Banditi dallo Zimbabwe, i giornalisti stranieri sono accampati alla frontiera col Sud-Africa

Un inviato della BBC Beit Bridge, un piccolo centro al confine fra i due paesi è diventato la base di catene internazionali come CNN e BBC (nella foto Rachel Harvey, della emittente britannica) – Sono stati scarcerati ma sono ancora soggetti a restrizioni i due giornalisti accusati di aver lavorato senza accredito – La ricostruzione della vicenda in un ampio articolo per Lsdi

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BEIT BRIDGE (AFP) – Banditi dallo Zimbabwe, diversi inviati e corrispondenti di testate straniere si sono concentrati nel piccolo centro di frontiera di Beit Bridge, in Africa del sud, per cercare di afferrare qualche notizia sulla crisi che dilania il paese del presidente Robert Mugabe, dall’ altra sponda del fiume Limpopo, dopo le elezioni del 29 marzo.

Beit Bridge fa ora da base alle catene internazionali come CNN e BBC, che tentano a partire da qui di informare i loro telespettatori sugli sviluppi della situazione.

Il regime di Mugabe, al potere da 28 anni, ha rifiutato di accrecitare centinaia di corrispondenti della stampa estera per coprire lo scrutinio e due giornalisti stranieri, accusati di aver lavorato senza accredito e arrestati alcuni giorni fa, sono stati scarcerati ma sono sottoposti ancora a forti restrizioni.

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ZIMBAWE: CRONACA DI UNA ESCALATION DI VIOLENZA ANNUNCIATA

La crescente tensione dovuta ai ritardi nell’annunciare i risultati delle elezioni, tenutesi lontano dallo sguardo indiscreto della maggior parte della stampa internazionale, ha spinto la polizia ad una serie di raid negli uffici del partito d’opposizione e in alcuni hotel usati come base dai giornalisti occidentali, portando all’arresto di due inviati, tra cui il Premio Pulitzer Barry Bearak

di Andrea Fama

Sabato 29 marzo, in Zimbawe si sono tenute le elezioni che, a detta di molti, avrebbero sancito la fine dei 28 anni di dominio del Presidente Robert Mugabe, padre padrone che ha messo letteralmente in ginocchio l’economia di quello che una volta era un florido Paese. Purtroppo, però, la tornata elettorale, e i successivi scrutini, sono stati accompagnati da velenosi sospetti circa la concreta possibilità di brogli e manipolazioni dei risultati elettorali. Gli organi preposti al controllo, infatti, sono a loro volta controllati dallo stesso Presidente, mentre sia la stampa internazionale che parte di quella locale non sono state accreditate a coprire le elezioni nel timore che “i giornalisti fossero trasformati in osservatori”, ha esplicitamente dichiarato un portavoce del Governo, sebbene lo stesso abbia siglato una convenzione internazionale che prevede la garanzia del “totale accesso ai media internazionali e nazionali”.

Di fatto, alcuni giornalisti zimbawensi (tra cui Hopewell Chin’ono, vincitore del Premio Desmond Tutu Leadership Fellowship) non sono stati accreditati dalla commissione governativa Media and Information Commission a coprire le elezioni, gli inviati dei maggiori organi d’informazione di tutto il mondo (quali, ad esempio, BBC, CNN, MSNBC e il sudafricano Independent Newspapers Group) sono stati invitati a rimanere a casa, mentre ai media già accreditati (Reauters, Agence France-Presse, Associated Press, Al-Jazeera ecc.) è stato sibillinamente comunicato che sarebbero stati ritenuti “totalmente responsabili” del comportamento del proprio staff in loco. Date le circostanze, diversi giornalisti si sono recati in Zimbawe in veste di semplici cittadini, operando da ‘turisti’ e riportando notizie dal fronte elettorale all’insaputa delle autorità locali. Circa una settimana dopo le elezioni, però, a causa della spirale di tensione che agita l’intero Paese per via degli anomali ritardi nell’annunciare i risultati degli scrutini, reparti ben armati della polizia antisommossa hanno dato luogo ad una serie di raid negli uffici del partito d’opposizione e in alcuni hotel usati come base dai giornalisti occidentali, confermando le ipotesi di chi paventava il ricorso ad atti di repressione ed intimidazione da parte del Presidente Mugabe per mantenersi ancorato alla poltrona presidenziale e garantirsi quantomeno un ballottaggio.Uno di questi raid ha portato all’arresto di cinque giornalisti (tre dei quali subito rilasciati), tra cui Barry Bearak, vincitore del Premio Pulitzer e inviato del New York Times.

Inizialmente, le autorità zimbawensi non hanno lasciato trapelare nulla circa l’identità e le accuse a carico dei due giornalisti, finché un portavoce della polizia ha confermato l’arresto di “due reporter che operavano senza le necessarie autorizzazioni”. Poco dopo, anche Bill Keller, direttore esecutivo del New York Times, ha ribadito la notizia dell’arresto di Bearak, parlando di “violazione della legge sul giornalismo”. Di fatto, come si è in seguito appreso dall’avvocato Beatrice Mtetwa, i due giornalisti hanno infranto una legge del 2002 che regola l’accesso all’informazione e la protezione della privacy (Information Access and Privacy Protection Act), rischiando fino a due anni di detenzione per aver svolto l’attività giornalistica senza l’autorizzazione della Commissione preposta (MIC).

L’arresto dei due reporter ha naturalmente provocato la preoccupazione e lo sdegno della comunità mediatica internazionale. Joel Simon, Direttore Esecutivo del Commettee to Protect Journalists, ha dichiarato che “alla luce dell’attuale situazione politica, è imperativo che a tutti i giornalisti, stranieri e locali, venga permesso di lavorare liberamente”, e pertanto “chiediamo alle autorità che rilascino immediatamente Barry Bearak e qualunque altro giornalista attualmente detenuto”. Alle parole del presidente del Comitato che si batte per la tutela dei giornalisti, hanno fatto immediatamente eco quelle di Reporter Senza Frontiere, organizzazione con base in Francia impegnata in difesa della libertà di stampa. L’organizzazione punta il dito contro quegli stessi osservatori che finora hanno “finto” che non vi fossero rischi per la democraticità delle elezioni, mentre invece “risulta chiaro che la libertà di stampa, quantomeno, non è stata garantita”. In seguito al duplice arresto, RSF ha rincarato la dose, appellandosi agli “osservatori africani incaricati di supervisionare le elezioni, affinché chiedano il rilascio dei giornalisti detenuti. Coloro che vogliono mantenere la calma in Zimbawe dovrebbero capire che questo genere di raid ormai appartiene al passato e che i giornalisti che stavano semplicemente facendo il proprio lavoro non dovrebbero trovarsi in arresto”.