La morte dei giornali cartacei (e la sua influenza)

Arianna Huffington Un lungo articolo di Eric Alterman sul New Yorker (età media dei lettori, 55 anni; una fiducia nel prodotto precipitata al 20%; un valore di borsa in calo del 42% in tre anni; un quarto dei posti di lavoro tagliati in meno di 20 anni) ha riaperto il dibattito sul declino della stampa scritta – Con internet torna il conflitto nel mondo del giornalismo fra “dispotismo illuminato” e democrazia – La produzione delle notizie di base che internet duplica, aggrega e discute finirà sempre di più nelle mani delle fonti del potere o si farà sentire anche la voce dei cittadini?

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Sta facendo discutere molto, in questi giorni, un lungo articolo di Eric Alterman sul New Yorker sulla morte dei giornali di carta e dei loro modelli economici ed editoriali.

Età media dei lettori, 55 anni; una fiducia nel prodotto precipitata al 20%; un valore di borsa in calo del 42% in tre anni; un quarto dei posti di lavoro tagliati in meno di 20 anni. Questo il bilancio della stampa scritta americana fatto dal New Yorker.

Di fronte a tutto questo, come sottolinea Benoit Raphael su “Demain tous journalistes”, l’  Huffington Post, un sito esclusivamente online lanciato nel 2005 da Arianna Huffington (nel disegno qui sopra), si piazza nei posti d’ onore delle classifiche (annunciando 11 milioni di visitatori unici al mese). E supera di un pelo il Los Angeles Times, ma con un numero di giornalisti inferiore di 40 volte.


Il principio cardine dell’ Huffington Post: aggregazione e conversazione. Aperto ai commenti, il sito ospita il meglio che di quello che si dice nei media e basa la sua forza editoriale sul dibattito, grazia a forte una squadra di blogger politici.

Il seguito?

“Se i soldi continueranno a migrare verso l’ online (e continueranno a farlo), HuffPost proporrà sempre di più dei reportage online (…) Dei servizi ampi e vigorosi, che includeranno anche del ‘giornalismo partecipativo’ “, predice Arianna Huffington, che crede a una convergenza dei modelli carta e web.

Il New Yorker racconta come Internet sta per far risorgere un vecchio conflitto che, nella prima metà del ventesimo secolo, aveva visto affrontarsi due concetti dell’ informazione e dell’ opinione pubblica.

Walter Lippman, grande giornalista, militava per una sorta di “dispotismo illuminato” del giornalismo. Una élite che rivelava, a una massa di lettori considerati come passivi di fronte all’ attualità (e quindi facilmente manipolabile da parte del potere), i legami e i meccanismi degli avvenimenti.

All’ opposto, il filosofo John Dewey, se non credeva affatto nella saggezza popolare innata, credeva però nelle virtù del dibattito e della conversazione.

“Mentre Lippman vedeva l’ opinione pubblica come una somma di opinioni individuali, un po’ come un sondaggio, Dewey l’ affrontava invece come un focus group”, aggiunge il New Yorker.

Soprattutto, Dewey rimetteva in discussione in sapere delle elite, troppo lontane dale preoccupazioni quotidiane di quelli che non sono della loro casta.
“L’ uomo che calza delle scarpe sa meglio di chiunque se gli fanno male, anche se l’ esperto in calzature sarebbe il meglio attrezzato per sapere come risolvere il problema”.

70 anni dopo, Internet – prosegue Raphael – ha fatto vacillare il modello Lippman (informazione dall’ alto, esperti), modello dominante fino ad ora, verso una visione più vicina a quella di Dewey (conversazione e condivisione di esperienza).

E dunque fa vacillare il modello della stampa scritta.

Ed ecco, conclude, Raphael, che si apre un vero dibattito: 50 giornalisti + 1 comunità possono sostituire 500 giorrnalisti?

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Ma l’ articolo del New Yorker pone anche un altro grosso problema: quello della produzione dell’ informazione di base. In parole povere, chi produrrà le notizie?

Su Agoravox.fr , Francois Guillot rileva giustamente che internet duplica prevalentemente l’ information prodotta dai media tradizionali, e la commenta.  In altre parole, la poduzione di informazione di base da parte dei media online (professionali o ‘cittadini’) è relativamente marginale.

Emmanuel Parody – nota Guillot – lo sottolinea nei commenti al post di Benoît Raphaël : la riuscita di un sito come Huffington Post si basa sul’ aggregazione e i commenti di informazioni prodotte da altri.

Problema: in un ambiente economicamente precario, chi produce l’ informazione di base? Quella che gli altri media riprendono, quella che interet duplica e commenta?

Avevamo avuto un inizio di risposta con l’inchiesta dell’ università di Cardiff  sul contenuto della stampa britannica seria (vedi Lsdi, L’ indipendenza sta diventando un lusso): già oggi più del 50% del contenuto è fabbricato principalmente da altre fonti giornalistiche, le agenzie di stampa; e quasi il 20% dei contenuti sono prodotti da uffici di PR e Uffici stampa, e cioè a partire da informazioni fornite da fonti come i pubblici poteri, le istituzioni, le imprese, ecc.

La minaccia economica che pesa sulla stampa scritta – prosegue  Guillot – può avere come conseguenza quella di accrescere il ruolo delle agenzie di stampa e delle altre fonti di informazioni.

Un viale spianato per le pubbliche relazioni? Non ne sono sicuro, nessuno può gioire dell’ indebolimento del ruolo del giornalista nella società.

E al contrario, a questa analisi “favorevole” alle fonti di informazione, si può opporre una analisi che è loro più “sfavorevole”: la presa di parola da parte dei cittadini pone al contrario dei problemi seri a poteri pubblici, istituzioni, imprese.