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Senza contraddittorio sono bravi tutti

E non parliamo di par condicio, soprattutto della par condicio all’italiana che in epoca post rivoluzione digitale non significa praticamente più nulla, ahimè, dentro all’agone mediatico divenuto digitalmente “il mondo intero”. Ci riferiamo a chi discute magari in pubblico di cose da se medesimo prodotte o peggio di cose che non produce nemmeno in proprio ma che in proprio vende e sulle quali guadagna. Cominciamo col dire a scanso di equivoci cosa  significa  nella lingua italiana il termine contraddittorio:

 

secondo Il vocabolario Sabatini Colletti

 

 

Quindi se manca un contraddittorio quando si argomentano le proprie tesi le possibilità sono due:  o si è universalmente conosciuti come il più bravo o uno dei più valenti esperti  in quello specifico campo dello scibile;  oppure si pontifica magari anche a  “vanvera” senza alcuna possibilità di essere smentiti. E in questo caso forse il servizio offerto da chi pontifica potrebbe anche non essere il migliore. A chi o cosa ci riferiamo nella specifica? Vogliamo fare nomi e cognomi? Ci riferiamo ad una delle o ad uno degli, ancora non si è giunti ad una interpretazione univoca sul genere, delle cosiddette (noi le consideriamo femminili) OTT, Over the Top o come le definisce Nicola Zamperini techno-corporation. Si tratta di Facebook. Ed  eccoVi il testo di due, e dico due, lanci ansa di qualche giorno fa:

 

 

(ANSA) – PERUGIA, 3 APR – Facebook e i social network tra i protagonisti della prima giornata del Festival internazionale di giornalismo cominciato a Perugia. Dove proseguirà fino a domenica.
    “Come i giornalisti possono costruire comunità informate su Facebook” è stato infatti il tema al centro dell’incontro con Livia Iacolare, head of media partnerships Facebook Italy. Il giornalismo e l’editoria di oggi – è stato detto tra l’altro – non possono ormai fare a meno dei social network e in particolare di Fb
(ANSA) – PERUGIA, 3 APR – Il giornalismo e l’editoria di oggi non possono ormai fare a meno dei social network e in particolare di Facebook. Ma come adoperarli al meglio? E proprio con l’obiettivo di capire come l’utilizzo di prodotti Fb può aiutare i professionisti dell’informazione a trovare contenuti, sviluppare un pubblico e rafforzare lo storytelling, attraverso la costruzione e il coinvolgimento di community, si è tenuto un workshop che ha aperto a Perugia la 13/a edizione del Festival internazionale del giornalismo.Se ne è parlato alla Sala Raffaello dell’Hotel Brufani, dove Livia Iacolare, head of media partnerships Facebook Italy, è stata protagonista dell’incontro dal titolo “Come i giornalisti possono costruire comunità informate su Facebook”. Missione del social, ha ricordato, è di “rendere il mondo più unito”, con l’obiettivo di “creare relazioni profonde e interazioni sociali, chiavi necessarie per farsi conoscere da più persone”. Le nuove tecnologie, quindi, sono viste anche al servizio di chi fa informazione, per puntare ad un giornalismo di qualità che eviti errori quando si utilizzano questi canali per diffondere notizie. Da seguire, per avere successo, ci sono però dei principi. Ed allora cosa devono fare giornalisti ed editori su Facebook partendo dal presupposto che gli utenti “preferiscono contenuti autentici e accurati”? Tra le principali regole Iacolare ha ricordato: promuovere interazioni rilevanti; concentrarsi sul pubblico; non fare uso dell’engagement bait (usanza di chiedere alle persone di condividere o di commentare specifici contenuti); ridurre la diffusione di contenuti problematici; arginare la disinformazione e rispettare le regole della community (una sorta di “dieci comandamenti” di Facebook, con contenuti rimossi dalla piattaforma quando non rispondono a questi principi); definire aspettative adeguate ai propri contenuti e incoraggiare un coinvolgimento e interazioni autentiche; creare un’esperienza di lettura adeguata per il proprio pubblico. “Il tempo trascorso su Facebook – ha sostenuto Iacolare – deve quindi promuovere interazioni rilevanti e avvicinare le persone alle notizie più utili e importanti per loro”. In merito alle notizie di qualità, Iacolare ha poi ricordato che Facebook si fonda su tre principi: “Dà valore ad editori di cui la community dice di fidarsi, che forniscono contenuti utili e ricchi di informazioni e mostra sempre più contenuti di città in cui si trovano le persone, dando spazio ad editori locali”.(ANSA).
Se vi interessano ulteriori approfondimenti della notizia immagino troverete con facilità il video integrale dell’incontro online. Noi dal canto nostro vorremmo cercare di capire come sia possibile essere arrivati a questo paradosso. Ovvero che un dirigente di un’azienda spieghi ai giornalisti come fare il proprio lavoro dentro a Facebook. A Voi non sembra  un paradosso? Proviamo a capirci meglio. Facebook non è un servizio pubblico bensì un’azienda che grazie alle tonnellate di byte di dati che ogni secondo riceve gratuitamente da noi tutti – le nostre storie – guadagna milioni di dollari al giorno, e noi no, nemmeno un soldino, ma per il momento “noi” mettiamoci in stand by. Nemmeno gli editori di giornali, quelli che pagano gli stipendi ai giornalisti che vengono istruiti dalla dirigente di Facebook su come fare meglio il proprio lavoro dentro il social network di Menlo Park, guadagnano a sufficienza pubblicando dentro Facebook le proprie notizie. Eppure succedono cose come quelle raccontate in questi due lanci dell’agenzia. E allora capire diventa davvero difficile, anche per gli addetti ai lavori, figuriamoci per i giornalisti.
Facciamo un esempio per cercare di aggiungere informazioni che speriamo ci possano aiutare. Pensiamo a Facebook come ad un’azienda privata che produce qualcosa. Quindi paragoniamo Facebook alla Fiat. Prendiamo un dirigente della Fiat e mettiamolo ad arringare una manipolo di persone super selezionate e competenti –  in questo caso non potranno essere giornalisti –  diciamo ambientalisti? Potrebbe andare bene, forse. Allora facciamo che questi ambientalisti  vengano arringati da un alto dirigente della Fiat che li vuole convincere a diventare venditori di automobili per la Fiat invece di  scendere in piazza e protestare contro le automobili in difesa dell’ambiente, convincendoli magari che vendere automobili Fiat sia la vera panacea per i problemi ambientali. Più automobili circoleranno, però solo automobili Fiat, mi raccomando, e meno l’aria sarà inquinata. Come vi sembra come paragone? Regge?
Questo è quello che i due take d’agenzia raccontano, a nostro avviso. Del resto quando il sotto segretario  Crimi apre gli Stati Generali dell’Informazione qualche giorno fa e chiede alle stesse OTT di sedersi al tavolo delle trattative con i rappresentanti del giornalismo e dell’editoria non commette forse lo stesso errore? Intendiamoci qui a bottega noi non nutriamo nessuna avversione precostituita nei confronti delle OTT, tutt’altro, solo che è difficile mettere insieme i cavoli con le pere, come direbbero i nostri vecchi, non trovate? In particolare – e più o meno da sempre –  i vertici di Google e Facebook,  si sono chiamati fuori dai giochi editoriali, dando del proprio operato definizioni di moltissimi tipi,   ma che escludono categoricamente la possibilità che i due colossi della Silicon Valley possano essere anche editori. Magari distributori, magari piattaforme, magari venditori, ma non editori.
Difficile per alcune OTT sostenere di non essere editori, forse, visto il tipo di attività svolta in concreto da Google e Facebook, ad esempio? Una posizione però che le due compagnie hanno sempre sostenuto.  Del resto è anche successo, e purtroppo succede ancora, che addirittura i governi di alcuni paesi del mondo abbiano chiesto, anzi preteso a gran voce, che proprio Google e Facebook, si attivassero per limitare la circolazione di fake news online. Dunque  per quale motivo dovremmo stupirci se i dirigenti di Facebook poi vengono inviati  ad insegnare ai giornalisti come fare il loro mestiere dentro il social medesimo? Secondo noi però quei corsi lì difficilmente potranno erogare crediti formativi ai giornalisti!

Battute a parte e in attesa di un qualche pronunciamento ufficiale dai rappresentanti del governo o delle istituzioni, magari anche solo quelle giornalistiche, noi vorremmo proporvi un paio di passaggi interessanti estratti da altrettanti libercoli che presto vi racconteremo in modo dettagliato su queste stesse colonne e che spiegano in modo – a nostro avviso –  adeguato,   il fenomeno dentro cui si inserisce piuttosto bene l’episodio che abbiamo testè provato a raccontarVi.

Già oggi i computer hanno reso il sistema finanziario così complesso che pochi esseri umani sono in grado di comprenderlo. Quando le abilità dell’intelligenza artificiale saranno perfezionate, potremmo presto arrivare ad un punto in cui nessun essere umano sarà più in grado di capire nulla di finanza. Quali ripercussioni avrà una situazione del genere sul processo politico? Riuscite a immaginare un governo attendere umilmente che un algoritmo approvi il suo budget o una nuova riforma sulle tasse? Nel frattempo reti peer-to-peer di blockchain e criptovalute come il bitcoin potrebbero rifondare dalle basi il sistema monetario, per cui sarebbero inevitabili riforme radicali dei sistemi fiscali. Per esempio potrebbe diventare impossibile o irrilevante tassare i dollari poiché i flussi principali delle transazioni non riguarderanno un vero e proprio scambio tra valute nazionali , e neppure una valuta vera e propria. Inoltre i governi potrebbero aver bisogno di inventare tasse del tutto nuove – forse una tassa sull’informazione (che sarà il bene più prezioso in economia, sia l’unica cosa effettivamente scambiata in numerose transazioni).

21 lezioni per il XXI secolo Yuval Noah Harari

 

 

Se in occasione di un concerto all’aperto vi sentiste dire che non potete sedervi nelle prime dieci file , potreste giudicare la cosa irragionevole. Ma se vi spiegassero che le prime dieci file sono state riservate a persone in carrozzella, sarebbe diverso. La trasparenza è importante. Eppure molte aziende fanno l’impossibile per tenere nascosti i risultati dei loro modelli o persino la loro stessa esistenza. Una giustificazione comune è che l’algoritmo rappresenta “l’ingrediente segreto” fondamentale per il loro business. E’ proprietà intellettuale e, all’occorrenza, viene difeso da legioni di avvocati e lobbisti. Nel caso di colossi del web come Google, Amazon e Facebook, questi raffinatissimi algoritmi elaborati su misura valgono, da soli, centinaia di migliaia di dollari. Per loro stessa natura, le Armi di distruzione matematica sono scatole nere imperscrutabili. 

Armi di distruzione matematica Cathy O’Neil

 

Attenzione: torniamo un istante al vocabolario  Sabatini Colletti da cui abbiamo preso la definizione di “contraddittorio” e indossiamo per un attimo i panni da giornalisti – quelli che ci stanno meglio, suvvia ammettiamolo – e scopriamo che l’editore è :

1) Imprenditore o società che pubblica libri, giornali, dischi, cassette e similari

2) Un notiziario

Che cosa sono dunque Facebook e Google se non imprenditori che pubblicano e curano l’edizione quotidiana del giornale per una massa enorme di lettori, (oltre 2 miliardi di persone) , cioè gli iscritti alle loro piattaforme? Un giornale certo molto particolare, poiché fortemente caratterizzato e personalizzato; un giornale irresistibile per chi lo distribuisce e per chi lo legge; un giornale che qualsiasi altro editore sul mercato vorrebbe poter essere in grado di fare. O no? Un giornale che, però, ha quel vizietto di essere pubblicato e curato per mezzo di una serie di  meccanismi e automatismi che fanno rima con algoritmo, intelligenza artificiale e machine learning. E chi ci segue sa quanto siamo interessati a tutti questi argomenti.

 

 

Concludendo cari amici delle OTT perché non venite a spiegare le vostre argomentazioni ai dibattiti pubblici cui siete invitati? Che problema potrà mai esserci nel potersi confrontare in modo aperto e schietto con un pubblico e accanto a relatori di estrazione e provenienza  diversa dai Vostri stessi dirigenti? Nella nostra piccola esperienza di organizzatori di eventi pubblici in effetti abbiamo sempre avuto molta difficoltà a metterci in contatto con i Vostri rappresentanti e in quelle rare occasioni in cui siamo riusciti a stabilire un contatto con qualcuno è  poi sempre arrivata una qualche “causa di forza maggiore” che  ha tenuto costoro lontano dal dibattito. Casualità certo, però se poi proprio il concetto di trasparenza – così tanto alimentato dai Vostri stessi rappresentanti in queste presentazioni unilaterali che realizzate qua e là –  è poi così lontano dal vostro operato sul campo,  come la mettiamo?

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