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Dipendenza da like

Come accaduto circa un anno fa a “fratello” google, nelle scorse ore pure la “consorteria” facebook ha subito un blocco totale, meglio conosciuto come guasto tecnico, in altre parole e come ben raccontato da Nicola Zamperini in un suo post del 4 ottobre da cui estrapoleremo fra breve un passaggio molto utile per comprendere il senso di questa problematica: 4 servizi  di proprietà di Mark Zuckerberg – facebook, whatsapp, instagram e messenger – hanno subito un blocco, uno stop, fra i peggiori della loro storia. Lo abbiamo detto noi stessi più volte e in particolare ne abbiamo parlato in modo esteso quando a dicembre dell’anno scorso ad andare “giù” furono i servizi del celeberrimo motore di ricerca di Mountain View:

 

 

 

“Quando un’azienda si trasforma in una infrastruttura e poi questa infrastruttura viene giù più o meno fragorosamente, trascinando con sé tutto il nostro mondo; le conversazioni, le lezioni, le sessioni di lavoro, le videochiamate, le mail, i documenti ancora non salvati, i nostri pensieri, i video, le nostre emozioni, i nostri scambi commerciali, i pagamenti, le bollette, le multe, persino le tasse. Quando tutto casca a terra e noi rimaniamo lì con il cerino in mano ad aspettare. Aspettare che torni la luce, e assieme alla luce anche il gas, e assieme al gas pure l’acqua, e assieme all’acqua anche la poltrona cui siamo seduti, il tavolo su cui poggiamo le stoviglie, la scrivania e i cassetti coi documenti e le lettere, e poi il pavimento e le mura della nostra casa, del nostro ufficio, della nostra scuola, e poi anche i nostri vestiti, tutti gli oggetti che abbiamo in tasca…

 

Quando succede questo – anche per un solo minuto – e non ci rimane altro che aspettare, e non abbiamo neanche una candela da accendere per non stare al buio; forse è il momento di pensare a noi, al nostro presente e agli scenari futuri che ci si prospettano. Non esistono vie di fuga da un google crash o google down”.

 

 

 

Lo dice molto bene nel suo post il collega e amico Nicola Zamperini: “utilizziamo senza pagare, più o meno, i servizi di un’azienda privata che non è titolare di alcuna concessione. Questo spazio l’ha occupato e noi gli abbiamo concesso di assumere tale rilevanza.     …  meta-nazioni digitali: parlare di aziende o piattaforme non esaurisce la portata politica e istituzionale di questi enormi conglomerati..

 

 

Ebbene, fermiamo le macchine. Qui ed ora. E torniamo indietro nel tempo, riprendiamo un articolo uscito su questo blog nove anni fa. Era il 2012, e il pezzo si intitolava: “Perché Facebook e Google fra 8 anni saranno ”completamente spariti”

Ci capita sovente di attingere dal nostro archivio per sottolineare quante volte e con quale lungimiranza si siano affrontati qui a bottega argomenti in anticipo sui tempi o fatti che poi sono divenuti di dominio pubblico e di uso comune. Ebbene non sempre le nostre previsioni o le anticipazioni che abbiamo attinto a considerazioni di altri analisti, si sono rivelate efficaci. E l’articolo su cui vorremmo concentrarci assieme a Voi oggi, lo dimostra in modo inequivocabile. Perché è così importante rivedere questa nostra previsione errata? Non siamo masochisti, ve lo assicuriamo, ma alcune considerazioni di quel pezzo rivedute dopo gli anni trascorsi e le reali evoluzioni che si sono verificate, possono – meglio potrebbero –  a nostro avviso aiutarci non poco a mettere nel giusto ordine l’approccio sociale che noi tutti teniamo nei confronti di quei colossi, meta nazioni digitali e pure techno corporation che rispondono al nome collettivo di OTT.

 

 

L’articolo da cui prendeva spunto la nostra riflessione era stato scritto da Eric Jackson su Forbes e lo trovate ancora online in forma integrale

Rispetto al momento in cui scriveva le riflessioni che ora andremo ad analizzare Jackson nel frattempo ha proseguito la sua carriera di investitore nelle nuove tecnologie e ora dirige una compagnia che ha sede in Canada e si chiama EMJ Capital e pare pure che gli affari vadano a gonfie vele, nonostante le sue previsioni del 2012 – bisogna dirlo –  non fossero proprio azzeccatissime.

 

 

 

Dopo l’ era del web 1.0 (quello di Netscape, Google o Amazon) e del web 2 .0 (Facebook, LinkedIn e Groupon) è venuta l’ era del Mobile (Instagram ad esempio).

 

Ogni generazione ha delle difficoltà ad adattarsi ai cambiamenti portati da quella successiva. Google si è imposto organizzando meglio il caos del web di quanto facessero i suoi concorrenti, ma affanna nell’adattarsi al nuovo modo di pensare che si è imposto con il web sociale. Quanto a Facebook, se ha vinto sul piano del web sociale, è probabile che incontri delle difficoltà nel doppiare il capo della nuova generazione.

 

Quello che caratterizza le imprese della nuova generazione è che esse considerano il mobile come il primo luogo (se non il luogo esclusivo) del loro sviluppo. Guardano a loro stesse come delle applicazioni non come dei siti web. Ora, secondo Jackson, ‘’non ci sarà un web 3.0 perché il web è morto’’. Peggio, le aziende delle prime due generazioni sembrano incapaci di adattarsi a questo nuovo paradigma. Così, Facebook perde soldi nel mobile, essendosi limitata a fornire delle versioni per iPhone e iPad del suo sito internet. Il suo modello economico è fon dato sul web (tra l’ altro con un calo di entrate fra l’ ultimo trimestre del 2011 e il primo del 2012), e Jackson non vede in atto nessuna strategia per guadagnare soldi sul mobile. Come può Facebook risolvere il problema del passaggio all’era del Mobile?

 

 

 

Mai previsione fu più sbagliata. Eppure, e nonostante la mancanza di visione  e lungimiranza contenuta in queste considerazioni, va notato come in esse siano contenute alcune verità, magari non relative a google e facebook, ma certamente corrette sul fronte del web e in particolare della filosofia di fondo che stava dietro alla creazione di tutta la ragnatela di contatti e collegamenti che avrebbe dovuto essere il web nella logica del suo ideatore principale: Tim Berners Lee. In effetti è venuta meno in modo clamoroso, negli ultimi dieci anni, la funzione primaria del word wide web, ma non a causa dell’inadeguatezza dei colossi delle OTT e in particolare proprio di facebook e google, bensì proprio a causa della loro “rapacità”, del loro unico scopo che è quello di avere il controllo totale del web e di conseguenza di tutti coloro che stanno dentro alla rete. Il controllo dei dati, delle nostre azioni, delle nostre pulsioni, fino ad arrivare a prevenire i nostri stessi comportamenti. Meta nazioni digitali – come dice da anni Nicola Zamperini –  dove non contano le leggi degli Stati sovrani, e dove, non hanno alcuna validità nemmeno le battaglie di civiltà millenarie su lavoro e diritti costate tanto sangue, dolore e lacrime a tutti noi. Come può facebook risolvere il problema del passaggio all’era del mobile chiede Jackson? E aggiunge:

 

 

 

 

Facebook dovrà assolutamente dividere i suoi servizi in applicazioni diverse: uno per i messaggi, uno per l’ attualità, un altro per le foto, ecc.

 

Questa frammentazione non potrà che avvenire a detrimento dell’essenza di Facebook. E la recente acquisizione di Instagram, azienda sintomatica della nuova generazione, mostra semplicemente la paura di FB di essere superata da un nuovo modello. E poi, considerando come Facebook ha frenato tanto nel suo cammino verso il mobile, Jackson predice che questi cambiamenti prenderanno troppo tempo…

i vari Google e  Facebook del domani non esistono ancora oggi. E allora un gran numero di aziende del web 1.0 e 2.0 saranno completamente sparite. Avrà fortuna chi saprà adattarsi e investire in questa terra incolta. Il futuro apparterrà a chi saprà  crearlo

 

 

Quello che per Jackson avrebbe dovuto essere un grave problema per facebook si è invece rivelato il giusto modo per affrontare la situazione in divenire e non solo rafforzarsi ma diventare in breve sempre più monopolio assoluto e monolitico nei rispettivi settori in cui proprio facebook, a partire da quell’anno lontano, ha differenziato la propria azione: Instagram, Whatsapp e Messanger. Un controllo e monopolio talmente potente e completo che poi quando a ottobre del 2021 questi canali si bloccano e diventano inaccessibili ci si ritrova, come spiega Nicola Zamperini:

 

 

Una disconnessione dallo spazio in cui si consuma la conversazione e la relazione. Immaginate quanto siano –  letteralmente – necessari questi servizi per miliardi di umani, e quanto straniante sia, il non potervi accedere. Straniante e in parte fastidioso, parzialmente doloroso. In fondo la consultazione di un social network poggia anche su meccanismi precisi di neuromarketing, i cosiddetti dopamine-driven feedback loop, e cioè i circuiti di feedback guidati dalla dopamina che si autoalimentano grazie al modo in cui il neurotrasmettitore lavora con il sistema di ricompensa del nostro cervello.

 

 

 

Ed  è  proprio dal nostro cervello che dobbiamo ripartire, con rinnovata spinta e volontà di libertà ed emancipazione. Come ci faceva notare  in un nostro appuntamento digit il Professor Mario Rasetti, fisico di fama mondiale a capo di una fondazione che studia l’intelligenza – artificiale e naturale – e  produce algoritmi predittivi per diversi utenti pubblici fra cui  – vale forse  la pena di ricordare – , visto il periodo particolare che il mondo sta vivendo: l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Rasetti nel corso del suo intervento a digitTorino nel 2018 ci ricordò, fra le altre cose, quanto è unico e irripetibile il cervello umano:

 

 

 

Nella mia funzione scientifica, nella mia ricerca io mi occupo di cervello, studio il cervello come sistema non come lo studiano i biologi,  io non so come è fatto un neurone però mi occupo di un oggetto che ha 90 miliardi di neuroni e centomila miliardi di sinapsi che sono degli interruttori molecolari che connettono i neuroni a questi fili attraverso i quali i segnali elettrici passano. I fili che sono lunghi 2 milioni di chilometri complessivamente.

Noi ci portiamo in testa un sistema di filamenti nervosi di 2 milioni di km che  sono sei volte il percorso fra la terra e la luna.  Allora questa macchina naturale, il cervello,  fa cose che nessun computer sa fare. 

E’ stato dimostrato che il cervello svolge funzioni di vario tipo,  gerarchizzate, in una scala di complessità sempre maggiore.  Le funzioni più basse sono la memoria,  la memoria associativa e così via.  Quando crescete ad un certo punto vi trovate l’estetica,  l’etica e l’autocoscienza che è la più complessa di tutti. Bene il cervello sa fare queste cose usando 20 watt di potenza. Oggi un computer che sapesse realizzare almeno le due funzioni più basse di  quelle che il cervello svolge –  con le logiche dei computer che abbiamo oggi cioè, macchina di Touring macchina di Von Neumann,  – avrebbe bisogno di venti terawatt di corrente, cioè 100 miliardi di volte in più di potenza. Questo vi fa capire la potenza incredibile del cervello. 

Io personalmente mi occupo di quella che si chiama la mappa semantica del cervello cioè con un gruppo di neuroscienziati dell’Università di  Berkeley  siamo riusciti a mappare  l’effetto di ogni singola parola sulla corteccia cerebrale.  Voglio darvi un numero,  sapete quanto è grande lo spazio delle possibili configurazioni che un cervello – parlando puramente del livello semantico che è molto banale molto semplice quella funzione per la quale il cervello attribuisce un nome, un’etichetta alle cose –  potrebbe occupare  con le sue strutture semantiche? 

E’ un numero che uno scienziato definisce 10 alla 700, ovvero  un numero di 700 cifre, cioè io dovrei ripetere la parola miliardi 80 volte,  dirvi miliardi di miliardi di miliardi 80 volte.  

Non ci sarà mai una macchina costruita dall’uomo in grado di fare questo. 

Quindi la partita è nelle nostre mani.  Certo,  se noi questo cervello lo mettiamo all’ammasso allora  non abbiamo speranze ma se lo facessimo funzionare in maniera sinergica e collettiva attraverso questa prodigiosa rete di connettività che la tecnologia ha creato,  allora non ci sarebbe nessuno che riesca a batterci. 

 

 

 

 

Altroché fine e morte di facebook e google, in 5/8 anni. Ma anche e soprattutto, fine e morte del libero arbitrio e della libertà personale per mano di queste compagnie.   Dopo quasi dieci anni,  loro – le techno corporation – ,  sono sempre più potenti,  ma noi  senza di essi,  – non facciamoci fregare – non è vero che non  saremo  in grado di sopravvivere. Si tratta soltanto – Rasetti docet –  di ricominciare a usare il cervello. Il nostro non quello di silicio.

Grazie dell’attenzione e alla prossima :)

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