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Sostenibilità sociale e opportunità dentro alla trasformazione digitale

Direttamente dal Festival dell’economia di Trento edizione 2021, proviamo ad estrarre contenuti e riflessioni grazie al lavoro certosino del nostro associato, amico e collaboratore solerte: Marco Dal Pozzo, ingegnere delle tlc grande appassionato di giornalismo, società e politica. In questo post, partendo dalla “sbobinatura essenziale” dagli interventi di Robert Johnson – economista e presidente di Inet  e Michael Spence – premio nobel per l’economia nel 2001,  del panel del festival intitolato: Trasformazione digitale, opportunità e sostenibilità socialesvoltosi domenica 6 giugno, proviamo ad esplorare questo argomento, a modo nostro, sottolineando i passaggi più importanti del dialogo a distanza, ed evidenziando le questioni più spinose e cruciali, aggiungendo alcune nostre specifiche riflessioni. In calce al post troverete il video integrale dell’incontro. Grazie per l’attenzione e buona lettura ;)

 

 

 

Domanda – Robert Johnson, presidente INET.

In ambito tecnologico Spence ha lavorato con lo Luohan Academy ( https://www.luohanacademy.com/about/committee/Michael_Spence) che ha pubblicato un rapporto su questioni mediche, big data, etc; nel quale gli scienziati  hanno provato a rispondere a tre principali quesiti:

  1. come possiamo proteggere adeguatamente la privacy personale nell’era dei big data?
  2. Come comprendere la proprietà e la distribuzione dei benefici e dei rischi che derivano dall’uso dei dati?
  3. L’uso dei big data porterà a una situazione di mercati “winner-take-all” che minano la concorrenza a scapito dei consumatori e della società?

La mia domanda è come si inquadrano tali cose per trarne utili  lezioni per il futuro?

 

 

 

 

Risposta – Michael Spence, premio NOBEL Economia 2001

Tutti hanno capito l’importanza del mondo virtuale, ci sono sfide significative e rischi occulti. Mi ha colpito particolarmente  la potenza degli strumenti scientifici e tecnologici. Ad esempio, 10 anni fa l’energia solare era una bella idea ma di scarso utilizzo; ora è una sorgente energetica molto usata,  in alcuni casi, più dei combustibili fossili.  Le scienze biomediche sono spesso rapportate al digitale per parlare della loro potenza (si parla di “gene editing”)*. In ambito digitale gli strumenti sono disponibili e potenti e la Pandemia li ha resi necessari e utilizzabili. Sono tutte grandi opportunità, ma rimangono anche grandi sfide.

 

 

*per meglio spiegare il Gene editing, riportiamo di seguito un estratto della Enciclopedia Treccani:

L’ultima frontiera dell’ingegneria genetica si chiama “gene editing”: grazie alla scoperta del CRISPR-CAS9, un componente del sistema immunitario dei batteri, le ricercatrici Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier hanno trovato una strada per intervenire direttamente sul Dna degli esseri viventi.

 

 

Domanda – Robert Johnson, presidente INET

C’è preoccupazione che si possa sostituire l’uomo rinunciando alla forza lavoro con l’IA con annessi problemi di disuguaglianza,  ci sono, a questo proposito, profeti di sventura e profeti di progresso, come è possibile gestire questo processo e delineare  così una “governance” dell’aspetto umano?

 

 

 

Risposta – Michael Spence, premio NOBEL Economia 2001

Bisognerà fare delle scelte improntate al valore. Sul digitale: la rivoluzione industriale non è arrivata mai nei paesi in via di sviluppo. Ciò ha portato alla meccanizzazione. Ora usiamo il termine automatizzazione.  Anche il mercato del lavoro è cambiato moltissimo: le macchine hanno sostituito il lavoro umano. Negli USA si vive l’automazione con un relativo aumento del settore impiegatizio dei colletti bianchi.  L’uomo può così essere escluso dal mondo produttivo perché le macchine sono più veloci e lavorano meglio. Questa è una traiettoria diversa da quella che abbiamo avuto con la rivoluzione industriale perché in quel caso l’uomo aveva il controllo delle macchine. Ora lo scenario è diverso.

 

 

Domanda – Robert Johnson, presidente INET

La curva di apprendimento delle macchine è incredibile, ci sono attività della mente umana messe sotto pressione, sfidate e superate dalle macchine;   le tecnologie sono usate per aumentare l’efficienza  e ridurre i costi. Tu hai lavorato in CINA*, un grandissimo paese. Cosa ci puoi dire in proposito?

 

 

 

A proposito degli studi  e delle ricerche sui  mercati esteri svolti dal professor  Spence, va  ricordato, che il premio Nobel  è una autorità mondiale sui temi della crescita nei paesi in via di sviluppo e sulla convergenza tra economie avanzate e in via di sviluppo. Le ricerche del Prof. Spence si sono  in particolare  concentrate sulla politica economica nei mercati emergenti, l’economia dell’informazione e l’impatto della leadership sulla crescita economica. È famoso il modello di segnalazione del mercato del lavoro, elaborato da Spence. Le ricerche del prof. Spence mettono in luce il ruolo vitale dell’informazione nell’economia e nella società contemporanea.

 

 

 

Risposta – Michael Spence, premio NOBEL Economia 2001

Uno dei casi di studio su cui bisognerebbe cercare di far maggior luce,  fra le aziende “digitali” cinesi, è certamente quello di  Alibaba. C’è una mole di dati enormi, una serie di studi su questo.  Non è vero che l’ e-commerce sostituisce il dettaglio. In luoghi come Shangai c’è stato uno spiazzamento dove c’era il commercio e/o  dove c’era l’agricoltura. L’e-commerce non ha sostituito nulla, ma si è affermato come nuova opportunità. Con l’e-commerce ci sono tanti dati, tante persone, aziende e opportunità che, senza queste piattaforme, sarebbero rimasti sconosciuti al sistema finanziario. Gli algoritmi di machine learning possono valutare il prezzo del credito. Una applicazione specifica sviluppata in tal senso: My Bank, viene utilizzata per valutare l’erogazione del credito a piccoli imprenditori che diversamente sarebbero stati esclusi a priori dal sistema creditizio, o  avrebbero avuto accesso al credito con condizioni svantaggiose. Ci sono anche altre applicazioni, per esempio l’Image Recognition per la diagnostica avanzata. Prima se non si viveva vicino ad un centro medico diagnostico, un ospedale, una clinica specializzata di dermatologia oppure oftalmologia,  non si avevano opportunità in tal senso.  Questi contesti possono aprire scenari anche dal punto di vista dell’occupazione.

 

 

A questo punto forse vale la pena di sottolineare un passaggio, a nostro avviso importante e in evoluzione,  rispetto ai recenti  studi riportati su queste nostre stesse pagine,  in altri nostri post. Ad esempio, a differenza, o meglio, in aggiunta a  quanto aveva testimoniato Cathy O’Neal, nel suo saggio “Armi di distruzione matematica”, su come gli algoritmi fossero strumenti di selezione e di omologazione – imperfetti e sovente ingiusti – il caso “cinese”, segnalato da Spence, mette in luce come gli strumenti e i processi  digitali e gli stessi algoritmi alimentati dal machine learning, possano, anche, diventare sistemi di inclusione. Opportunità per portare alla luce categorie sociali prima forzatamente  escluse dalle logiche di sistema precedentemente in uso.  Questo è un aspetto molto interessante, a nostro avviso, sul quale riflettere in modo molto più profondo e articolato, per comprendere in maniera realistica e aggiornata la cosiddetta “transizione digitale”.

 

 

Domanda – Robert Johnson, presidente INET

Esiste un rapporto che si chiama “Data Calculus in the Digital Era” che è stato realizzato da economisti asiatici e occidentali. Mi sembra che ci siano dei quesiti da sciogliere: sui Big Data ad esempio (ne parlavo con persone della FED),  e anche su come utilizzare i dati,  renderli anonimi e aggregarli, classificarli per distretto etc…Da essi si può capire cosa sta accadendo nel ciclo economico e così si può servire meglio la società. Ci sono però preoccupazioni su controlli e privacy. Alcune piattaforme vedono le persone come il prodotto. Ciò può far nascere dei conflitti.  Come si possono superare fenomeni come il “ransomware”? *

 

 

*Prendiamo a prestito la definizione dell’enciclopedia Treccani per chiarire meglio i termini e  l’argomento in discussione:

ransomware s. m. inv. Programma maligno che limita o impedisce l’accesso al dispositivo sul quale si installa a insaputa dell’utente, richiedendo un riscatto da pagare per ripristinare l’uso normale del dispositivo.

 

 

 

Risposta – Michael Spence, premio NOBEL Economia 2001

E’ ironico che ciò emerga in una Pandemia in cui le transazioni sono avvenute in gran misura dentro alle piattaforme digitali. Non è solo una questione di come si comportano le piattaforme, oramai, perché tutta l’economia si fonda su piattaforme digitali.  Chiunque operi attraverso  una piattaforma digitale è vulnerabile, in linea di principio, ovunque,  può esserci un attacco che blocca il sistema. Un quesito irrisolto è questo: abbiamo attività troppo deboli per garantire la sicurezza digitale. Questo non è solo un problema internazionale, perché le piattaforme che possono essere attaccate sono anche sul suolo delle singole nazioni. I governi non sono stati sufficientemente forti da creare sicurezza in tal senso. Gli attacchi potrebbero prendere di mira la rete elettrica e qualunque altro servizio, non solo i dati aziendali. Queste sono tematiche prioritarie non ancora abbastanza affrontate. Si può bombardare un sito con un volume di dati tale da non farlo funzionare più. Forse questo problema può essere combattuto attraverso l’uso del cloud computing. Un altro esempio è l’IoT. In tal caso non esiste alcun meccanismo intrinseco di protezione. Il sistema di telecamere domestico, per le case, non ha, ad esempio, un meccanismo di protezione.

 

 

Anche in questo caso, come prima sottolineato a proposito dell’uso degli algoritmi per incentivare e sviluppare settori nascosti della produzione e dell’economia,  il segmento della sicurezza informatica viene evidenziato come  un aspetto problematico della “nostra” cultura digitale. Un buco nel sistema – l’ennesimo –  che, però,  va affrontato, come il resto,  nella giusta maniera. Non ci saranno mai  casseforti o muri, o meccanismi di protezione in grado di assicurare e garantire certezze e sicurezze nella dimensione digitale,  fino a quando tutti noi non avremo compreso cosa significa essere  davvero, persone “digitali”. Cosa significa abitare e vivere in questa dimensione nuova e diversa da quella analogica. Fino a quando continueremo in modo più o meno maldestro a provare ad adattare meccanismi analogici a questa nuova realtà non otterremo nulla di buono, e soprattutto, non affronteremo mai  in modo maturo, le dinamiche reali  del cambiamento.

 

 

Domanda – Robert Johnson, presidente INET

Credo che le persone parlino di questo nuovo mondo e parlino di resilienza. Quanta energia consumano le piattaforme digitali?

 

 

 

Risposta – Michael Spence, premio NOBEL Economia 2001

In effetti per come la vedo io, nel mondo dei semiconduttori, si sta cercando di ridurre la distanza dai circuiti. Questo aumenterà la velocità dei semiconduttori e il consumo energetico. Di sicuro i semiconduttori giocano un ruolo importante. Pensiamo a Bitcoin: le valute di questo genere consumano molta energia.

 

 

Domanda – Robert Johnson, presidente INET

Si dice che tra una cinquantina d’anni in Africa ci saranno 5 miliardi di persone. L’aumento dell’anidride carbonica e  delle temperature potranno distruggere alcune forme di agricoltura creando gravi problemi alla popolazione e producendo disagio sociale. Nel contempo non esistono più gli stessi modelli di sviluppo globale,  non c’è più un manuale per la crescita con questo boom demografico e con la scomparsa dell’agricoltura. Quali possono essere le strategie di sviluppo per questi paesi basate sulla tecnologia digitale? Forse servirà usare le tecnologie solari e dell’idrogeno.

 

 

 

Risposta – Michael Spence, premio NOBEL Economia 2001

Nel dopoguerra l’Africa ha fatto passi indietro. Molti stati non hanno sbocco sul mare, altri hanno molte risorse naturali. Attualmente ci sono molte opportunità di investimento in Africa ma con rischi altissimi. Le istituzioni internazionali dovranno adoperarsi per superare questo momento. Per esempio si dovrà produrre energia solare, ma per il momento i progressi sono ad un punto morto per via del rischio sugli investimenti necessari. Esperti sul cambiamento climatico hanno già detto che i paesi sub-sahariani saranno colpiti da questo fenomeno e ciò produrrà nuove migrazioni di massa. Per la tecnologia digitale il punto è questo: un buon modello di sviluppo può stimolare la domanda e l’offerta attivando settori manifatturieri e urbani. In Asia ha giocato un buon ruolo il basso costo del lavoro. Questo modello è stato usato partendo dal Giappone e poi espanso in altre regioni. La parte negativa della rivoluzione digitale è la sostituzione del lavoro dell’uomo (tessile, abbigliamento sono settori per cui la sfida è difficilmente risolvibile). Settori come il manifatturiero e altri perderanno potenza fino a che i prodotti verranno da paesi più poveri. Ci sono alternative facendo leva sulla tecnologia? La risposta onesta è che non lo sappiamo, di sicuro le piattaforme digitali permettono la creazione di idee imprenditoriali perché i costi di accesso sono molto, molto bassi ( a patto che vi sia l’infrastruttura). Internet ha bisogno di velocità e di connettività.

 

 

 

E’ la solita storia della sostituzione tecnologica del lavoro. Ma la tecnologia può risolvere alcuni problemi:

  1. In Africa si può produrre energia solare. Ma gli  investimenti tecnologici lì sono a rischio (assurdo dirlo visto quanto viene depredato in quel continente proprio per alimentare il mercato tecnologico).
  2. altrove la connettività può favorire idee imprenditoriali per via del basso costo di accesso alla tecnologia stessa.

 

Se nel primo caso ha senso investire (il tema non è la sostituzione tecnologica del lavoro, ma la sopravvivenza), nel secondo caso bisogna ancora capire quale sia l’idea imprenditoriale vincente, oppure – per impiegare le persone il cui lavoro è stato sostituito dalle macchine –  quale sia l’indirizzo da prendere (cioè su cosa formarsi e/o riformarsi professionalmente). Si parla di lavori creativi, ma in fin dei conti non si sa bene quali siano. Anche in questi casi, prima di prendere qualsiasi decisione, bisognerebbe convincersi e poi applicarsi per riformare l’accesso culturale di base agli strumenti e alle conoscenze digitali per tutti. Permettendo a chiunque di crearsi opportunità e accrescere le proprie conoscenze proprio grazie ai nuovi sistemi di comunicazione e lavoro. Quei device digitali con cui la maggior parte del genere umano per ora ha solo imparato a comprare e spendere senza sosta arricchendo a dismisura i “soliti noti”.

 

 

 

Domanda – Robert Johnson, presidente INET

Molte persone si preoccupano della globalizzazione e molti temono che farà più morti che altro. Si sono così ipotizzati  modelli economici per capire come si svilupperanno le cose e soprattutto per capire quali saranno gli squilibri; il tutto in un mondo in cui (i fondi) e le cose si possono trasferire in nanosecondi. In ballo non ci sono i fattori di produzione.

Un’altra cosa che spaventa è la migrazione di massa e le molte cose cambiate dalle piattaforme. Il digitale consente integrazione, e ciò è positivo. Per esempio un designer di moda in India potrebbe raggiungere tutti i mercati del mondo, ma c’è anche la percezione che le cose ci stiano sfuggendo  di mano.

In passato si facevano degli investimenti diretti in paesi in cui non vi erano leggi su manodopera e lavoro. Ora le tecnologie sono più forti delle persone

Ora: siamo qui a parlare del ritorno dello Stato. Secondo te come ritornerà lo Stato? Ci sono tanti livelli, per esempio la governance globale e la governance locale. Come vedi il ritorno dello Stato in un contesto caratterizzato dal dominio della tecnologia?

 

 

 

Risposta – Michael Spence, premio NOBEL Economia 2001

Il ritorno dello Stato significa molte cose. Si capisce molto di più che lo Stato è importante, e lo abbiamo visto nel campo della tutela sociale, nei tentativi di ovviare agli insuccessi del  mercato. E’ in questi ambiti che può funzionare.

La gente pensa agli Stati nazione, non al pianeta. Nessuno ha detto che le cose migliorerebbero   con un Governo globale, ma spesso è a questi enti che si pensa. Modificheremo le cose in molti modi, in termini di maggiore potere agli Stati Nazione per dare benessere ai cittadini (questo vorrà dire frammentare Internet); ma per la finanza questo sarà più difficile. I temi sono i cambiamenti climatici e la sfida sanitaria. Non si può chiudere la porta a queste cose che riguardano il mondo intero. E’ necessario collaborare, non chiudere i recinti. Cosa succederà? Forse riusciremo ad essere interdipendenti e a concentrarci sugli ambiti veramente cruciali.

 

 

Domanda – Robert Johnson, presidente INET

Il G7 ha annunciato l’imposizione fiscale minima. Come vedi questa innovazione? C’è una responsabilità internazionale e si sta cercando di evadere la questione delle soglie. Chi sarà colpito da questa cosa? Le aziende o le persone?

 

 

Risposta – Michael Spence, premio NOBEL Economia 2001

La questione dell’ imposizione fiscale, in un ambiente internazionale e nel contesto digitale, va posta in questi termini: come si tassano i servizi erogati in paesi diversi da quelli in cui sono prodotti? Il G7 ha provato a reagire facendo un passo nella direzione giusta. Se si continuerà nella stessa direzione anche nel prossimo G20, indicando un valore vicino al 5% del PIL, sarà forse possibile trovare in futuro, una sorta di tassa minima universale.  Alla domanda su chi pagherà le tasse tra aziende e persone, non so ben rispondere. Sicuramente lo faranno le persone, in modo diretto o indiretto.  Questi problemi vanno risolti.

Sappiamo che uno Stato deve tassare per erogare servizi. Può tassare i servizi, le transazioni, etc…questo scenario solleva domande importanti. Qual è la forma migliore di imposizione fiscale che non tarpi le ali alle aziende, ma che allo stesso tempo permetta agli Stati di ridurre le disuguaglianze?

Occorrono scelte politiche, evidentemente, e quello dei servizi erogati online deve essere per forza un problema politico. Forse, gli Stati Nazionali, sono nell’impossibilità e – soprattutto – nell’inopportunità di frazionare la rete. Per questo motivo la soluzione migliore potrebbe essere di definire una tassa che vada bene a livello globale, e che poi venga equamente distribuita sulla mole dei dati scambiati per erogare quei servizi. Ben venga impostare il discorso su una percentuale del PIL, ma è un accordo che deve essere accettato da tutti. E’ giusto dire che il 5% del PIL è una tassazione equa? Ci sono gli strumenti per poterlo dire?

 

La crescita di cui parla Spence che tipo di crescita è? Se stiamo ancora parlando del PIL, disinteressandosi della qualità di vita negli Stati sviluppati, come si fa ad essere credibili nel parlare di investimenti da fare in Africa per portare l’energia solare?

 

 

Proponiamo alcune osservazioni finali e poniamo qualche questione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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