CINA: GIORNALISTA MUORE MASSACRATO DALLA POLIZIA

Sempre più dura la censura e la repressione del governo – Una ricostruzione di Gabriel Bertinetto da articolo21 —————

di Gabriel Bertinetto
(da articolo21)

Violento contro i cittadini che protestano per abusi e ingiustizie. Violento contro i media che quegli episodi rendono noti al pubblico insieme a coloro che ne sono responsabili. Così sempre più spesso agisce il potere in Cina, come se decenni di passiva sottomissione popolare al volere delle autorità abbia reso queste ultime incapaci di confrontarsi con l’esplosione di un fenomeno nuovo: la contestazione, la protesta, la denuncia. L’ultimo episodio i cittadini che protestano per abusi e ingiustizie.

Violento contro i media che quegli episodi rendono noti al pubblico insieme a coloro che ne sono responsabili. Così sempre più spesso agisce il potere in Cina, come se decenni di passiva sottomissione popolare al volere delle autorità abbia reso queste ultime incapaci di confrontarsi con l’esplosione di un fenomeno nuovo: la contestazione, la protesta, la denuncia.

L’ultimo episodio, tragico, è avvenuto a Taizhou, nella Cina orientale. Un giornalista è morto a causa del pestaggio subito da una squadraccia di poliziotti, furibondi per un articolo in cui si denunciava l’imposizione illegale di multe ai possessori di motorini. Wu Xianghu, 42 anni, è spirato alcuni giorni fa in ospedale in seguito alle lesioni riportate nell’aggressione tre mesi e mezzo fa. Wu era vicedirettore del Taizhou Wanbao (Giornale della sera di Taizhou), che il 19 ottobre scorso aveva dedicato ampio spazio a una vicenda di contravvenzioni apparentemente abusive. A quanto spiegano i colleghi di lavoro, prima di pubblicare il pezzo, la direzione del quotidiano aveva non soltanto verificato rigorosamente le fonti, ma aveva persino ottenuto una sorta di placet da parte di varie istituzioni competenti in materia. Ma tutto questo interessava ben poco alla banda di agenti, che a Taizhou evidentemente avevano messo in piedi un remunerativo sistema di esazione illegale, e si vedevano ora esposti al rischio di provvedimenti punitivi severi.

Fu il capo stesso della polizia stradale cittadina, un certo Li Xiaoguo, a guidare la spedizione, spalleggiato da una decina di complici in divisa. Il giornalista fu sequestrato e percosso selvaggiamente dentro un ascensore. Non si è più ripreso dai colpi ricevuti. Il capo dei suoi assassini è stato licenziato, e questa è una buona notizia che dimostra la parziale capacità di autocorrezione in un sistema in cui troppo spesso vige per i potenti la legge dell’impunità. Sull’altro piatto della bilancia, bisogna mettere però il fatto che nessuno ancora è stato incriminato per il delitto.

Tempi duri per la stampa in Cina. Più tenta di affermare la propria autonomia, più si trova la strada sbarrata dall’intimidazione e dall’arbitrio. Il Comitato per la protezione dei giornalisti, un’organizzazione non governativa con sede a New York, calcola siano attualmente 42 i reporter in prigione per reati di opinione. Tra i casi più clamorosi quelli di Zhao Yan, collaboratore del New York Times, in prigione da più di un anno, e di Ching Cheong, un cittadino di Hong Kong che scrive per un giornale di Singapore, arrestato lo scorso aprile a Ghangzhou.

Ed è di cinque giorni fa la notizia che ben 76 siti web sono stati chiusi, mentre ad altri 137 è stato ordinato di rimuovere materiale giudicato illegale. In parte questi provvedimenti rientrano nella lotta alla pirateria informatica e musicale, e sono quindi appoggiati dai giganti di Internet, da Microsoft a Google, da Cisco a Yahoo. I quali però sono spezzo zelanti al punto di diventare preziosi alleati della censura ufficiale. Ed è per questo che alcuni membri del Caucus del Congresso Usa per la tutela dei diritti umani hanno criticato duramente quelle compagnie che antepongono il profitto ai principi della libertà d’espressione.

Intolleranza e soprusi verso i media. Intolleranza e soprusi verso coloro che si battono per i propri diritti. A Guangzhou un avvocato, Yang Maodong, è stato assalito da due energumeni, che lui stesso ha poi descritto come «picchiatori professionali», per essersi impegnato a fianco degli abitanti di Taishi, che chiedono le dimissioni del capo villaggio locale, accusato di corruzione. La scorsa settimana Yang era risucito a recarsi a Taishi, dopo che per tre mesi le autorità glielo avevano impedito. L’infrazione al divieto gli è costato la violenta aggressione. Ora però per solidarietà con lui e con gli abitanti del villaggio in lotta, cento persone in diverse parti della Cina hanno iniziato uno sciopero della fame. «Sciopereremo a rotazione nelle nostre case, nei nostri uffici», ha detto uno dei promotori della protesta, un altro avvocato, Hu Jia. «E per le autorità sarà così molto difficile intervenire». Tra coloro che aderiscono al digiuno, Qi Zhiyong, un operaio che ebbe una gamba amputata per le ferite subite il 4 giugno 1989 sulla Tian’anmen. La Cina democratica di ieri, la Cina democratica di oggi.