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Pollicino e il lupo

Ovvero la storia di come poche rinsecchite bricioline di pane  sparse abbiano convinto  i più grandi editori del mondo a consegnarsi “ignudi e tremanti” nelle mani del lupo-google. Una favola antica o meglio una sorta di “crasi” fra due racconti della tradizione per i più piccoli: Pierino e il lupo e Pollicino; riveduti e corretti in versione “società dell’informazione”. La versione che vorremmo proporVi è quella in cui una Over The Top decide di fagocitarsi tutta l’informazione professionale del pianeta illudendo gli editori di aver avuto paura della loro forza e della potenza dei loro contenuti professionali.  Mentre invece – come si diceva dei cinesi che venivano in Italia a fotografare le cose per poterle poi rifare in Cina, a prezzi stracciati – sta risucchiando dentro a casa propria il meglio del meglio dei contenuti prodotti globalmente dall’editoria giornalistica mondiale,  per quattro palanche, in attesa di capire come fare per rendere propri a tutti gli effetti, detti contenuti  – in un futuro molto vicino – e senza spendere mezzo bitcoin, anzi guadagnandoci pure!

La notizia è nota. Ma la riepiloghiamo in breve qui di seguito per i meno attenti. Si scherza. L’avevamo già diffusa verso la fine dello scorso anno.

 

Senza contenuti le meta nazioni digitali sono deserti. 1 miliardo di dollari in tre anni per assicurarsi contenuti di qualità. Questa la cifretta messa a bilancio dagli amministratori di  google per realizzare “Google News Showcase”: una sorta di aggregatore di notizie di alto livello. L’app espressamente dedicata al giornalismo e agli editori nascerà quest’anno – 2020 –   in Germania e in Brasile,  prima per i devices di Android e poi per  Apple. L’operazione riguarderà prima il pianeta:  Google News, e poi a stretto giro,  anche le “derivate”, Search e Discover. La techno corporation che come le altre consorelle OTT,  nega da sempre di essere o voler diventare un editore, entra a piedi uniti nel settore editoriale per – questo almeno è quello che hanno dichiarato i vertici di Alphabet – creare un luogo della rete totalmente scevro dal cancro delle, cosiddette “fake news”. A noi – se possiamo permetterci di esprimere un parere –  sembra più l’ennesima manovra per “comprare” gli editori per i soliti 30 denari. Come dire, meglio “pochi, maledetti e subito”, che litigare con  gli editori medesimi, e rischiare cause milionarie. Ma soprattutto meglio pagare  per avere contenuti, meglio se di  qualità, che rischiare la desertificazione del web. O meglio del web di proprietà delle OTT. Che non è certo tutta la rete.   Come si ricorderà la compagnia americana è in causa con numerosi editori in varie parti del mondo, in particolare in Australia, dove non solo gli editori ma  anche il governo del Paese,  hanno messo nel proprio mirino proprio  i signori di Mountain view. In Europa,  i più attivi contro Google, dopo l’approvazione della sciagurata normativa  europea sul diritto d’autore,  sono gli editori francesi. Al momento dentro a questo nuovo progetto di Google sono entrati più di 200  editori. Nel prossimo futuro il servizio  partirà in molti altri stati fra cui India, Belgio e Olanda.

 

Non so come la vedete Voi, ma ci sembrano davvero pessime notizie, in particolare per il giornalismo e più ancora per la funzione d’uso del giornalismo. Non è in questo modo –  addomesticando il sistema – che si forniscono agli utenti gli strumenti  per  formarsi un’opinione in modo libero e autonomo.

 

E poi ecco arrivare in questi giorni la notizia che Showcase è stato esteso anche al BelPaese e che gli editori nostrani hanno aderito alla operazione di Google in massa, o quasi. La decisione degli editori italiani è parsa importante, ed  è finita su tutti i giornali –  a dire il vero nella maggior parte dei casi con un piccolo trafiletto di scarsa importanza nelle pagine interne della maggior parte dei quotidiani – ma è stata data, ed è pure stata ripresa anche nei principali tg. Con tanto di comunicati stampa di approvazione dalla federazione degli editori e dal sindacato dei giornalisti. Del resto la stessa federazione e lo stesso sindacato avevano sostenuto in ogni modo possibile anche la sciagurata legge europea sul diritto d’autore, quindi, era abbastanza scontato che  dovessero  prendere una posizione favorevole anche in questo caso.

Siamo anche certi che Fieg e Fnsi siano in perfetta buona fede nel sostenere la disastrosa legge europea e pure questa nuova alzata d’ingegno di Google.  Sulla carta è doveroso sostenere il diritto di autore e gli autori –  ne siamo certi e lo sosteniamo in primis noi medesimi –  e, ovviamente, anche  gli editori che alimentano l’industria che produce contenuti d’autore di alta qualità. Nessuno può dubitare di questo. Peccato che i risultati ottenuti con l’approvazione della  disastrosa legge europea e dalle iniziative “a supporto” del giornalismo di Google e compagnia cantante, non siano davvero a favore degli editori, dei giornalisti e dei contenuti di valore. Tuttaltro.

 

 

Sembra di vivere in una realtà distopica, degna del miglior romanzo di Dick o del peggior film di fantascienza di serie F. Eppure è così che va il mondo  e in particolare è proprio in questo modo che sta andando il mondo dell’editoria professionale di informazione. Male. Sta andando molto male.

Tutto il mondo. A quanto pare. Non solo l’Italia.

Certo che è davvero strano, soprattutto perchè proprio a seguito dell’approvazione della sciagurata legge europea sul diritto d’autore –  che ancora non è entrata in vigore a livello globale – abbiamo già potuto constatare con mano che nel paese dove la legge europea è già entrata a far parte della legislazione statale: la Francia; quei simpaticoni di google hanno provveduto a mettere in atto una strategia di disimpegno – per dirla in modo lieve –  nei confronti degli editori che erano immediatamente andati dal colosso di Mountain View a battere cassa.

Ops. Come recita quell’altro proverbio: “fatta la legge gabbato lu santo”.

 

Ricordate cosa scrissero i titolari della sezione europea di Google all’indomani dell’introduzione in Francia della legge sul diritto d’autore europea?

 

 

Google non pagherà gli editori in Francia per la visualizzazione dei loro contenuti e cambierà invece il modo in cui gli articoli compaiono nei risultati di ricerca, ha detto un dirigente della compagnia americana.

 

 

 

Sicuramente showcase sarà un successo planetario e gli editori che hanno aderito riempiranno d’oro le proprie casse. Anche se a conti – della serva – fatti, non ci pare proprio che 1 miliardo di euro, in tre anni,  diviso per tutti gli editori del pianeta possa cambiare le sorti dell’editoria giornalistica in sempre maggiore crisi. Soprattutto considerando quanto siano pochi quei denari rispetto a ciò che introita e poi salva e poi divide fra i propri azionisti l’Impero globale – meta digitale – di Alphabet/Google.

Qualcosa tipo: 130 miliardi di dollari di fatturato.  Pari a circa 30 miliardi di dollari di utile l’anno. Bitcoin più bitcoin meno.

Di sicuro questo ennesimo rametto d’ulivo – molto virtuale e nemmeno troppo portatore di pace – offerto  da Google agli editori del pianeta,  ci sembra assomigliare parecchio ad altre precedenti strategie,  già tentate e messe in campo dai soliti noti qualche anno fa.  Ricordate?  Facebook prima e poi gli stessi multimiliardari di  Google,  negli anni precedenti sempre nei confronti degli editori, avevano già mosso qualche passettino. Strategie per stemperare le polemiche, mettendo mano al portafoglio. Una si chiamava   “ Instant articles”,  e se aveste dubbi, andate a leggere in cosa consisteva, nel link ad un articolo del Corriere delle Sera di qualche anno fa che Vi agevoliamo di seguito.    Il  titolo era davvero emblematico:

 

 

 

“Facebook pagherà gli editori per creare uno spazio con notizie verificate” – Vi ricorda qualcuno o qualcosa?

 

 

Un’altra  iniziativa, più o meno negli stessi anni, arrivava da Google e si chiamava AMP, acronimo che stava per Accelerated Mobile Pages. Ufficialmente l’idea di Google poteva sembrare diversa da quella di Facebook in realtà l’intento era molto simile e andava verso la direzione che poi con Showcase, è stato chiarito in modo evidente. Non dimentichiamoci anche che sempre da Google è partita nei mesi scorsi un’altra iniziativa per il giornalismo. Stavolta a “favore” degli editori locali e iperlocali. Una operazione planetaria, anche questa a costi decisamente competitivi per il gigante californiano,  che in questo modo chiude il cerchio e completa l’acquisizione dei contenuti prodotti on e off line in giro per il pianeta dagli editori locali. L’ennesimo mattoncino  a favore del “motore di ricerca”?  Oppure l’ennesima iniziativa filantropica a beneficio dell’editoria e della libera circolazione delle informazioni?  A Voi la risposta.

Va certamente ricordato che Google, più di Facebook, ha ideato e poi realizzato molteplici iniziative a supporto  –  vero o presunto decidete Voi –  dell’editoria di informazione “globale”. A cominciare dalla campagna pluriannuale e multimiliardaria finanziata da tanti e tanti milioni di dollaroni che si chiamava Digital News Initiatives che ha debuttato in Europa nel 2015 con 150 milioni di euro.  Qui ce ne siamo occupati più e più volte. 

 

Un progetto durato tre, anzi quasi quattro anni e che  è stato trasformato nel più vasto e ancora meglio organizzato nuovo filone di ricerca “a favore” dell’editoria, denominato:  Google News Iniziative. Un progetto globale stavolta, diffuso e operativo ovunque nel mondo.

Questa la pagina ufficiale del “pluridecorato” progetto globale di Google ” a favore ” del giornalismo.

 

 

In conclusione, stiamo pensando che  le cose non stiano andando nel verso giusto. Non vorremmo ripeterci, ma un po’ di somme le avevamo già tirate,  e anticipate qualche riga più su, in questo stesso post. Non è in questo modo –  addomesticando il sistema – che si forniscono agli utenti gli strumenti  per  formarsi un’opinione in modo libero e autonomo.

 

 

Avete presente la “funzione d’uso del giornalismo”?

 

 

Non possiamo esimerci dall’essere molto scettici sull’ennesima iniziativa di Google a “favore” degli editori. Del resto abbiamo prove e documenti di vario tipo a supporto del nostro scetticismo. Ad esempio in un nostro precedente articolo. Roba di un anno fa. Eravamo già dentro la pandemia. Raccontando tre diversi fatti di cronaca,  avevamo già provato ad affrontare il problema, a modo nostro. 

 

Il tema a nostro avviso è questo: non esiste l’internet delle OTT, non esiste il digitale delle OTT.  La realtà quotidiana del nostro presente “digitale” – ossia tutto o quasi quello che facciamo – non corrisponde  a quello che ci vogliono far credere che sia le OTT.

Stare online, essere digitali, non significa usare gli strumenti delle OTT e le  loro piattaforme. Quelli sono i gironi a pagamento. I casinò senza slot e lustrini, ma ugualmente ammalianti. I palazzi con i tappeti e la mobilia di lusso. Dove si entra solo se si paga e molto profumatamente ogni nostro gesto, reazione, o parola. Posti in cui si deve obbedire ciecamente ad ogni regola dei padroni di casa, pena l’esclusione sempiterna da questi stessi luoghi. Non ci si salva, nemmeno se si è  il Presidente degli Stati Uniti d’America.

Quella non è la rete e non è la rivoluzione digitale. Quella è la riuscita speculazione di un gruppo di industriali di successo.

La rete e gli strumenti digitali sono e saranno sempre altro. Molto altro. Parliamo di progresso. Parliamo di miglioramento per tutti. Parliamo di bene comune. Un ponte verso la crescita e la prosperità per il genere umano.  Per tutti noi. Non un sistema di guadagno per pochi eletti.  Non un modello a senso unico di società.

Grazie dell’attenzione e a presto ;)

 

 

Buttare il bambino con l’acqua sporca

 

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