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Le tre T della salute

Perdonate l’intrusione, peraltro voluta e consapevole, in temi che forse non attengono propriamente al nostro mandato. Ma se avrete pazienza e “coraggio”, e arriverete in fondo a questa disquisizione, Vi accorgerete che in realtà l’argomento affrontato non è poi così lontano da quelli che discutiamo qui a bottega ogni settimana. Le tre T della salute sono: Temperatura, Tracciamento e Tamponi. Maiuscole per capirci meglio, non per manie di grandezza. Ebbene a circa una settimana – poco più o poco meno – a seconda di quando leggerete questa nostra;  dall’inizio della “fase due”,  i tre passaggi fondamentali,  attraverso i quali  – secondo gli esperti di ogni credo, religione e provenienza di tutto il mondo – dovrebbe realizzarsi l’atteso e auspicato, allentamento dei cordoni della reclusione “involontaria”, ma massiccia,  in casa; non si stanno realizzando. Nessuno sta mettendo in atto queste pratiche, così lungamente propagandate, e ampiamente pubblicizzate, a destra e pure a manca. Come mai? Cosa manca – perdonate l’orrendo gioco di parole –  per metter mano a  questa,  indubbiamente  utile e,  aggiungeremo, improcrastinabile, strategia operativa,  che ci permetterà – in assenza, per ora,  di una cura –  di ritornare a vivere una vita decente,  anche se dentro un mondo,  ancora fortemente a rischio “di contagio” da Covid19?  Ai soliti posteri la sentenza. Dal canto nostro vorremmo provare a comunicare nel miglior modo possibile, cosa significherebbe, mettere in atto questa strategia. Ad esempio per il turismo. Fondamentale entrata per le esauste casse del nostro Paese, così duramente provato fino a questo momento dalla diffusione del contagio. Prendiamo ad esempio un posto noto a tutti nel mondo,  una piazza emblematica, un luogo in cui ognuno di noi vorrebbe essere stato almeno una volta nella vita: Piazza San Marco a Venezia. Pensate a che tipo di impatto potrebbe avere sul buon nome del nostro Paese e sul rilancio del turismo, se questa piazza fosse improvvisamente e inopinatamente di nuovo:  “in sicurezza anche ai tempi dell’epidemia”.  Realizzare un esperimento di questo tipo, sarebbe una sorta di cartina al tornasole di come potrà essere possibile tornare a praticare visite e viaggi sostenibili, nonostante le misure di distanziamento sociale,   e tutte le altre pratiche,  con cui dovremmo imparare a convivere,  per lungo tempo. E come fare ad aprire, anche prestissimo, piazza San Marco, nonostante le ristrettezze attuali? Beh, potrebbe non essere così difficile.   Se mettessimo  in pratica la regola delle tre T della salute. Pensateci. Se fossimo in grado di misurare in modo massiccio ma nello stesso tempo puntuale e accurato,  la temperatura di tutte le persone che entrano e sostano sulla piazza,  e se dopo aver effettuato tale monitoraggio,  fossimo poi in grado di segnalare alle persone con temperatura superiore alla norma il loro stato,  e dialogare con i singoli decidendo assieme a ciascuno,  come procedere,  e,  ad esempio,  indirizzarle verso alcuni punti della piazza attrezzati alla bisogna,  per eseguire i tamponi su ciascuno dei febbricitanti?  In modo da avviare immediatamente un protocollo condiviso e trasparente, in cui lo Stato, si fa carico della salute di ciascuno dei “non regolari” e intraprendere assieme a loro un percorso di diagnosi per  comprendere il motivo concreto dell’alterazione,  garantendo a ciascuno il benessere  per sè e per gli altri?

 

 

 

Utopia o realtà plausibile? Ai tecnici la risposta. Ma permetteteci di andare oltre, prospettando scenari – forse non concretamente realizzabili subito – ma certamente sensati e che tengono conto del presente e del possibile futuro e non evocano un bengodi a cui tornare. Non esiste alcuna epoca d’oro che ci è stata sottratta, più o meno improvvisamente, dall’epidemia. Non c’è una meta verso cui ritornare. Non potrà mai esserci, nemmeno quando avremo finalmente il vaccino che ci proteggerà dal contagio. Dobbiamo ripartire dall’assunzione di responsabilità dell’avvenuto cambiamento. Dobbiamo farci carico del passaggio compiuto, del nuovo modo di comportarci, agire, lavorare, e poi alla fine “vivere”, in un mondo forzatamente diverso da quello preesistente. Un passaggio, forzato,  ma fortemente assimilabile e sicuramente associabile a quello avvenuto già da decenni,  e ancora non completamente compreso, dal mondo analogico a quello digitale. Costretti a cambiare e costretti ad essere digitali, nostro malgrado. Un passaggio che si realizza distribuendo a ciascuno di noi massicce dosi di cultura e formazione, non gadget tecnologici.

 

 

 

Secondo un sondaggio recentemente realizzato dall’agenzia di marketing internazionale Euromonitor, segnalato  su Disobbedienze da Nicola Zamperini, su come le persone nel mondo, immaginino il dopo “Covid 19”.  La  questione preminente per la maggior parte delle persone interpellate, riguarderebbe la privacy.  L’evoluzione della gestione dei “nostri dati”, dentro al mondo digitale, e nella società post pandemia,  secondo la percezione più diffusa fra le persone, vedrebbe fortemente ridotti i nostri diritti,  in questo senso.

 

 

 

Indubbiamente la questione della privacy e dei diritti è centrale. Come vedremo continuando nell’ipotetica azione di applicare “il modello  tre T della salute” su altri ipotetici soggetti inseriti nella “fase due”. Soggetti in riapertura e che potrebbero essere monitorati “usando” lo stesso meccanismo da noi  “ipotizzato” per la magnifica piazza di  Venezia. Pensiamo ai ristoranti, ai cinema e ai teatri, ai bar, alle sedi congressuali. Pensiamo a come, un espediente  di questo tipo, potrebbe essere d’aiuto dentro ad una fabbrica, in una stazione o dentro un aeroporto. Ipotizziamo un sistema similare  da adottare ai caselli autostradali – senza nemmeno far ridurre la velocità, se non di poco,  – alle auto in transito; del resto i telepass non svolgono un lavoro simile  per riscuotere il denaro? Si potrebbero realizzare  dei telepass per la salute! Mettendo   in condizione il personale o i robot ai caselli di effettuare, insieme alla riscossione del pedaggio o alla distribuzione dei titoli di viaggio,  anche il monitoraggio della temperatura delle persone, direttamente dentro le auto in transito. E magari, sempre per ipotesi,  pensiamo a come questo tipo di monitoraggio,  potrebbe poi divenire più dettagliato,  attraverso la collaborazione attiva e volontaria,  delle singole persone, dei cittadini, attraverso l’uso di APP specifiche – del tipo “immuni” per capirsi – , installate sul proprio dispositivo digitale.

 

 

 

Ma a proposito di privacy e delle percezioni manifestate dalle persone protagoniste del sondaggio di Euromonitor segnalato poc’anzi, siamo davvero cosciente di cosa perdiamo, o perderemmo? E queste presunte violazioni, stanno avvenendo ora, oppure fanno parte di comportamenti da tempo messi in atto,  e spesso a nostra insaputa,  da soggetti terzi.  Ricordate,  ad esempio,  cosa è successo, non più tardi di un annetto fa, agli utenti di Facebook? Poco dopo lo scandalo denominato “Cambridge analytica”, i dirigenti di Menlo Park apportarono grandi modifiche al contratto di adesione al social,  inserendo, fra le altre cosette, anche  la clausola del riconoscimento facciale. Ovvero la richiesta ai propri utenti –  quasi 3 mld nel mondo –  di concedere a Facebook di poter monitorare e riconoscere, ognuno dei propri associati attraverso le telecamere, fotocamere, sorverglia-camere, occhi elettronici pubblici o privati che nel mondo ci guardano e a cui – per motivi non proprio semplici da capire –  Facebook, e non l’Onu –  ad esempio –  ha accesso. Questa la clausola inserita nel contratto:

 

 

 

“Attiva il riconoscimento facciale se desideri usare questa tecnologia. Se attivi questa impostazione, useremo la tecnologia di riconoscimento facciale  per capire quando potresti essere presente nelle foto, nei video e nella fotocamera per proteggerti dagli sconosciuti che usano le tue foto, trovare le foto in cui sei presente ma non ti hanno taggato, comunicare alle persone con disabilità visive chi è presente nella foto o nel video  e suggerire alle persone chi potrebbero voler taggare”.

 

 

 

 

E che dire dei body-scanner che per motivi di sicurezza sono già operativi da tempo in numerosi aeroporti del mondo?   Anche quelli hanno e causano, gravi problemi di privacy; ma sono indispensabili per la sicurezza contro il “terrorismo”. E come per le questioni inerenti la nostra salute, è  davvero difficile non essere d’accordo con l’introduzione e l’uso di questi strumenti.  E’ evidente che le questioni etiche e quelle della sicurezza e oggi anche quelle della salute, spesso entrano in conflitto con la privacy di ciascuno di noi.  Non vogliamo ridimensionare ne sminuire il problema. Ne abbiamo parlato molte volte.

 

Ma come spesso ci è capitato di dire. In un mondo che va verso l’automazione sempre più totale. Dove le macchine parlano fra loro e dove tutti gli oggetti fra breve saranno in grado di segnalare la loro ma anche la nostra presenza in un determinato luogo; non è scrivendo leggi o vergando nuovi regolamenti,  che risolveremo le nostre esigenze di privacy.  Quello che sarà sempre più importante acquisire per ciascuno di noi,  saranno le competenze, e le conoscenze del nostro agire digitale in consapevolezza. Così come si presuppone che ognuno conosca le regole di base del proprio vivere civile nel mondo analogico/fisico. Nello stesso modo, tutti noi,  dovremmo sapere a mena dito, come ci si comporta dentro al mondo digitale.  Una conoscenza e una competenza che significherà – quando l’avremo – essere in grado, e per davvero, di risolvere digitalmente un compito e non di doversi affidare a qualcun altro per portarlo a termine, come avviene ancora,  e sempre,  oggi, nonostante la cosiddetta “semplificazione digitale”.  E, fateci caso, spessissimo,  a risolverci il problema, arrivano gli ausili, i servizi, le consulenze “gratuite”  delle big-tech, o meta-nazioni-digitali, come qualcuno definisce le Ott. Ausili e sussidi che paghiamo e profumatamente, proprio in termini di privacy. Non violazioni, bensì autorizzazioni che forniamo noi stessi: a censirci, a scrutarci, ad osservarci, a profilarci. In altri termini ad usarci.

 

 

 

Non Vi sarà sfuggita, immaginiamo, la notizia degli ultimi giorni, proveniente dal reame di Menlo Park e che racconta della costituzione di una Corte Suprema – o forse sarà una Suprema Corte? – dentro a Facebook, che deciderà “in modo supremo, appunto, e indipendente”, su alcune questioni –  cosucce, pinzillacchere (direbbe il Principe) – che accadono dentro al social.

 

 

Come dire:  siamo una meta-nazione formata da quasi 3 mld di persone nel mondo, e dunque abbiamo – ovviamente –  bisogno di mettere a punto un nostro apparato di controllo che legittimi i nostri comportamenti. Siccome però, non possiamo, al momento, abbandonare il nostro modello di business –  non siamo autosufficienti per ora –  dobbiamo dunque sottostare, almeno apparentemente e per ora, alle leggi in vigore nel mondo, fuori da Qui. Per questo motivo abbiamo creato questa consulta di “grandi”: premi nobel, statisti, politici, intellettuali. Un altissimo consesso che legifererà sulle nostre questioni interne, che riguardano,  non poco, anzi soprattutto,  anche l’esterno.  Un organismo sovrano – ??? – che ci darà grande e ulteriore visibilità, ma soprattutto,  darà legittimità –  sovranazionale – alle nostre decisioni.  Grazie alle “loro”, sentenze, diventeremo, ancora più democratici e faremo del mondo un posto migliore. 

 

 

L’ultimo corsivo,  è,   ovviamente, una nostra libera interpretazione dei fatti. Ma come dice un vecchio detto toscano: “meglio avè paura che buscarne”.

 

 

 

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