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Stati e strati dell’informazione (appunti per non dimenticare) pt.1

Di seguito il resoconto per estratti – solo quelli che ci parevano particolarmente interessanti e significativi –  di tutti gli incontri degli Stati Generali dell’Informazione e dell’Editoria, voluti dal Governo giallo-verde nel 2019, convocati dall’allora sottosegretario all’informazione e all’editoria Vito Crimi, attuale reggente del Movimento 5 stelle, conclusi prematuramente, prima del loro naturale e previsto finale. Era infatti atteso un incontro risolutivo ad ottobre del 2019 al termine dei colloqui/incontri interlocutori svoltisi da marzo a luglio del 2019; tale incontro, a causa della caduta agostana del Governo, non ha mai avuto luogo. L’incontro già convocato a Torino per ottobre dello scorso anno, non si è mai tenuto, e di conseguenza questi Stati Generali non hanno raggiunto il loro scopo, non hanno trovato la loro naturale fine. Un’occasione davvero importante e utile, rischia così di andare sprecata. Un’occasione unica nel suo genere in tutta la storia dell’editoria e dell’informazione italiana, in cui per la prima volta, tutti gli attori della filiera industriale della produzione delle notizie si sono incontrati e confrontati, rischia di essere dimenticata, cancellata, di finire nell’oblio. Tutti gli spunti emersi. Tutte le istanze portate a conoscenza del mondo, non arriveranno probabilmente mai sui tavoli delle persone/istituzioni/enti deputati all’esame e alla discussione delle medesime. Il nuovo Governo è già al lavoro sul tema (?) Nuove commissioni, nuove collaborazioni, persino nuovi ministeri si sono nel frattempo insediati. E la crisi non esiste più. No non è vero! Esiste e morde forte, sempre di più, ma non pare essere poi così importante. Non più così tanto. E’ davvero un peccato a nostro avviso che tutto questo grande lavoro vada perduto. Soprattutto perché nel frattempo – anche se lo stesso mondo dell’informazione pare occuparsene di meno –  le cose non sono certe migliorate per l’editoria italiana, e i numeri – vedi ultima certificazione Ads  – sono lì a dimostrare che l’editoria vecchio stile, quella della vendita dei giornali nelle edicole, è, purtroppo, sempre più in crisi. E allora eccoci qui, ancora una volta, a provare a discutere con Voi, quegli spunti. Quelle riflessioni emerse durante gli incontri. A rilanciare quelle istanze. E magari qualcuno provvederà, chissà…

 

Clay Shirky:

 

La società non ha bisogno di giornali. Ciò di cui abbiamo bisogno è il giornalismo

Per i prossimi decenni, il giornalismo sarà costituito da casi speciali sovrapposti. Molti di questi modelli faranno affidamento sui dilettanti come ricercatori e scrittori. Molti di questi modelli si baseranno su sponsorizzazioni o sovvenzioni o donazioni invece di ricavi. Molti di questi modelli si baseranno su bambini eccitabili di 14 anni che distribuiscono i risultati. Molti di questi modelli falliranno. Nessuno esperimento sostituirà ciò che stiamo perdendo con la scomparsa delle notizie sulla carta, ma nel tempo, la raccolta di nuovi esperimenti che funzionano potrebbe darci il giornalismo di cui abbiamo bisogno.

 

Partiamo da qui, dalle riflessioni di 11 anni fa, di un giornalista esperto in questioni di giornalismo, che in epoca non sospetta diceva una serie di cose che sono ancora – tristemente – attuali,  e non del tutto risolte –  almeno da Noi – nemmeno oggi. Buona lettura.

Quali sfide per le agenzie di informazione

 

Andrea Morelli   Docente di Giornalismo di Agenzia al Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Aggiornamento in Giornalismo Radiotelevisivo

 

Il primo principio dal quale bisogna partire: la libertà è l’elemento fondante della democrazia. Per essere liberi occorre essere informati. Per essere informati occorre avere dati e informazioni certe, verificate, verificabili.

 

Un’informazione di base, un’informazione accessibile a tutti ma certa, è sicuramente un bene pubblico e ha un costo.  Quel genere di costo è un costo pubblico. E’ un costo in termini di investimento nel capitale sociale, nel capitale umano. E’ un costo di investimento nella democrazia.

 

L’avvento del web ha spostato e cambiato completamente il perimetro entro il quale ci muoviamo. Ci stiamo avvicinando a quello che nel ‘95 Negroponte definì il daily me, ovvero un giornale fatto su misura per le esigenze della persona che cerca solo alcune cose, le vuole in qualunque momento e attraverso il maggior numero di strumenti.

 

Lo scrittore americano Franzen in una intervista, sul Corriere della Sera, ha decretato la fine del cittadino che cerca informazioni cancellato dal consumatore che cerca conferme. 

 

Esistono spazi, e in questo caso cito il capitano della parte avversa: il nobel per l’economia Richard Thaler, il teorico della spinta gentile, che  sostiene che lasciare al cittadino la libertà di cambiare la propria opinione in relazione all’accuratezza delle notizie ricevute dai media, è un valore sociale importante da preservare e difendere.

 

La popolazione italiana non possiede le competenze di base necessarie per prosperare in un mondo digitale: sia in società, sia sul posto di lavoro. Solo il 36 per cento delle persone è in grado di utilizzare internet in maniera complessa e diversificata, e quindi di esercitare un sufficiente lavoro critico sul materiale che intercetta in rete.

 

Noi siamo per: bisognerebbe subito pensare tutti insieme al bersaglio grosso (un riassetto sistemico del comparto dell’informazione), invece di perdere energie e risorse dietro ai mille rivoli di cui è composto il mondo del giornalismo. 

 

 

 

Il futuro delle edicole Le edicole del futuro

 

Veronica (trentenne edicolante sarda)

 

Quello che secondo me manca all’edicola e che dovrebbe diventare un punto di ascolto per le persone. Le edicole non sono solo un negozio, ma anche un punto di incontro.

 

Dario De Vito Franceschi Snag

 

Ridurre il numero di titoli in edicola. ll fatturato dell’edicola cresce, riducendo i titoli, del 48%.  e passa da -8% a +1,9%. Il che vuol dire che è importante consentire all’edicolante di fare impresa, di decidere lui,  entro certi limiti, cosa vendere.

 

Giuseppe Marchica Sinagi Cgil

 

Nel 2005 c’erano 43 mila edicole,  nei 15 anni successivi hanno aperto circa 5000 nuovi punti vendita all’interno di supermercati, tabaccherie di bar. Nel 2018, l’anno scorso, i punti vendita esistenti erano circa 27 mila,  nel maggio del 2019 siamo al di sotto delle 26 mila edicole. Significa che nei 15 anni che vanno dal 2004 al 2019 hanno chiuso 22 mila punti vendita, più di metà delle edicole che c’erano 10 anni fa.

 

Definire un equo compenso anche per la vendita di giornali e riviste.

 

Umberto Frascerra Founder & Ceo Blue Lime, Board Member Mepe S.p.a.

 

Anche internet campa con i soldi dell’editore, perché è lì che  prende le informazioni.

 

Noi siamo per: avviare la conversione dei negozi di giornali in veri e propri hub culturali. Non solo edicole,  ma punti di riferimento per le persone, per i cittadini, per tutti noi, in aree del Paese in cui per mille motivi la presenza Pubblica è meno evidente, meno efficiente, meno concreta; luoghi per lo spirito e l’anima, non solo per fare acquisti, e dove si possa passare il tempo e incontrare altre persone. 

 

Nuove categorie professionali 1

 

Cristina Pantaleoni Presidente di GVpress Associazione italiana dei giornalisti-Videomaker

 

L’ultimo scopo della nostra associazione è quello di avere un allegato al contratto nazionale giornalistico che fissi delle tariffe per un prodotto giornalistico video che attualmente non esiste.

 

Francesco Di Costanzo Presidente di PA Social

 

Il riconoscimento delle nuove professioni non è più rimandabile. A  volte sento dire: chiudiamo l’ordine dei giornalisti. Io dico: più che chiuderlo, apriamolo davvero. Apriamolo a tutte queste professionalità, ovviamente con percorsi chiari.

 

Pier Donato Vercellone ex presidente Ferpi

 

Le imprese sono gli organismi che in un certo modo sono diventate i principali ricettori di fiducia o diffusori di fiducia, per cittadini e consumatori. Le aziende stanno diventando delle media company. Significa che le aziende sono effettivamente dei divulgatori di informazione.

 

Il reputation institute,  ha evidenziato che nella costruzione della reputazione i cittadini non hanno più come riferimento  la pubblicità. A ispirare i comportamenti delle persone sono invece gli home media. I cittadini credono molto ai siti web delle aziende

 

Roberto Piccinini Airf

 

I fotografi,  videomaker, sono i giornalisti moderni, quelli che vanno sulla notizia e la portano dappertutto.

 

 

Nuove categorie professionali 2

 

On. Paolo Lattanzio – Commissione cultura della Camera

 

Tornare a quello che è un sano percorso di educazione ai media, che significa portare i più giovani ( e non soltanto, aggiungiamo noi) ad una lettura critica dei messaggi (notizie/dati/documenti) e di come questi vengono costruiti 

 

Rita Palumbo segretario generale Ferpi

 

Noi siamo comunicatori intermediari di interessi di parte mentre i giornalisti invece hanno una funzione pubblica

Due professioni diverse, con obiettivi di scopo diversi, che usano gli stessi canali e che sono soggette ad una modifica dei loro modelli di produzione di contenuti.

La Regione Lombardia ha approvato il riconoscimento di figure professionali come:  il social media manager, l’executive Seo e l’executive Sem

 

Andrea Cornelli vice presidente di UNA aziende di comunicazione unite

 

Nel mondo privato la differenza tra un giornalista e un comunicatore non solo è evidente ma  è impossibile per un giornalista lavorare in un’agenzia di comunicazione senza smettere di fare il giornalista. Sarebbe un cortocircuito pericolosissimo se un giornalista venisse pagato da un brand per vendere informazione obiettiva dietro lauto compenso.

Se faccio il comunicatore posso fare pubblicità, oppure faccio relazioni con il pubblico, oppure faccio il blogger o altro

 

 

 

Noi siamo per: La commistione fra comunicazione e informazione, è e rimane uno dei problemi principali del mondo dell’editoria. E far finta che con l’avvento delle “nuove” professioni digitali, questa problematica  sia diversa, o per qualche motivo direttamente legata all’arrivo del digitale, è solo un modo per confondere ancora di più acque già molto agitate. 

Il percorso di assimilazione, di comprensione, di inclusione delle nuove professioni nella filiera dell’editoria e più in largo, permetteteci, della comunicazione. E’ necessario e non rimandabile – siamo già in grave ritardo –  ma va lavorato di fino. Con grande acume, con l’ausilio di esperti di grande lignaggio, avviando da subito un percorso culturale di riforma che tocchi il mondo scolastico in modo paritetico a quello della formazione professionale, ma che non escluda il resto della società. Tutti noi, che non siamo più in età scolastica, e non abbiamo alcun bisogno di convertirci professionalmente, ma che abbiamo invece un disperato e irrinunciabile bisogno di avviare la nostra conversione finalmente “cosciente” e partecipata al mondo digitale.

 

 

to be continued ./.

 

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