezzo, non la tecnologia”.

 

I proprietari dei contenuti hanno immediatamente etichettato Patry come indifferente al massiccio fenomeno del file-sharing non autorizzato che starebbe flagellando il mercato di libri, musica e film. Ma How to Fix Copyright offre prove convincenti del fatto che la risposta alla pirateria sta in un maggior numero di copie autorizzate piuttosto che in un più rigido regime impositivo.

 

Dalla NBC ad iTunes passando per Hulu, sono diversi gli esempi a dimostrazione del fatto che rendere disponibili i contenuti  è un volano per le vendite complessive, poiché il grande pubblico richiede semplicemente un modo facile per acquistare i prodotti.

 

Anche il mercato internazionale sembrerebbe confermare le teorie di Patry. Il successo di Bollywood risiederebbe, infatti, in una strategia di prezzo contenuto: 2,12 dollari per il DVD di un film di successo indiano, contro i 6,35 dollari richiesti dalle parti di Hollywood – LA.

 

Sono cifre importanti, dati che risultano particolarmente utili in un dibattito tipicamente caratterizzato da vigorosi flussi di disinformazione. Come già dimostrato anche da altri prima di Patry, infatti, le cifre sulla pirateria fornite dall’industria e finanche da qualche alto funzionario governativo sono volontariamente ingannevoli e prive di senso.

 

Un altro punto a favore di Patry è che nessuna legge consentirà di ristabilire un la domanda per un ciclo produttivo ormai esaurito, sebbene vi siano delle aree di intervento che potrebbero e dovrebbero essere riformate, quali:

 

  • Un sistema di rinnovo del copyright che consenta di tutelare i prodotti di valore e di lasciare il resto al dominio pubblico.
  • Un database unico a livello  globale di tutti i diritti d’autore depositati, in grado di assicurare una concessione rapida e semplice delle licenze.
  • Limiti flessibili al copyright sulla base della tipologia del prodotto (es. più breve per i libri rispetto ai film).

 

Il saggio, sebbene non delinei un’effettiva strategia politica da adottare al fine di attuare tali principi, fornisce un quadro esaustivo circa il vero nodo attorno al problema del copyright: è una questione di affari, e non di legge (a dispetto del coinvolgimento bipartisan dei legislatori di Washington).

 

E se i signori del diritto d’autore vogliono davvero pensare di intascare i dollari digitali a cui ambiscono, allora non possono ignorare le conclusioni di Patry: ci sono tutti gli strumenti per perseguire i “cattivi”, e tutti dovremmo sostenere misure in tal senso. Tuttavia, è altrettanto necessario sostenere i “buoni” fornendo loro prodotti autorizzati che siano convenienti e accessibili. Altrimenti, nessuna legge sul diritto d’autore potrà aiutarli.