Ridateci i nostri dati!

StorageI nostri dati personali non solo dovrebbero essere protetti, ma dovrebbero essere disponibili nel caso li volessimo utilizzare per le nostre necessità. Dopo tutto ci appartengono – Lo sostiene Richard Thaler, professore di Economia e scienze del comportamento all’ Università di Chicago, in un articolo sul New York Times – ”Mydata”, una iniziativa del governo britannico – ‘’I dati sono il nuovo petrolio’’, sostiene poi Andrew Keen, intervistato a Berlino da Alessio Jacona

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I nostri dati personali non solo dovrebbero essere protetti, ma dovrebbero essere disponibili nel caso li volessimo utilizzare per le nostre necessità. Dopo tutto ci appartengono.

Lo sostiene Richard Thaler, professore di Economia e scienze del comportamento all’ Università di Chicago, in un articolo pubblicato recentemente sul New York Times.

Si tratta di un principio fondamentale – spiega Thaler  -: se una azienda commerciale raccoglie elettronicamente i dati degli utenti, dovrebbe dare loro una versione di queste informazioni che si possa facilmente scaricare ed esportare verso un altro sito web. Si potrebbe riassumere questo processo così: voi prestate i vostri dati ad un’ azienda e ne ricevete una copia per il vostro uso personale.

Una iniziativa in questa direzione – chiamata ‘’Mydata’’ – è stata appena annunciata dal governo britannico, aggiunge il docente che ha lavorato come consulente per questo progetto. Dal momento che le leggi britanniche già impongono alle aziende di fornire ai clienti delle informazioni sull’ utilizzo dei loro dati, il programma punta a fare in modo che vengano forniti dai accessibili via computer. Per cominciare, il governo sta lavorando in collaborazione con alcune grandi banche, quelle che emettono le carte di credito, con gli operatori e i fornitori di telefoni cellulari.

Per capire come un tale programma potrebbe migliorare il modo con cui funziona il mercato – aggiunge Thaler -, pensate per esempio al modo con cui scegliete un nuovo abbonamento a un sistema di telefonia mobile. Due studi hanno dimostrato che i consumatori potevano risparmiare più di 300 dollari all’ anno sottoscrivendo un abboanemto più adatto. Ma per fare questo bisognerebbe essere capace di valutare i propri bisogno in gtermini di servizio: sms, media sociali, musica e streaming, invio di foto, ecc.

Certo, una persona normale non sarebbe in grado di tradurre tutto ciò in megaottetti, ma il suo operatore certo che ne è capace. Nonostante molte informazioni siano già disponibili online, esse però in generale non sono ancora disponibili in un formato esportabile – per esempio non potete copiarle/incollarle facilmente su un altro sito, ad esempio un comparatore di prezzi – e non si presentano in una modo tale da consertirvi di calcolare facilmente quale sia l’ abbonamento migliore per voi.

Se invece si potesse introdurre la regola che suggerivo io – continua il ricercatore – il vostro operatore dovrebbe darvi accesso a un file con tutte le informazioni che ha raccolto da quando avete un cellulare e con tutte le fatture in corso per ciascuno dei servizi che utilizzate. I dati dovrebbero esservi trasmessi in un format utilizzabile da parte dei creatori di applicazioni, in modo da consentire l’ avvio di nuovi tipi di servizi e la creazione di nuovi posti di lavoro.

Esigiamo dunque che il flusso di dati sia a doppio senso, osserva ancora Thaler. La capacità che hanno le aziende di sorvegliare i nostri comportamenti fa già parte del nostro quotidiano, e non è che l’ inizio. Certo, dobbiamo proteggere il nostro diritto alla riservatezza, ma se siamo furbi potremmo ugualmente utilizzare i dati che vengono raccolti per migliorare la nostra vita.

Il nuovo petrolio

«L’enorme massa di dati personali che ogni giorno gli utenti riversano in rete è il nuovo petrolio», sostiene Andrew Keen, imprenditore e scrittore angloamericano noto in rete per le sue posizioni critiche nei confronti della Web2.0, intervenuto dal palco della Next Conference 2011 di Berlino.

«Ogni azienda – ha affermato –, da Linkedin a Facebook, da Foursquare a Twitter, dipende da noi e dai dati che decidiamo di condividere».

Secondo Keen – scrive Alessio Jacona sul Sole24ore – , è necessario che gli utenti della rete comprendano il valore dei loro dati e ne recuperino il controllo, aggiungendo: «La risorsa che scarseggia è la privacy. Servono strumenti per difenderla».