Trasparenza e pubblica amministrazione: un amaro reportage dal mondo dell’ opacità

Foia

Anche se una convenzione internazionale impone alle amministrazioni pubbliche di produrre i documenti relativi a questioni di carattere ambientale a qualsiasi cittadino che li chieda, ottenerli è una impresa che costa fatica e richiede perseveranza  e che, a volte, va a buon fine solo perché il responsabile dell’ amministrazione è un amico di famiglia – Una tesi di laurea sperimentale, fatta sul campo da una studentessa dell’ Università di Padova,  illustra la resistenza che scatta nella pubblica amministrazione quando un cittadino chiede che venga rispettato il suo diritto di ottenere copia degli atti su una discarica di rifiuti  che da anni infiamma gli animi dei cittadini della zona (siamo a Rossano Calabro, in provincia di Cosenza) – In attesa di una legislazione globale come quella dei Foia,  la Convenzione di Arhus, anche se limitatamente alle questioni ambientali, potrebbe essere uno strumento molto utile per avviare una  mobilitazione che si ponga come obbiettivo  il totale rovesciamento della ‘’cultura’’ della pubblica amministrazione, con l’ affermazione del principio di trasparenza e del diritto di accesso agli atti pubblici per qualsiasi cittadino

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La trasparenza? In Italia è un concetto del tutto astruso, e, anche se una convenzione internazionale impone alle amministrazioni pubbliche di produrre i documenti relativi a questioni di carattere ambientale a qualsiasi cittadino che li chieda, ottenerli è una impresa che costa fatica e richiede perseveranza  e che, a volte, va a buon fine solo perché il responsabile dell’ amministrazione è un amico di famiglia.

Lo ha dimostrato, empiricamente ed efficacemente, una tesi di laurea in Comunicazione (relatore il professor Raffaele Fiengo) di una studentessa dell’ Università di Padova, Martina Forciniti* dal titolo ‘’ “Trasparenza e diritto di accesso: le limitazioni e le inefficienze dell’amministrazione italiana”.

Tesi-frontespizioLa tesi si concentra su un confronto fra il principio della trasparenza che sta alla base delle norme sul FOIA – approvate in vari paesi, e che negli Usa hanno ad esempio consentito la pubblicazione col via libera del presidente Obama, dei Memorandum governativi sui ‘’metodi duri’’ di interrogatorio di sospetti terroristi da parte della CIA (vedi Lsdi, ”Ma che torture”) – e la sfibrante opacità di un comune italiano a cui la studentessa  si è rivolta chiedendo, sulla base della convenzione di Arhus (1998) – che dà a tutti i cittadini il diritto di accedere alle informazioni che riguardano l’ambiente – la documentazione su una discarica all’indagine dell’impianto di smaltimento rifiuti di Bucita, una questione che infiamma ormai da molti anni gli animi dei cittadini della zona.

Bucita è una frazione del Comune di Rossano Calabro, in provincia di Cosenza, dove sorge un impianto di discarica che dalla contrada trae appunto la sua denominazione. Il Comune di Rossano accoglie giornalmente più di mille tonnellate di rifiuti, che provengono da ogni angolo della regione Calabria, il che ha da sempre comportato una difficile opera di mediazione con le popolazioni interessate, le quali hanno responsabilmente sopportato numerosi disagi dimostrando sensibilità rispetto a una problematica che incide fortemente sulla salute e la salvaguardia dell’ambiente.

Ne è venuto fuori un reportage che documenta i tentativi di Fortiniti di far applicare quella convenzione dal comune di Rossano  – dal 5 Maggio 2010, giorno del primo colloquio con il funzionario dell’Ufficio Ambiente del Comune di Rossano – e la resistenza pervicace degli uffici comunali, a cui la richiesta suona evidentemente come una curiosa eccentricità di qualche rompiscatole.

  • Funzionario: Posso sapere qual è l’argomento della sua tesi?
  • Forciniti: La trasparenza amministrativa e il diritto di accesso in Italia
  • Funzionario: Scusi, ma allora mi spiega a che cosa le servono dei documenti che riguardano la parte tecnica dell’impianto? Lei non sta mica scrivendo una tesi sull’ambiente o sulle discariche italiane. Se vuole io posso darle documenti che riguardano comunicazioni volatili tra i periti o gli esperti, ma non posso certo darle documenti tecnici. (…)Non voglio certo rischiare di essere denunciato per diffusione di documenti riservati. Se lei riesce a farsi autorizzare questa richiesta dall’URP, allora ritorni da me che le concedo tutti i documenti che vuole.
  • Forciniti: Nessun problema. Andrò al più presto all’Ufficio per le Relazioni con il Pubblico perché autorizzino la mia richiesta.
  • Funzionario: Lei deve comunque tenere presente che le fotocopie sono a sue spese. Si tratta di molti documenti e l’ufficio non può di certo accollarsi una tale spesa.

 

E così via fino a quando Martina Forciniti si rivolge all’ Urp e scopre che non c’ è più traccia della sua domanda. A quel punto, nonostante la tenacia e il diritto che è dalla sua parte, il quadro è foscamente chiaro:   solo l’ intervento del sindaco – amico del padre della studentessa – può sciogliere il nodo, ma non senza ulteriori resistenze da parte degli uffici comunali. E’ il 24 agosto e sono passati quasi quattro mesi.

La lettura di questo diario dell’ opacità è in parte angosciante e ci dà, in maniera sperimentale, sul campo,  il senso della cultura del ”segreto” e del buio che domina i procedimenti amministrativi nel nostro paese, come se la conoscenza dei contenuti degli atti e delle procedure con cui sono stati approvati dovesse rimanere riservata alla casta del burocrati e i cittadini dovessero esserne tenuti il più possibile lontani. Una ‘’cultura’’ che il ceto politico – evidentemente in alleanza con la burocrazia – avalla pienamente, fose  per mettere le proprie scelte al riparo da qualsiasi critica di merito. E spostare sempre il discorso sul piano ”politico”.

Grazie a questi documenti – spiega la studentessa nella tesi – , sono potuta venire a conoscenza di alcuni aspetti del dibattito che ho appena illustrato che altrimenti mi sarebbero rimasti sconosciuti, così come lo sono effettivamente per le centinaia di persone che sono coinvolte direttamente nella questione della discarica, vivendo in quartieri che confinano con l’impianto. Se queste popolazioni conoscessero il diritto di poter accedere, senza interessi concreti e/o attuali, a informazioni di tipo ambientale che li riguardano strettamente e se ricevessero un giusto trattamento qualora avanzassero delle richieste di accesso agli atti (possibilità remota, a mio avviso, per quella che è la mia esperienza in tal senso) potrebbero partecipare più attivamente ai meccanismi decisionali, contribuendo all’affermazione degli interessi più intrinsecamente legati alla comunità e in termini quindi di benessere, salute e salvaguardia del territorio’’.

La tesi di Martina Forciniti, dunque, oltre ad essere particolarmente interessante sul piano dell’  informazione, è un contributo all’ avvio di una battaglia che non è più eludibile: un impegno collettivo della società italiana per l’ introduzione anche nel nostro paese di norme analoghe a quelle che reggono i FOIA nei vari paesi,  in linea anche con i vari movimenti per l’ Open Data che si sono dispiegati in diversi paesi europei. Superando in modo netto il principio, fortemente limitativo e potenzialmente discrezionale, dell’ “interesse legittimo” del cittadino che desidera accedere a determinati atti e documenti.  L’ obbiettivo è il totale rovesciamento della ‘’cultura’’ della pubblica amministrazione: affermazione del principio di trasparenza e apertura del ‘pubblico’ alla cittadinanza, col riconoscimento del diritto di accesso per qualsiasi cittadino.

A questo punto la convenzione di Arhus – accolta e ratificata in Italia nel 2001  – potrebbe essere uno strumento molto utile per una ampia  mobilitazione . Singoli cittadini, gruppi, associazione per la correttezza e la libertà di informazione e per la difesa della democrazia e dei principi costituzionali, sindacati, ecc., potrebbero avviare una grande campagna per la libertà di accesso a tutti i documenti relativi alle principali questioni ambientali nelle varie zona del paese.

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Per un rinnovamento radicale delle nostre leggi sull’ accesso agli atti pubblici

di Martina Fortiniti*

La dimostrazione di quanto l’ apparato amministrativo italiano sia assolutamente refrattario in materia di trasparenza e, particolarmente, di diritto di accesso si lega alla constatazione della chiusura e della esclusività strutturali della nostra Pubblica Amministrazione.

Il più delle volte si verificano indisponibilità e fragile propensione all’ascolto da parte della nostra amministrazione, riserve rafforzate da un sistema legislativo altrettanto limitato.

Un paragone fra la veloce, trasparente ed economica informazione americana, con le amministrazioni pubbliche vincolate alla concessione del diritto a chiunque di conoscere come opera il governo federale, e il limitativo “interesse legittimo” italiano, ci fa accorgere immediatamente di quanto il confronto sia sbilanciato.

Gli strumenti legislativi e/o amministrativi a supporto del cittadino sono limitati, ristretti e come se non bastasse poco conosciuti dai cittadini. Ed è quindi abbastanza evidente come l’unica eccezione su cui noi italiani potremmo far leva – quella in materia ambientale, dettata dall’ approvazione della Convenzione di Århus nel 1998 da parte della Comunità Europea e dei suoi stati membri -, è assai poco conosciuta e quindi scarsamente sfruttata. Col risultato che un diritto importante, anche se per ora parziale, di accesso alle informazioni non viene sfruttato quanto invece potrebbe.

Mentre invece, con una forte informazione e una promozione massiccia della possibilità di accedere agli atti amministrativi di carattere ambientale e attraverso l’apertura informativa dei contesti amministrativi, l’eccezione ambientale potrebbe costituire un interessante punto di partenza.

L’ indagine sul campo esposta nella tesi ha comunque messo in evidenza come per ottenere il pieno riconoscimento della richiesta di accesso agli atti, anche nel settore dell’ambiente (dove, teoricamente, dovrebbe esercitarsi la libera circolazione dell’ informazione),ci sia stato bisogno – almeno nel mio caso – non solo di una eccezionale insistenza nell’ esigere il rispetto dei propri diritti ma, nello stesso tempo, il possesso di “giuste” conoscenze, condizione che ovviamente altri miei concittadini non avrebbero potutio invocare. Con la conseguenza di non riuscire a intaccare la disponibilità dell’impianto burocratico, che richiedeva motivazione e speciali relazioni.

Ma, anche laddove non manchino fermezza e determinazione nel pretendere il rispetto dei propri diritti (che sono comuni a tutti i cittadini) e sebbene si goda della fortuna di poter contare sull’intercessione di chi, possedendo le conoscenze “giuste”, possa permettere l’ottenimento dell’accesso agli atti, non sempre si riesce a dare piena soddisfazione agli obiettivi prepostisi.

Sono giunta alla conclusione che i cittadini italiani, alla luce dell’attuale legislazione in materia di trasparenza informativa e della strutturazione (delimitata) del nostro sistema amministrativo, non potranno mai godere di una comunicazione sciolta e senza sottintesi, né di una conoscenza piena e sistematica delle istituzioni che dovrebbero regolare i loro interessi.

L’unica soluzione a questa problematica, che apparentemente non sembra poter ottenere esiti positivi, sarebbe forse il rinnovamento radicale delle nostre leggi in materia che, come credo di aver sufficientemente dimostrato, non sono all’altezza delle aspettative della cittadinanza italiana per la loro indeterminatezza e inefficacia. La mia inchiesta penso sia servita soprattutto a dimostrare quanto la conoscenza di determinate informazioni e circostanze potrebbe condizionare gli eventi, gli individui, le decisioni e le conseguenti concretizzazioni

Credendo fortemente che la comunicazione stia alla base dei rapporti umani e che la libera informazione costituisca lo strumento fondamentale per la creazione di un legame fertile e proficuo tra cittadino e istituzione, incoraggio fortemente l’istituzione di leggi che diano la possibilità agli individui di esprimere le proprie opinioni su argomenti che li riguardano strettamente (perché coinvolti personalmente), con la possibilità quindi di intervenire in meccanismi decisionali che potrebbero influire pesantemente sulla loro realtà.

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*Martina Fortiniti, 22 anni, è nata a Cariati in provincia di Cosenza e vive a Rubano da 3 anni. Dopo la laurea a Padova si è iscritta al Corso di laurea magistrale in Editoria e Giornalismo di Verona. Ha collaborato alla stesura di un libro per ragazzi, “Setticlavio”,  edito dalla casa editrice online Liberodiscrivere.it.

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La tesi è consultabile qui.

L’ appendice con tutti i documenti è qui.