Paola Bacchiddu: secondo noi il “caso” c’è

Bacchiddu

“Nel pensare una riforma del giornalismo è preferibile un percorso evolutivo, non certo involutivo, come sarebbe sicuramente l’estensione tout court delle norme penali in materia anche alla Rete”.

 

È una delle conclusioni di un lungo articolo su Valigiablu (“Giornalismo, diffamazione, web e il caso che non c’è”) che l’avvocato e blogger Bruno Saetta dedica alla vicenda di Paola Bacchiddu.

 

 

di Pino Rea

 

Il legale, che si interessa di diritto applicato a internet e alle nuove tecnologie di comunicazione, sostiene che nella vicenda non esiste niente di scandaloso perché in sostanza nulla vieterebbe (vieterà, ormai) a Paola Bacchiddu, citata a giudizio per diffamazione aggravata – non a mezzo stampa, ma usando un “altro mezzo di pubblicità”, cioè internet, per un articolo pubblicato sul quotidiano online Linkiesta – di invocare l’esimente del diritto di cronaca.

 

E’ interessante seguire il suo ragionamento.

 

 Pensare diversamente deriva da un errore di prospettiva, cioè nel considerare il giornalismo come attività tipica del giornalista, laddove oggi in tantissimi paesi e nelle istituzioni dell’ Unione europea non ha alcun senso parlare di giornalismo quale attività riservata ad iscritti ad un albo (che non esiste praticamente in alcun altro paese).

 

Secondo il legale, invece,
 

il riferimento è all’attività giornalistica,  cioè al fare informazione indipendentemente dalla qualifica soggettiva, con ciò accogliendo un’interpretazione estensiva del concetto di giornalista che non si limita al professionista.

 
Per Bruno Saetta quindi
 

‘’anche un cittadino qualunque può fare attività giornalistica e in tal senso può difendersi avvalendosi del diritto di cronaca’’.

 

Certo, precisa Mario Tedeschini Lalli nella pagina Facebook di Di.gi.ti., ‘’il ‘diritto di cronaca’ non è stabilito da alcuna legge, è un principio che la giurisprudenza ha piano piano delineato. Non è cioè legato all’ essere parte dell’ universo coperto dalla legge del 1948’’.

 

Ma siamo sicuri che la cosa sia così pacifica? Esiste qualche precedente in questo senso?, chiediamo all’ avvocato Saetta. E se precedenti in questo campo non ce ne sono, come riteniamo, pensa davvero che un tribunale applicherà l’ esimente del diritto di cronaca anche a un cittadino qualsiasi per qualche suo intervento giornalistico?

 

‘’I tribunali a volte sbagliano, abbiamo casi anche recenti, ma poi in secondo o terzo grado le cose generalmente vanno a posto. Comunque anche la Cassazione qualche volta può sbagliare, sono esseri umani…’’, ci risponde l’ avv. Saetta nei commenti al suo articolo, senza citare nessun precedente.

 
Certo, un collegio che desse ragione al legale lancerebbe un segnale di maturità giuridica particolarmente rilevante  e apprezzabile.

 

In ogni caso, come sottolinea Tedeschini Lalli,
 

la situazione giuridicamente paradossale è evidente, se si pensa che la sentenza della Cassazione ripetutamente citata in questi giorni (la n. 35511 del 2010) , è nata dal caso del direttore dell’Espresso assolto dalla accusa di omesso controllo perché il sito online del settimanale non era da considerarsi “stampa” ai sensi della legge del 1948. Con la conseguenza che il direttore dell’ Espresso è responsabile di quello che io scrivo sulla edizione cartacea, ma non di quello che io scrivo sul suo sito. Il paradosso, come si diceva, qui è evidentissimo.

 

Mario Tedeschini Lalli si sofferma poi sul

 

discorso che potremmo chiamare politico-culturale che riguarda la diffusa sensazione ancor oggi che il giornalismo online sia un giornalismo di serie B. Un problema serio che (…) conosciamo bene. Ma non è invocando una equiparazione nel senso di maggiori limiti che risolviamo la cosa. Rischiamo così dei portar acqua al mulino di quanti nel mondo politico, della cultura e purtroppo anche del giornalismo, immaginano la questione digitale come un problema di controllo.

 

Ecco, tornando al ‘’caso’’ Bacchiddu (che per noi c’ è), il punto è proprio quello.

 

Sottolineare la disparità legislativa emersa dalla vicenda e le condizioni di incertezza e debolezza giuridica che sembrano caratterizzre la posizione dei giornalisti digitali  significava prima di tutto denunciare un ritardo culturale e il forte gap di valore, il divario ideologico, fra il giornalismo su carta e quello online. Divario che, a sua volta, sembra essere alla base della disparità e confusione normativa. Noi temiamo in peggio, per i giornalisti digitali, ma anche per i semplici cittadini, intendiamoci.

 

Dunque, si può essere d’ accordo nel ritenere, come fa l’ avvocato Saetta,  che ‘’l’estensione tout court delle norme penali in materia di diffamazione anche alla rete’’ possa essere una involuzione, soprattutto se la cosa comporta anche un aumento delle pene edittali.

 

Ma non ci pare che sia involutivo segnalare queste lacune soprattutto in vista della necessità di un ripensamento generale di tutte le disposizioni su editoria e informazione giornalistica per adattarle all’ evoluzione dei giornalismi e delle tecnologie. Nell’ interesse, naturalmente, della società e dell’ informazione intesa come bene pubblico.

 

Non a caso Lsdi ha seguito con molto interesse il dibattito in corso negli Stati Uniti sulla necessità di spostare l’ attenzione dalle tutele per i giornalisti a quelle per l’ attività di giornalismo (che giustamente non sono più monopolio dei giornalisti professionali), insomma all’ attività giornalistica in generale.

 

E sta facendo scalpore la decisione di una corte d’ appello federale Usa secondo cui un blogger ha diritto alla stessa protezione di un giornalista e non può essere ritenuto responsabile di diffamazione a meno che non abbia agito per negligenza.

 

Se qualche giudice italiano prosciogliesse un cittadino qualsiasi dall’ accusa di diffamazione riconoscendogli l’ esimente del diritto di cronaca pur non essendo giornalista, saremmo all’ avanguardia nel campo della libertà di stampa. (E non al 57° posto della classifica di Rsf. Ma questo è un altro discorso).

 

Insomma, al di là delle asimmetrie normative, il vero problema – e lo sottolinea oggi anche  Ilfattoquotidiano’’ – ‘’è che manca una visione riformatrice sulla libera manifestazione del pensiero e della legislazione sulla stampa, compreso l’online, che tarda a concretizzarsi e che rimane ancora nel recinto della disciplina penalistica, come retaggio del passato’’.

 

E poi, aggiunge,

 

il mancato adeguamento della legislazione italiana ha creato un ampio potere di querela temeraria che tenta di comprimere l’informazione, a prescindere dal fatto che “rispetti i canoni della verità, della continenza espressiva e dell’interesse sociale alla notizia.

 

Il giornale cita Deborah Bianchi, avvocato esperto di diritto della Rete, secondo cui ‘’anche il ‘Ddl Diffamazione’ in discussione al Senato non affronta con la necessaria ponderazione i problemi aperti dal caso Bacchiddu. In primis, la querela temeraria’’.

 

Per evitare altre sconcertanti vicende, bisogna cambiare con urgenza le leggi, depenalizzando il reato di diffamazione a mezzo stampa (o a mezzo Internet) e calibrando eventuali responsabilità di tipo civilistico.

 

Altrimenti,  si continuerà a rimanere “colpevoli” di diritto di cronaca.