Come chiudere la Russia ai giornalisti (non solo stranieri)

(dall' Espresso)
(dall' Espresso)

Da più di un decennio, e in particolare con l’ avvento di Putin, l’ Fsb ha ripreso in pieno gli strumenti di limitazione dell’ azione dei giornalisti che risalivano ai tempi dell’ Unione Sovietica: negazione o limitazione dei visti per gli stranieri (come ha dimostrato la recente vicenda del corrispondente del Guardian Luke Harding), e utilizzazione della legislazione sul terrorismo per quelli russi – Andrej Soldatov e Irina Borogan, in un’ analisi su Ežednevnij žurnal, raccontano come la gestione dei visti sia ‘’un modo primitivo ma molto efficace di obbligare i corrispondenti delle testate occidentali a lavorare in condizioni di permanente autocensura’’ e come, per i colleghi russi, i servizi speciali abbiano iniziato a limitarne sistematicamente il lavoro attraverso il “regime di operazioni antiterroristiche (KTO)”, che impedisce di recarsi e di raccogliere informazioni nelle zone più calde del paese –  Una situazione come quella di Beslan, spiegano, oggi funzionerebbe in una maniera totalmente diversa: una narrazione a senso unico dei fatti, giornalisti addestrati a dire quello che serve e non quello che vedono, meno informazione e, soprattutto, strumentalizzata

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(v. b.) – Il 5 febbraio 2011 Luke Harding del Guardian viene fermato all’aeroporto di Mosca e fatto rientrare in Gran Bretagna sul primo volo. La motivazione ufficiale chiama in causa il rispetto della procedura burocratica di uscita e rientro nel paese. In realtà secondo Andrej Soldatov e Irina Borogan della rivista “Ežednevnij žurnal” la vicenda va contestualizzata in una precisa politica nei confronti dei giornalisti sia stranieri che russi.

Dall’  inizio del XXI secolo si è verificato  secondo Soldatov e Borogan un inasprimento del governo nell’approccio al giornalismo e un ritorno a strumenti di limitazione dell’azione dei giornalisti risalenti all’Unione Sovietica. Protagonista di questa linea direttiva, il FSB (Servizio federale di sicurezza).

Se nei confronti degli stranieri molto ha potuto annullamento o la negazione del visto, nei confronti dei giornalisti autoctoni un ruolo particolare l’ha giocato la nuova disciplina della lotta al terrorismo. In particolare sono stati molto limitati i giornalisti che si occupano dei territori che sottostanno al regime di operazioni antiterroristiche (KTO). Il regime di KTO, va ricordato, è stato applicato soprattutto ai territori del Caucaso settentrionale (come Cecenia, Daghestan e Inguscezia). Nel corso degli ultimi anni i giornalisti si sono visti limitare l’accesso all’area, che dal punto di vista informativo equivale anche al non poter avere informazioni dirette su quanto sta avvenendo.

Una situazione come quella del migliaio di ostaggi nella scuola di Beslan oggi funzionerebbe in una maniera totalmente diversa: una narrazione a senso unico dei fatti, giornalisti addestrati a dire quello che serve e non quello che vedono, meno informazione e strumentalizzata.

Un rischio forte, che dovrebbe creare un fronte di solidarietà giornalistica.

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Andrej Soldatov e Irina Borogan
Andrej Soldatov e Irina Borogan

Per loro la Russia è chiusa. Per noi, pure.

di Andrej Soldatov e Irina Borogan

(traduzione di Valentina Barbieri)

E’ un modo primitivo ma molto efficace di obbligare i corrispondenti delle testate occidentali a lavorare in condizioni di permanente autocensura, collaudato già ai tempi dell’Unione Sovietica. In questo modo un giornalista, che aveva investito anni nello studio del paese e della lingua, viene privato dell’accesso “alla terra” e gradualmente perde la sua specializzazione.
Questo non conviene né al giornalista né al giornale, per il quale una sostituzione forzata del corrispondente straniero prima del tempo costituisce sempre una spesa eccessiva.
Nel corso degli ultimi anni ci è toccato più di una volta vedere giornalisti molto professionali, inviati da giornali e canali occidentali, che per paura di non ottenere il visto per la Russia evitavano di toccare temi dolenti per il Cremlino o lo facevano nell’anonimato.
Noi abbiamo pubblicato indagini congiunte, alla fine delle quali dovevamo scrivere “in collaborazione con una certa pubblicazione” e non mettere il cognome del giornalista che aveva lavorato con noi su questo argomento.
Negli anni 90 il governo non aveva paura dei giornalisti e non usava sistemi di annullamento dei visti e degli accrediti. All’inizio degli anni 2000 sotto il governo Putin i servizi speciali sono tornati ai metodi del KGB, che usava il visto e l’ingresso nei territori dell’URSS inaccessibili agli stranieri come mezzo di gestione della stampa straniera (se sei in cattive relazioni con il tutor del KGB, non hai accesso né alle massime cariche né oltre i limiti di Mosca).
Nel maggio 2002 Nikolaj Volobuev, a quel tempo capo della Direzione delle operazioni di controspionaggio del FSB, ha dichiarato che il FSB ha messo fine all’ “attività illegale” di 31 giornalisti stranieri; a 18 di questi è stato vietato l’ingresso nel territorio russo per 5 anni e i visti in attività son stati annullati. Da allora il FSB ha iniziato a ricorrere costantemente a questi metodi.

Secondo i dati del Centro per il giornalismo in situazione estreme, dal 2000 al 2007 è stato negato l’ingresso in Russia a oltre 40 giornalisti.
Ecco solo qualche esempio: nel luglio del 2006 è stato rifiutato il visto al giornalista britannico Thomas de Waal. De Waal è famoso per aver raccontato le vicende del Caucaso settentrionale dal 1993 al 1997 ed aver poi scritto il libro “Cecenia: una piccola guerra vittoriosa” (Chechnya: A Small Victorious War).
Nel 2003 ha testimoniato al tribunale di Londra nel corso del processo per l’estradizione di Achmed Zakaev, leader dei separatisti ceceni. Era stato convocato dalla difesa. Nel giugno 2008 l’ingresso in Russia è stato negato anche ad un altro britannico, Simon Pirani, che pur aveva il visto. Pirani scriveva dell’attività dei sindacati indipendenti; le autorità spiegarono che l’uomo costituiva una minaccia per la sicurezza del paese.
Certamente, l’episodio più vergognoso è quello di Natalja Morar, corrispondente della rivista

The New Times, che viveva e lavorava a Mosca da 6 anni ma era cittadina moldava. Nel dicembre 2007, quando la Morar tornò in Russia da un viaggio, non le fu permesso di passare il confine russo. Questa parve una vendetta palese del FSB, dato che tempo prima la Morar aveva pubblicato un articolo in cui faceva il nome di Aleksandr Bortnikov (l’allora capo del FSB) in relazione ad uno scandalo legato alla corruzione.
Assieme alla pressione sui corrispondenti stranieri, il FSB elaborò un intero sistema di limitazioni  per i giornalisti russi.
Dapprima i servizi di sicurezza russi ridussero bruscamente le informazioni sulla propria attività.

Ora, mentre la direzione generale del servizio informazioni non aveva un proprio ufficio stampa e il Servizio di intelligence internazionale (SVR) si rifiutava da sempre di commentare qualsiasi fatto successivo al 1961, l’ufficio stampa del FSB negli anni ’90 era abbastanza attivo. Nei primi anni del duemila le regole cambiarono: sia noi sia i nostri colleghi ci siamo scontrati più volte con il fatto che il centro pubbliche relazioni del FSB (il COS) semplicemente non risponde alle domande dei media.

Nel 2006 i servizi speciali hanno iniziato a limitare sistematicamente il lavoro dei giornalisti: nella nuova legge sulla lotta al terrorismo è apparso il concetto di “regime di operazioni antiterroristiche (KTO)”. Questo significa che il territorio di un villaggio o di diversi villaggi può essere dichiarato zona chiusa, quindi i giornalisti non potranno ottenere informazioni su quello che accade non solo dai militari (perché hanno combattuto così a lungo nel FSB), ma anche dai civili. In altre parole, nel caso di un nuovo “caso Beslan” i giornalisti non sarebbero lasciati entrare in città. È evidente che lavorare in queste condizioni viola qualsiasi norma della professione giornalistica (a proposito, Harding una volta è stato accusato di violazione del regime di KTO in Inguscezia).
Un paio di anni fa i servizi speciali hanno iniziato a filtrare i giornalisti “sbagliati”.
Ad aprile del 2008 Nikolaj Patrušev, direttore del FSB, ha approvato un Programma integrato per la lotta contro l’ideologia del terrorismo per il periodo 2008/2012, qualcosa di simile alle istruzioni per i servizi speciali. Tra l’altro il programma assegna un ruolo speciale ai corsi «Bastion» (lett. bastione, ndT) per i giornalisti, riguardanti il tema del terrorismo. Durante i corsi – facile indovinarlo – viene insegnato a scrivere quello che serve alle organizzazioni responsabili: Ministero degli esteri e FSB.
Fin dall’inizio c’è stato il sospetto che questi corsi sarebbero stati usati per limitare il lavoro dei giornalisti ed esattamente per lasciare passare nelle zone calde solo le persone che avevano ottenuto diploma «Bastion». Il progetto firmato da Patrušev dichiarava proprio che l’attestato di fine corso avrebbe «costituito la base per l’accredito del giornalista». Tra l’altro, la legge russa sui media garantisce a tutti i giornalisti uguali diritti di accesso alle informazioni.
Aleksandr Bortnikov, che ha sostituito Patrušev nel ruolo direttore del FSB, ha sottoposto totalmente i giornalisti al controllo poco chiaro del suo ente. Come da suo ordine del 5 luglio 2009 il direttore dell’Amministrazione dei programmi di assistenza (struttura in cui rientra il COS) ha ottenuto il diritto di avviare l’intercettazione delle conversazioni telefoniche, pedinamento e perquisizioni. Questo diritto prima era riservato alle sottosezioni operative del FSB, ovvero quelle che conducono attività operative/di investigazione e reclutano gli agenti dagli ambienti criminosi. In questo modo per il FSB i giornalisti sono entrati nella categoria dei potenziali criminali.
Certo, per quanto riguarda Harding a causa dell’imminente visita di Lavrov a Londra il Ministero degli esteri russo ha fatto marcia indietro e ha promesso di restituire il visto. Ciononostante, è stato dato l’ennesimo segnale alla comunità giornalistica. E presumibilmente sarà recepito. Bisogna riconoscere che questa linea dell’attività del FSB è perfettamente efficiente. In ogni caso, almeno finché la pressione del FSB sulla società mediatica non incontra la contrapposizione decisa dei giornalisti e dei capi redattori dei media.