Innovazione cacio e pepe

banda larga

Tra decreti, abrogazioni, investimenti e promesse, la banda larga in Italia rimane ancora un miraggio, il Wi-Fi una corsa a ostacoli, la digitalizzazione dei servizi un’ operazione di maquillage ed il digital divide il fossato che ci separa e allontana dal resto del mondo
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di Andrea Fama

La condivisione è conoscenza. La Rete è condivisione. La Rete è conoscenza – oltre che ricchezza. Si può ignorare l’immediatezza di questo lampante assioma solo ignorando le sorti del Paese, non avendo a cuore l’evoluzione di una società che, menomata della sua anima digitale, si ritroverebbe monca nella sua corsa verso il futuro, privata dell’interezza (di esperienze, prospettive e opportunità) offerta dalla globalità digitale.

Ma per garantire all’Italia una Rete libera ed accessibile quale strumento di crescita culturale ed economica è necessario, da un lato, l’intervento del mondo politico e di quello imprenditoriale, al fine di adeguare l’impianto normativo e tecnologico del Paese a quelli del resto del mondo industrializzato, colmando finalmente lo sciagurato gap del digital divide (ad oggi sono 5,5 milioni gli italiani che non hanno accesso alla banda larga, il 9% della popolazione); dall’altro, sarebbe auspicabile che gli italiani (40%) che non hanno un computer pur avendo accesso a Internet prendessero coscienza della centralità che la Rete potrebbe avere in numerosi aspetti della loro quotidianità.

In quest’ultimo caso, sarebbe forse sufficiente favorire processi come la digitalizzazione della pubblica amministrazione, dei servizi bancari e delle attività commerciali (solo il 4% delle imprese italiane lavora con l’e-commerce), per indurre gli analfabeti digitali a sposare la Rete e per favorire, allo stesso tempo, un uso più massiccio dei servizi on-line anche da parte dei netizen tricolore (circa il 50% della popolazione).

In quanto all’impianto tecnico-normativo, invece, la faccenda è probabilmente più complessa. Per vincere questa partita, è prioritario mettere in campo tutta la volontà, la competenza e la buona fede del mondo politico, cui dovrebbe seguire a catena una maggiore fiducia da parte del tessuto imprenditoriale.

A tale proposito, è notizia di questi giorni l’annuncio del Ministro Maroni secondo cui, con riferimento al famigerato Decreto Pisanu, “dall’1 gennaio ci si potrà collegare liberamente, senza restrizioni, alla rete wi-fi”. Fantastico – anche noi ci avviamo con passo seppur flemmatico verso la normalità. Ma siamo pur sempre in Italia, dove il percorso più breve tra due punti non è la retta ma l’arabesco, e il cammino verso la normalità è insediato da mille incertezze. L’annuncio del Ministro, infatti, ha contorni fumosi. Il Decreto Pisanu non è stato abrogato; ma allora cosa si intende fare: modificarlo per renderlo più “light”, come si legge da qualche parte? O semplicemente limitarsi a non rinnovarlo? Stando così le cose, ci spiega Guido Scorza sul suo blog, a parte l’obbligo per il gestore di richiedere una licenza speciale al questore, tutti gli altri obblighi – “ivi inclusi quelli in materia di identificazione degli utenti a mezzo documento di identità e di tracciamento delle loro condotte” – rimarrebbero in vigore poiché “sono efficaci a tempo indeterminato e, dunque, possono venir meno solo per effetto di un’espressa abrogazione”.

Ma se la politica ci fa sorridere solo a metà, anche il business sembra voler giocare qualche tiro mancino. Dopo recenti annunci relativi a piani di investimento miliardari per portare la banda larga in  Italia, già si legge di certa imprenditoria pronta a fare dietro front, adducendo motivazioni legate in primis alla mancanza di servizi e alla conseguente carenza della domanda (vedi sopra, e-government, e-commerce, ecc.).

È un po’ il cane che si morde la coda: gli investitori frenano perché la carenza di servizi erode la domanda. Il Governo, che dovrebbe fornire buona parte di questi servizi, vola con gli annunci ma poi resta ancorato con i fatti, addossando le responsabilità alla mancanza di partecipazione dei cittadini. Ma a cosa dovremmo partecipare, ad una Pubblica Amministrazione ‘digitalizzata’ che è  puro maquillage, incapace di funzionare tanto verso l’esterno quanto nei suoi circuiti interni?

Nell’attesa, mentre gli imprenditori rivendicano gli sforzi già compiuti e  il Governo vanifica quelli anche solo promessi (spariti gli 800 milioni annunciati da Brunetta per la banda larga, sempre per ‘colpa’ dei cittadini), l’Italia langue in una palude di arretratezza sconfortante. Ebbene, se non per volontà, né per competenza o per buona fede, ma quantomeno per opportunismo, sarebbe il caso che lor signori si soffermino almeno un istante su questi dati:

->ogni aumento del 10% nella penetrazione della banda larga stimola un aumento dell1,21% del Pil pro capite, a fronte di una crescita dell’Italia pari appena allo 0,5% (dati Banca Mondiale e OCSE);

– >  se la banda larga arrivasse al 60% delle famiglie e al 90% delle imprese, genererebbe una crescita potenziale compresa tra l’1,2% ed il 12,2% del Pil;

– > per finanziare gli investimenti necessari basterebbero le frequenze Tv liberate dalla migrazione al digitale; o convertire la spesa destinata all’acquisto di 131 cacciabombardieri F-35 (operazione felicemente bipartisan); o ancora rinunciare a 5 anni di auto blu (costo totale, 20 miliardi di euro).

Ma il Bel Paese, purtroppo, fa orecchie da mercante alle sirene dell’innovazione e della liberazione tecnologica, e mentre noi corriamo in auto blu, la ‘temibile e arretrata’ Romania corre quasi a 7 Mbps (l’Italia non arriva neanche a 3 Mbps ed occupa il 42° posto nel ranking mondiale). Mentre noi compriamo bombe, il resto del mondo semina opportunità.

NOTA: tutti i dati statistici riportati nell’articolo sono stati estrapolati dal numero di novembre di Wired Magazine.