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Se il tuo capo è una app

 

Oggi torniamo ad occuparci di gig economy. Si è preso l’onere di aggiungere dati, suggestioni e valore alla questione il nostro associato e studioso di giornalismo e mondi digitali: Marco Dal Pozzo. Lo fa unendo le fila di molte esperienze e studi in tal senso che già da un pò alimentano le sue riflessioni sull’argomento e che lo hanno portato oggi a imbattersi, diremmo certamente non per caso, in un lavoro scientifico molto interessante sul tema realizzato da quattro studiose dell’Università tedesca di Francoforte che si intitola: “The app as the boss?” .
Le ricercatrici sono Mirela Ivanova, Joanna Bronowicka, Eva Kocher e  Anne Degner e il lavoro scaricabile e consultabile online è stato pubblicato nel novembre dello scorso anno. La migliore sintesi del lavoro delle quattro studiose dell’Università di Francoforte è contenuto secondo Dal Pozzo in due brevi espressioni che pubblichiamo qui di seguito. Nel primo periodo è espressa l’estrema precarietà di questo mondo e la difficoltà assoluta che gli uomini trovano nel frequentarlo; nel secondo è spiegata in estrema sintesi ma con parole estremamente significativa come non spetti a noi il controllo sulle nostre stesse azioni se lavoriamo dentro a questo mondo. Non ci sono scenari apocalittici, non c’è nessun hal 9000 che prende il controllo ma la cosiddetta “società degli algoritmi” manca di trasparenza.

 

Yeah, I cannot do this anymore, I have to quit because they always assign me those shifts that I cannot work then. So anyways I get the “no shows” and after three “no shows” they will kick me out

The is not really transparent. We don’t really know how it works. We just have a board with our statistics and sometimes you go to the shifts and it’s going down and sometimes you don’t go and it’s going up

 

 

 

Ma lasciamo la parola a Marco Dal Pozzo e buona lettura!  

 

 

 

In queste risposte si ritrova la sintesi del Working Paper, “Foodora and Deliveroo: the App as a Boss?”; un lavoro fondamentale per l’analisi delle dinamiche dei lavori della gig economy che abbiamo preso a fare in questi spazi nei mesi scorsi anche grazie agli spunti dati da due interventi nello scorso Festival dell’Economia di Trento: Tecnologia e Futuro del Lavoro e Il Lavoro non è una tecnologia. Un’analisi che mette dentro un aspetto più generale, nel senso che non riguarda soltanto il mondo del lavoro in senso stretto, da diversi anni nostro “oggetto sociale”: la trasparenza degli e negli algoritmi.

 

L’obiettivo della ricerca  a nostro avviso è quello di affrontare la materia unendo le due discipline che finora l’hanno studiata dai loro rispettivi punti di vista: la disciplina delle scienze sociali e quella del diritto. I casi presi in esame sono quelli di Deliveroo e Foodora che utilizzano modelli di contratto diversi nei confronti dei propri lavoratori.

 

 

 

Cominciamo dunque ad analizzare da vicino il documento di studio: come datore di lavoro, Foodora è obbligato a garantire il salario minimo tedesco, ma i riders guadagnano in realtà 9 € all’ora – un po più del salario minimo (2018: 8,84 € / ora).

Mentre i riders devono portare le loro biciclette e il proprio telefono, l’azienda fornisce loro abiti da lavoro e borse per la consegna. I riders non sono autorizzati a rifiutare i turni. Se non ci si presenta a un turno, l’assenza è contrassegnata come uno “strike”. Dopo tre “strike” un lavoratore può essere licenziato. (ricordate la citazione all’inizio del pezzo?)

Al contrario, la maggior parte dei riders di Deliveroo a Berlino sono imprenditori autonomi. La società offriva contratti part-time in passato, ma li ha progressivamente eliminati. I riders sono pagati 5 € per consegna. Pagano anche un deposito per l’utilizzo delle attrezzature di lavoro e, inoltre, un piccolo canone mensile per l’utilizzo dell’app Rider. Possono rifiutare gli ordini all’inizio del processo di consegna e nei ristoranti. Sono liberi di smettere di lavorare per un periodo di tempo illimitato senza preavviso o conseguenze. Possono anche cancellare i turni che hanno prenotato, fare il log-in in ritardo e il log-off prima del termine dei turni. Il reddito mensile può variare notevolmente tra i riders di Deliveroo – quelli che sono in grado di identificare e prenotare i turni giusti possono arrivare a 20 € all’ora.

Lo studio indaga quello che c’è dietro la promessa di un lavoro flessibile fatta tanto da Foodora quanto da Deliveroo e se e quanto sia neutrale la piattaforma.

 

 

 

Ascoltando l’esperienza dei lavoratori che sono utenti regolari di queste tecnologie, gli studiosi hanno scoperto che queste piattaforme – a dispetto di quanto viene dichiarato nelle pagine per il recruitment del personale, esercitano invece delle forme di controllo.  

Iniziamo con il riportare la parte propedeutica.

La letteratura sulla gestione algoritmica nella gig economy identifica cinque funzioni di supporto tecnologico al controllo manageriale dei lavoratori (che comunque, dicono gli autori dello studio, non esauriscono tutte le caratteristiche della gestione algoritmica):

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Vorrei a questo proposito sottolineare come in “Armi di Distruzione Matematica” venga disegnato lo scenario della valutazione algoritmica delle performance. In effetti Cathy O’Neil affronta molto più in generale la questione della regolazione algoritmica del lavoro in un capitolo il cui titolo rende molto bene l’idea: “Quando l’ansia ti divora – Al lavoro”. Questa ricerca su Foodora e Deliveroo sembra un ottimo completamento di quel capitolo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riccardo Staglianò inizia  il suo saggio “Lavoretti” proprio citando l’esperienza di  Uber e in particolare raccontando la storia di Mary Joy, che accetta la corsa mentre sta per partorire

 

 

 

 

 

 

 

Il documento poi comincia ad entrare nei dettagli.

Il confronto tra Deliveroo e Foodora è di particolare interesse, dal momento che le due aziende utilizzano diversi modelli di contratto e di occupazione.

Le questioni fondamentali poste sono tre:

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli studiosi hanno cercato di rispondere a queste domande con un metodo di ricerca molto semplice:

 

 

 

 

 

 

 

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Lo studio condotto è durato più di un anno, da febbraio 2017 ad agosto 2018. Nel lavoro di indagine, citando:

 

 

 

 

 

 

 

Ecco i risultati empirici. Li richiamiamo con lo stesso schema del documento:

 

 

 

 

‘Ride with us’: Lavorare per Foodora e Deliveroo a Berlino

 

 

 

 

 

 

‘Sii il capo di te stesso’: il significato di autonomia nella gestione del lavoro app-based

 

 

 

La promessa di autonomia è un elemento cruciale di entrambi i modelli

 

 

 

 

 

 

 

Metodi di controllo dell’autonomia nella gestione del lavoro app-based

 

 

 

 

 

 

 

Abbiamo scoperto – dicono le quattro autrici del testo – che le piattaforme affrontano le sfide poste dall’autonomia dei riders utilizzando l’app in sostituzione del controllo manageriale di un supervisore umano.  Nelle sezioni seguenti, dimostreremo quattro caratteristiche dell’app, che corrispondono a quattro diversi modi di controllare l’autonomia in questo tipo di sistema di gestione.

 

 

 

Modalità di controllo #1: “Vai al punto di accesso più vicino”: controllo tramite notifiche automatiche

 

 

 

 

 

 

Modalità di controllo #2: ‘Guadagna bene’: controllo tramite incentivi monetari

 

 

 

 

 

 

Modalità di controllo #3: ‘Lavoro super flessibile’: controllo attraverso la competizione interna per il turno

 

 

 

 

 

 

Modalità di controllo #4: ‘L’app ti darà tutte le informazioni’: controllo attraverso l’asimmetria informativa

 

 

 

 

 

 

Dopo i risultati, gli studiosi aprono la discussione. Anche qui seguiamo lo schema del documento

 

 

 

Perché creare sfere di autonomia?

 

 

 

I risultati dimostrano che, sebbene Deliveroo e Foodora abbiano differenti rapporti contrattuali con i lavoratori, in entrambi i casi si promette autonomia ai lavoratori

 

 

 

 

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Sugli aspetti contrattuali/legali si veda anche l’intervento di Valerio De Stefano al Festival dell’economia di Trento del giugno 2018. De Stefano terminava così il suo intervento: “Possiamo identificare delle tutele e dei diritti e un tipo di statuto giuridico per la gig economy? No perché la gig economy è una parte del mercato del lavoro. Dobbiamo capire se le norme esistenti sono applicabili alla gig economy ed eventualmente adattarle, ma definire una posizione specifica per la gig economy significa creare confusione; in Italia ad esempio la parasubordinazione  ha lasciato fuori alcune categorie di lavoratori che avevano bisogno di tutele specifiche come subordinati”. De Stefano dice che non ha senso definire categorie specifiche. Si può dire che questo lavoro sia un ottimo strumento di supporto alle azioni che dovranno necessariamente essere intraprese

 

 

 

 

 

 

 

Quali sono i vantaggi che queste aziende sperano di avere promettendo/concedendo autonomia (nei modi che i risultati hanno mostrato) ai riders? Perché è così importante questa autonomia per il corretto funzionamento di questa particolare gestione del lavoro app-based? Riordinando per punti e citando ancora dal documento:

 

 

 

Dire che “la direzione cerca di sviluppare un sistema in cui le dinamiche delle condizioni di mercato siano integrate nella pianificazione del turno” significa dire che esiste un corto circuito tra lavoratore e mercato (cioè il lavoro è organizzato direttamente dalle esigenze di mercato, non da un manager) secondo una dinamica che è propria del responsabile di impresa

 

 

 

Ciò che colpisce nei rapporti di lavoro non è tanto la richiesta di tutele, quanto la richiesta di flessibilità (per altro soltanto promessa, ma – per quel che emerge da questo studio – non viene garantita)

 

 

 

Lo studio evidenzia il ruolo dell’app come “fornitore di autonomia” in due sensi.

 

 

 

Come viene realizzato il controllo?

 

 

 

 

 

 

Lavoro autonomo e realtà socio-legale

 

 

 

Il ruolo dell’app è duplice: garantisce alcune sfere di autonomia ai lavoratori e allo stesso tempo consente diverse tecniche di controllo gestionale. Quali sono le conseguenze legali di questa realtà “sociotecnica” svelata nella ricerca?

L’ampia gamma di condizioni contrattuali e fattuali dei riders, soggette per altro a continui cambiamenti, sembra impedire un’analisi legale generalizzata. Tuttavia, nei due casi studiati, si può dire che, se da un lato la classificazione come “dipendente” (nel caso di Foodora ) non rende necessarie particolari analisi giuridiche, dall’altro il modello di lavoro autonomo utilizzato da Deliveroo deve essere messo in discussione per quanto riguarda proprio la sua ammissibilità.

Alcune cause legali giunte in diversi tribunali europei hanno ottenuto risultati divergenti :

 

 

 

E’ opportuno citare un altro paio di casi: quello Italiano (che riguarda i riders di Foodora) e quello Olandese (per Deliveroo). Eccoli:

Italia: la sentenza della Corte d’appello di Torino stabilisce che per i cinque ex rider Foodora vada riconosciuta la parità economica rispetto ai lavoratori subordinati del settore della logistica, con tredicesima, ferie e malattie pagate

Olanda: I rider di Deliveroo sono lavoratori dipendenti, non autonomi. E devono essere pagati secondo quanto stabilito dal contratto collettivo di lavoro del settore. Lo ha deciso il tribunale di Amsterdam che ha accolto il ricorso di alcuni riders supportati dal sindacato Fnv

 

 

 

La questione legale è oggetto di continuo dibattito giuridico, non solo in Germania, ma anche a livello europeo e internazionale (per esempio Risak, 2017; a livello internazionale Heeks , 2017).  Un’importante linea di pensiero cerca di rileggere il concetto di “impiegato”.

Alcuni studiosi sostengono che la questione della distinzione tra dipendenti e liberi professionisti dovrebbe essere basata sul tema: i lavoratori hanno o meno l’opportunità di prendere le proprie decisioni di lavoro sotto la propria responsabilità e con i propri obiettivi e rischi di mercato? […] A prima vista si può pensare che il lavoro dei riders di Deliveroo non soddisfi i normali criteri di inquadramento dei lavoratori in una organizzazione perché non lavorano in un’unica e stessa posizione fisica; oltretutto è a loro carico almeno una parte delle attrezzature necessarie al lavoro (bici e smartphone). I riders di Deliveroo devono anche pagare una piccola tassa di licenza per l’utilizzo dell’app Rider. Definire l’app come un semplice servizio fornito dalla piattaforma lo rende coerente con le condizioni per il lavoro autonomo.

Tuttavia, l’uso (parziale) della propria attrezzatura non significa necessariamente che i riders non siano dipendenti, soprattutto se si considera il fatto che i riders ricevono dalla piattaforma abiti e borse da lavoro conformi alle norme aziendali (pagano solo un deposito per queste). Ci sono altri indicatori che suggeriscono un rapporto di lavoro dipendente tra i riders e Deliveroo: se Deliveroo nasconde ai riders il funzionamento del mercato di riferimento (come funzionano i sistemi decisionali automatizzati, quali sono le metriche, come si valutano i rischi), difficilmente quei riders possono essere considerati imprenditori e/o lavoratori autonomi.

 

 

 

Sull’autonomia De Stefano, diceva così a Trento parlando di flessibilità oraria. E’ un punto cruciale: in molti Paesi questa idea che se si può accedere alla piattaforma senza imposizioni e orari specifici determinerebbe lo status di  lavoratori autonomi. E’ un’idea radicata, ma non si ritrova nelle leggi: nel codice civile il fatto di dover essere sempre a disposizione del datore di lavoro, non è un elemento normativo; non è scritto nella legge, ma la giurisprudenza ha sempre interpretato le cose in questo modo. Questo è vero in Italia dove il lavoratore è dipendente solo quando è in ufficio in uno specifico orario: ad esempio dalle 9 alle 17

 

 

 

Il lavoro si conclude con queste considerazioni finali

 

 

 

In questo documento, ci siamo concentrati sulle caratteristiche della gestione app-based nel caso di Foodora e Deliveroo a Berlino. Abbiamo trovato prove che queste app incarnano contemporaneamente le sfere di controllo delegate ai riders e le strategie di controllo. Ci auguriamo che i risultati preliminari presentati in questo documento alimentino future ricerche e forniscano informazioni utili a legislatori, sindacati, aziende e lavoratori.

Alcune funzionalità del design app-based, come l’asimmetria delle informazioni, le valutazioni automatiche delle prestazioni e lo smistamento automatizzato sono sempre più presenti in altri luoghi di lavoro tecnologicamente mediati, anche se non utilizzano app mobili, ma per esempio soluzioni basate su desktop. In futuro, pertanto, prevediamo di confrontare le nostre scoperte con altri luoghi di lavoro, ad esempio piattaforme di crowdfunding o contact center multicanale.

Speriamo anche di essere in grado di esplorare in dettaglio se e in che modo le piattaforme di lavoro digitali coinvolgano la loro forza lavoro nella progettazione del processo di lavoro e dell’app. Il processo di collettivizzazione degli interessi dei riders che lavorano per le piattaforme è ancora agli inizi. Abbiamo raccolto prove che ci consentiranno di trarre conclusioni sulle conseguenze della gestione app-based per mobilitare l’azione collettiva.

 

 

 

A proposito del ruolo dei sindacati in Italia in materia di diritti per i riders si segnala l’attività del Riders Union di Bologna raccontata sulla loro pagina Facebook

 

 

 

Al momento i riders supportati dai sindacati concentrano le loro richieste su aspetti economici e legali piuttosto che su quelli tecnologici. Le nostre interviste rivelano anche che c’è una comunicazione limitata con i riders sulla loro esperienza nell’uso della tecnologia. Tuttavia, sembrerebbe utile considerare metodi innovativi per la co-progettazione di soluzioni tecnologiche che migliorino le condizioni di lavoro nelle piattaforme

 

 

 

Quello della progettazione collettiva non è un concetto nuovissimo: abbiamo in più occasioni affrontato l’argomento, tanto online quanto nei nostri appuntamenti digit, parlando di necessità di negoziazione dell’algoritmo inteso come spazio pubblico e di libertà, cioè di esercizio di democrazia e di co-progettazione come migliore pratica di gestione del bene comune cittadino 

 

 

 

Come dimostra lo studio di Glöss et al (2016), progettare un’app di gestione del lavoro significa anche progettare relazioni di lavoro

 

 

 

Le relazioni di lavoro sono, ovviamente, relazioni sociali ed è anche in questa ottica che le applicazioni dovrebbero essere progettate e realizzate; e anche qui non si scopre niente di nuovo. Possiamo comunque osservare come la disumanizzazione dei rapporti di lavoro mediati da app abbia aperto un nuovo scenario di analisi: ai primi due scenari, ormai consolidati (la rete diventa antidoto alla “liquefazione baumiana” dei rapporti, ma al tempo stesso agente polarizzante delle discussione e dei gruppi in cui le discussioni online hanno luogo) se ne sta aggiungendo un terzo, quello in cui c’è il totale annullamento del contatto umano

 

 

 

 

La programmazione e l’informatica dovrebbero quindi anche impegnarsi con la questione della progettazione per il lavoro – portando il lavoro più direttamente nelle nostre preoccupazioni nella interazione uomo-macchina.

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