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L’unico algoritmo buono è l’algoritmo morto

 

Lo sapete ci piace scherzare e quindi prendete il nostro titolo come una citazione, un estratto da uno dei nostri film preferiti trasformato ed adattato alle tematiche che proviamo ad affrontare in questo pezzo che vorremmo fosse solo il primo di una serie di articoli che riuniremo in un dossier al quale ci piacerebbe moltissimo partecipaste tutti e in cui proveremo ad esaminare una tematica piuttosto importante per la società odierna: gli algoritmi. Per farlo useremo in prima battuta lo “sbobinamento” realizzato da Marco Dal Pozzo, nostro sodale e studioso di tematiche digitali preziosissimo, ma soprattutto useremo le riflessioni utilissime emerse durante l’incontro al centro dello sbobinamento suddetto e avvenuto nel novembre scorso durante Glocal16 il festival sul giornalismo digitale iperlocale organizzato e realizzato da Varese News a cui siamo gemellati come digit e al quale collaboriamo come Lsdi. L’incontro in questione dedicato proprio al tema degli algoritmi è stato voluto da Marco Giovannelli e realizzato, orchestrato e condotto da Michele Mezza. Sul palco per illuminarci su questa delicata e complessa  tematica tre studiosi sopraffini, due filosofi e uno psico-sociologo : Giulio Giorello, Fabio Minazzi, e Derrick de Kerckhove.  La parola a Loro e poi a Voi e buona lettura.

Michele Mezza (MM): “Buona sera,  parleremo di algoritmi, del perchè oggi noi ci dobbiamo occupare di loro e del perchè soprattutto loro si stanno occupando di noi. “Il sistema non può sbagliare” è una citazione dal film Minority Report , fantascienza nel 2002, realismo spinto solo 15 anni dopo. Di questo vorremmo parlare,  di quotidianità e con la convinzione di riuscire anche a parlare di giornalismo, nient’altro che giornalismo. La prima notizia di stasera è che: dove ci sono gli algoritmi non ci sono i giornalisti ma dove ci sono i giornalisti gli algoritmi invece ci sono eccome. Questa è la fregatura, dobbiamo cercare di capire come chiudere questa tenaglia. Prendiamo ad esempio un’altra citazione per cercare di approfondire e capire il concetto su cui vogliamo riflettere. “Ogni bambino che nasce assomiglia più al suo tempo che a suo padre” dal Corano. Questo è un pò il concetto che abbiamo di fronte, noi oggi stiamo parlando di qualcosa che sta cambiando, qualcosa che sta mutando vorticosamente. “I tempi stanno cambiando” come diceva Bob Dylan. Ma come stanno cambiando? Allora sembrava certo che il cambiamento non potesse essere che foriero di miglioramenti, ma oggi il cambiamento è ancora sinonimo inesorabile di straordinaria innovazione univoca?”

 

 

Giulio Giorello(GG) : ” In qualche modo la risposta è già implicita nel tuo tono dubitativo. Innovazione Sì! Cambiamento Sì! Ma nessuno ha garanzia inesorabile che l’innovazione sia di per se buona. Anche perchè magari quello che è buono per me non è ugualmente buono anche per te e questa è una differenza a cui io tengo ancora molto. E’ importante a mio avviso che ci sia differenza fra quello che io giudico buono e quello che qualcun altro giudica buono.

 

 

MM : “Ecco Giorello ci ha subito regalato una delle idee forti della serata: lo specchio si è rotto i frammenti sono infiniti ognuno per se e Dio per tutti come si diceva una volta. Derrick De Kerckhove: la rete, qualcuno dice, è esattamente la risposta a questa frammentazione ognuno in rete è protagonista ognuno in rete è oggetto del protagonismo altrui?”

 

 

Derrick De Kerckhove(DK) :  La situazione attuale è molto simile anche se con basi diverse a quella del Rinascimento e in particolare del periodo delle guerre di religione. Vuol dire che quando cambia la base, internet è oggi questa base, quando cambia la base della comunicazione umana cambiano tutti i rapporti di forza e cambiano anche i modi di gestire il cambiamento e il potere in generale. Oggi siamo in una situazione in cui : the times they are changing so fast.  I tempi stanno cambiando troppo velocemente. Il problema è semplice: lo svuotamento di ciascuno di noi. Pensate alla tendenza oggi di portare la memoria a lungo termine sulla rete, sul cloud, su qualche hard disk.  Vuol dire che non è più dentro di noi, la memoria a lungo termine, la conoscienza umana è andata sulla rete, è in cloud non è più dentro di noi.

 

MM: “Dunque De Kerckhove ci da il secondo spunto fondamentale: la rete cambia geneticamente il nostro modo di essere umani. Chiedo dunque a Fabio Minazzi tutto questo ha un laboratorio ed ha avuto una lente di ingrandimento attraverso il mondo dell’informazione che ha subito negli ultimi 15 anni un processo di automatizzazione di attività discrezionali? La rete individualizza, la rete cambia il modo di essere, la rete cambia il modo di informare?”

 

 

Fabio Minazzi(FM): “Io sono del ’55, premettendo che tutti noi siamo figli degli oggetti che abbiamo imparato a maneggiare, manipolare; vedo una differenza tra le generazioni.  Le generazioni precedenti avevano degli oggetti meno sofisticati di quelli di adesso, ma avevano dentro un orizzonte di futuro e di speranza effettivo, concreto. Oggi i giovani hanno degli strumenti straordinari, – io il mio primo computer l’ho comprato nel 1982 – ma a differenza delle generazioni precedenti non hanno più futuro, non hanno questa speranza di un futuro positivo”

 

 

MM: “La limitatezza del futuro. Allora introduciamo il protagonista della serata: la parola algoritmo. Qualcosa che ci sta cambiando la vita radicalmente, questa sequenza numerica, Giorello, che cosa segna come salto radicale nel modo di pensare ordinario, che cosa ha rappresentato l’avvento di un meccanismo che determina una soluzione a partire da un comando automatico?”

 

 

GG: “L’algoritmo ha un carattere ben definito: dati alcuni elementi di partenza non si può non arrivare che ad una e  ad un’unica soluzione. Questo è il carattere stringente degli algoritmi. Il nome deriva da un grande matematico arabo del nono secolo. Consiglio di leggere un bel libro di Paolo Zellini docente di analisi numerica all’Università di Roma 2 in cui vengono presentati alcuni degli algoritmi che nel tempo hanno  fortemente condizionato molti aspetti della nostra vita sociale”.

 

 

MM: ” Questi è un passaggio fondamentale: L’algoritmo porta ad un’unica soluzione. Non c’è negoziato, non c’è contrattazione. Un solo risultato possibile. Chi applica l’algoritmo non ammette interferenze. Stiamo parlando di oggi, adesso, non è un film di fantascienza. Stiamo parlando di cose che si realizzano entro un range di 12/18, massimo 24 mesi. Tutte le cose di cui parliamo valgono ora. Sono modificabili (se comprese, discusse e affrontate, ci permettiamo di aggiungere noi) adesso, non domani ne tantomeno in un prossimo futuro.  E ci servono spiegazioni chiare, e non forniteci sicuramente dai tecnici informatici. Dobbiamo capire subito due passaggi fondamentali, il primo ce lo suggerisce Italo Calvino, non uno smanettone sesso, droga e rock&roll, ma un letterato, uno straordinario intellettuale che perceviva lo spirito del tempo,  nelle sue Lezioni Americane, (sei proposte per il prossimo millennio), la penultima diceva già allora:

Il software comanda sull’hardware.

E poi nel trattato sulla sparizione del lavoro  The Second Machine Age:

il software si sta mangiando il mondo.

Chiedo dunque a DK: il software come sequenza automatica di forme di pensiero oggi è al centro della scena? Ma è un software che ci porta ad un determinismo tecnologico o si apre un nuovo modo di stare al mondo? Addirittura negoziando il destino di un algoritmo? “

 

 

DK:  “E’ la continuazione della problematica dell’individuo verso il gruppo. Se l’individuo si vuota da dentro il gruppo si allarga. Il passaggio centrale del Rinascimento è il passaggio dalla comunità medievale all’individualità. Oggi succede la stessa cosa ma in senso contrario. E’ difficile da capire. I ragazzi mettono il loro interno sulla Rete per allargarsi su essa e quindi sta cambiando il modo di essere nel mondo. Il software e l’algoritmo stanno creando situazioni di controllo e c’è determinismo. In alcune città del mondo, specialmente in Asia, in questo momento, c’è un determinismo in corso, assolutamente.  Un determinismo che è pura funzione amministrativa senza alcuna etica”.

 

 

 

MM: “Il caso Trump, ovvero il tema: la verità al tempo dell’algoritmo – cioè la verità al tempo della Rete in cui milioni di individui mettono le mani sui contenuti –  mentre prima erano semplici lettori e sudditi di contenuti altrui. La post verità è un processo che in qualche modo fa pensare che siamo in una fase in cui il determinismo di una verità rilevata da qualcuno può essere contestato. La post verità è  un concetto dialettico?”

 

 

FM: “Parlando di algoritmi bisogna parlare anche della tendenza sotto cui l’algoritmo si sviluppa. Questa tendenza si chiama: “dominio del profitto”. Anni fa un pezzo in un giornale veniva confezionato dal Proto oggi fa tutto il giornalista. Nell’Universita, oggi, grazie all’informatica,  tutti i compiti amministrativi sono scaricati sul docente facendo sparire la figura della segretaria. Questo è un algoritmo che sta supplendo al lavoro di  un uomo e la segretaria ha poco da star contenta perché non sarà sostituita da una nuova segretaria ma andrà a scomparire dall’organigramma. Questo aspetto ha una radice profonda nella cultura. Ma quale è l’immagine della razionalità che l’Occidente ha avuto. Prendiamo un classico della filosofia il Tractatus di Wittgenstein. In esso il filosofo austriaco che immagine aveva della razionalità? La razionalità è qualcosa di calcolistico di analistico, solo questo? Questo forse è un problema”.

 

 

 

MM: Leibnitz  diceva: la musica è una pratica occulta dell’aritmetica dove l’anima non sa di calcolare. Istintivamente e geneticamente si recupera il concetto di FM. Si apre una porta: il calcolo come modo e pensiero per organizzare la vita,  tutta la vita, la vita di tutti.”

 

 

 

 

 

GG: ” Quella del calcolo è una grande sfida. Da una parte c’è la grande matematica che c’è stata regalata dagli dei agli uomini, per usare un’immagine di Simone Weil , e dall’altra parte c’è la pratica umana del calcolo. Noi spesso non sappiamo di calcolare ma calcoliamo e facciamo errori; ma questo è qualcosa di più di un’abitudine ma è un modo di atteggiarsi rispetto alla realtà.  Non è un’impostazione nuovissima, è antica,  ha radici in grandi civiltà del passato che sapevano ben maneggiare il calcolo numerico. Le citazioni al Rinascimento di DK sono fondamentali e mi permetto di approfondire il concetto di Rinascimento e Riforma. E’ il momento per rimettere in discussione  un ordine dato per definito. Un momento in cui vengono provocati sconvolgimenti, acquisizioni di coscienza a livello individuale, scontri politici, grandi guerre.  In tutto questo non possiamo negare che il modo in cui viene gestita l’informazione è centrale. I puritani inglesi con il cappello a larghe tese che combattevano nella guerra civile inglese a fianco del Parlamento nel moderno esercito di Oliver Cromwell, portavano nella fibbia del cappello tanti librettini che erano le informazioni che servivano loro in quel momento “.

 

 

 

MM: ” Il libro nel cappello. Vuoi vedere allora che quella dell’algoritmo non è un’innovazione discontinua, distorsiva, estranea, ma stiamo assistendo ad un ripristino,  ad un ritorno,  è solo un recupero di istinti e culture ibernate nella fase dell’industrializzazione fordista?

Un nuovo importante passaggio arriva da un testo di Pedro Domingos, sociologo dell’innovazione che ne L’algoritmo definitivo dice:

L’algoritmo è un artigiano che viene da molto lontano ed oggi sotto forma di machine learning è l’ultimo capitolo di una saga lunga milioni di anni.

Quindi riepilogando ci troviamo di fronte a tre passaggi: 

  1. l’algoritmo è un artigiano, cioè un principio motore di un’azione produttiva molto mirata, molto accurata, molto rifinita quasi un design del ragionamento.”

 

 

GG: ” Si tratta di una buona e interessante caraterizzazione del lavoro di chi usa un algoritmo. E come tali erano visti certi algoritmi di cui si occupava l’antichità quando si aveva a che fare con alcuni problemi definiti e si discuteva il modo in cui risolvere questi problemi. Platone da degli esempi interessanti nel Menone e in altri suoi testi.In questo senso quindi chi fa l’algoritmo, chi  lavora nell’algoritmo, lavora di alto artigianato, compie un lavoro di alto artigianato e il fatto che sia alto è importante “.

 

 

MM: ” 2) sotto forma di Machine Learning, cioè il sistema di autoapprendimento è oggi il sistema estremo e ultimo di un algoritmo che si sta accostanto all’uomo?”

 

 

DK: “Raymond Kurzweil e altri parlano oggi di singularity cioè il momento in cui la macchina supera l’uomo. E prende il potere. Come diceva McLuhan non siamo più noi che produciamo le macchine e le tecnologie. L’uomo e la donna sono gli organi sessuali delle macchine. L’idea è che l’uomo serva per continuare il progresso della macchina. Una teoria in corso a cui io non credo.  A quel punto a cosa servirà l’uomo? Quando tutto è organizzato in modo automatico.  I Governi a cosa serviranno? Tutto si potrà decidere e predire. Siamo già a questo. I big data. Se le decisioni vengono prese con un algoritmo a cosa servirà  un Governo fatto di persone. Si può immaginare un governo realizzato con un algoritmo “.

 

 

MM: ” 3) sentiamo accostando l’orecchio al mondo dell’informazione l’eco della saga lunga milioni di anni e il recupero di forme comunicative primitive che oggi ci ritornano in termini di community, di peer to peer, di citizen journalism? “

 

 

FM: ” La storia dell’algoritmo non è una storia lineare. Dobbiamo ricordarre per capire bene cosa è successo, la svolta che viene con la nascita della scienza moderna, con Galileo e Newton,  arriva proprio dall’uso delle matematiche per studiare il mondo e quindi l’algoritmo.  Quello che è successo nel ‘600 e che noi ci portiamo dentro. L’algoritmo si carica di una dimensione teologica. Pochi hanno la consapevolezza che quando si accende il computer e si entra, ci si collega in un mondo della trasparenza assoluta. La rete da questo punto di vista è onniscente, onnipotente e onnipresente. Perché i giovani sono così attirati? Perché il network dà risposte al nostro narcisismo ma nel contempo  il network ci ruba l’anima. Dovremmo riflettere su questa presenza divina della rete. Ma questo è dentro la storia del pensiero scientifico. D’altra parte Galileo diceva nella prima giornata del dialogo dei massimi sistemi: il sapere si può prendere in due modi: il sapere intensivo e il sapere estensivo.  In quantità (sapere estensivo), diceva Galileo, conosciamo molto meno di Dio; in qualità (sapere intensivo), grazie alla scienza, conosciamo come Dio. Questo è sbagliato. La Rete è sicuramente teologica.

 

 

MM: Pitagora di Samo comincia con la “calcolabilità del futuro”.  Galileo: “il libro della vita è scritto con il linguaggio della matematica”.  Questa è un’equazione che apre una strada terribile: (A+H)^2,  dice: l’incremento o la diminuzione del lato, provoca l’incremento o la diminuzione del quadrato. Significa che si determina quel sillogismo per cui con un calcolo si possono creare conseguenze infinite, l’algoritmo ha una finalità dunque deve essere efficiente dunque deve essere funzionale.  Questo è automatismo del pensiero.”

 

 

 

GG: ” E’ un bell’esempio di algoritmo assai funzionale; esso ha una motivazione religiosa. Questa formula è alla base del calcolo infinitesimale (A è la quota che aggiungo al lato H). Leibniz diceva: supponiamo che ci siano due persone che la pensano in modo diverso: si siedano e facciano i loro calcoli con i quali risolveranno le differenze del nostro pensiero… Sostituire la divergenza delle opinioni di partenza con  la convergenza nei risultati. E’ una grande idea di Leibniz. Ma ci sono dei problemi nel tradurre il pensare nel calcolare”.

 

 

ingresso nel mondo di internet – DORIANO SOLINAS

 

 

MM: “Stiamo parlando, con questa formula, dell’economia domestica cioè delle decisioni che prendiamo tutti i giorni non di fantascienza. Arriviamo al punto fondamentale. Perchè dunque se tutto è utile se tutto funziona, andiamo ugualmente a sbattere? Se il calcolo è il calcolo,  chi li sa fare li faccia e ci faccia sapere!  Non è così. C’è un piccolo particolare: ognuno di coloro che fa un calcolo lo fa per un fine. Si calcola per comandare.  Si calcola per controllare. Si calcola per guadagnare. Si calcola per prevaricare. Si calcola per prevalere sugli altri. L’algoritmo è uno strumento di dominio. E noi lo vediamo ogni giorno. Ci sono algoritmi elementari e algoritmi complessi, milioni di righe di calcoli. La cosiddetta anima degli algoritmi sono i segmenti in cui si  determina il modo in cui l’algoritmo impone la sua volontà.

 

Questi gli elementi che caratterizzano l’algoritmo:

Ma è sempre chi sviluppa l’algoritmo a trasmettere la gerarchia di valori

L’algoritmo è scontro di volontà tra chi pone l’obiettivo e chi lo subisce? L’algoritmo è un terreno di conflitto e negoziabile almeno nelle sue parti sensibili?”

 

GG: ” Che sia un terreno di conflitto sicuramente. Che sia negoziabile è discutibile. Il grande tema di fondo è questo. Se non si fa la negoziazione degli algoritmi, non si può dire di essere in democrazia. Come ha detto anche la Merkel. Il timore è che esso funzioni come meccanismo di consolidamento di una forma di consenso diffusa e pesante”.

 

 

MM: “L’algoritmo è il messaggio?”

 

 

DK: “Si, ma il problema è quello politico sollevato dalla Merkel quando dice che l’algoritmo deve essere trasparente. La questione è che quella della trasparenza deve essere cosa reciproca: noi siamo trasparenti perché mettiamo i nostri dati in rete, ma anche l’algoritmo deve essere trasparente. La questione è politica nel senso che se l’algoritmo non diventa trasparente, allora bisogna agire secondo le leggi. Leggi che sono ancora  da fare, soprattutto se si pensa che la democrazia stessa non è trasparente, è l’opacità di ciascuno di noi che decide chi votare e chi non votare ad esercitare la funzione democratica. Opacità che grazie a Dio ancora esiste ad esempio qui in Italia. Dove ancora si agisce  sotto l’illusione che la nostra vita privata sia ancora privata. E’ la prima volta nella storia che l’uomo non è più ossessionato dal suo pensiero. Per non dire nulla della parola, e di quei fiumi di parole che circolano indifferentemente in rete. E questo è un problema. Allora se vogliamo essere trasparenti dobbiamo avere uno Stato legittimo con il quale siamo d’accordo per gestire questa fenomenale trasformazione che è in corso”.

 

 

MM: “Algoritmo come elemento sensibile e cangiante (cambiando le righe di codice, si cambia il meccanismo). Esiste una cassetta degli attrezzi che ci permetta di interferire con l’automatismo di questa formula?”

 

 

FM: “Esiste e risale ancora a Leibniz: parlando del calcolo sottolinea, in chiave antiempirista,  che non bisogna dimenticare nel calcolo la forza della forma. La razionalità non è pensata come un prodotto dell’esperienza,  dentro l’algoritmo ci sono delle teleologie che mettiamo noi e che non rendiamo trasparenti. Ad esempio sostenere che un problema amministrativo sia  solo tecnico. Queste teoleologie, questo telos (cioè un fine, uno scopo), non dipende dall’algoritmo ma dipende dalle scelte che sono occulte. Siamo in una situazione di assoluta trasparenza ed è una situazione teologica perché la rete sa tutto di noi. Ciò che perdiamo in questo è l’anima che è il prezzo che noi paghiamo. Come si recupera questa dimensione? La risposta è stata individuata già nel ‘700  da Kant (La pace perpetua): se gli chiedessimo cos’è la modernità, ci direbbe che la scommessa della modernità è di cercare di mettere insieme il patrimonio conoscitivo, cui non possiamo rinunciare – compreso l’algoritmo – , e l’incremento delle libertà dei diritti. Ci dimentichiamo che nell’esplosione della modernità la sfida è proprio questa:  l’incremento della libertà deve andare di pari passo con l’incremento della conoscienza.

 

 

MM: ” La libertà viene invece recintata dalla potenza della conoscenza. L’acquisizione del calcolo non come filosofia, ma come finalità dell’organizzazione materiale della società, come forza produttiva non come i dialoghi di Platone.
Siamo a metà degli anni ‘30 in Europa e comincia a costruirsi un reticolo di relazioni tra un popolo di matematici (scuola di via Panisperna), andati avanti nonostante la guerra (cfr. progetto Enigma ), rendendo il pensiero computazionale una pratica “occulta” e separata dalla società (Vannevar Bush, Claude Shannon, Alan Turing): il DoD (Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti) nel ‘45 poneva un problema: “come si batte l’Unione Sovietica?”. “Facendo correre le idee alla velocità delle gambe, meno fabbriche e più sapere, meno produzione materiale.” risponde Vannuvar Bush nel luglio del 1945. Questa è la matrice della rete.
Tutto questo avviene in modo separato dalla società. La democrazia non interviene, la cultura occidentale non ha percezione di questi fenomeni negli anni ‘30, ‘40, ‘50 e ’60.
Alla fine degli  anni ‘60, quando con Mc Luhan si cominciava a capire l’importanza della comunicazione e dei mass media, che percezione si aveva di questo processo di matematizzazione della vita sociale?”

 

 

DK: “Alla    scuola di Toronto  abbiamo continuato ad applicare la tematica della forma del medium che cambia socialmente e psicologicamente per capire cosa succede oggi. Si vedono oggi i modelli che si stanno sviluppando. Uno è  l’esempio di Singapore dove si è realizzata una democratura (cioè una dittatura accettata dalla gente) da parte del primo ministro; il figlio che gli è succeduto ha completato il lavoro avviato dal padre mediante un programma di Smart City – città intelligente realizzata studiando i big data – mettendo a punto a partire dal 2004 un sistema di sorveglianza della gente talmente sofisticato che copre anche tutti gli spazi privati, talmente sofisticato e aggressivo che anche dentro casa tua puoi essere multato per comportamenti non consoni alla legge. Questo sistema è accettato da tutti, salvo qualche eccezione da parte  qualche cittadino resistente. Puoi lasciare la tua borsa su una panchina del parco. Se il giorno dopo non la trovi più lì è sicuramente al commissariato, di sicuro nessuno te la porterà via. La gente si è organizzata con un etica completamente nuova. Il rischio è che anche qui da noi per problemi di sicurezza contro il cosiddetto terrorismo si sia costretti ad organizzarci in questo modo”.

 

 

MM: ” Il più famoso  Spot pubblicitario della storia dell’umanità di Ridley Scott che gira per il Mac, irrompe nel Superball il 27 Gennaio 1984. Il grande fratello allora era l’IBM e la giovane società libertaria che rompeva il grande fratello era la Apple.
Quella storia che inizia in quel momento è stata una storia di libertà oppure no? Sono passati 32 anni e possiamo dare una risposta.
Se dovessimo girare lo stesso spot, i personaggi come sarebbero? La separatezza della potenza di calcolo ha liberato più protagonismi individuali o ha creato più coercizioni potenziali?”

 

 

FM: “Il disastro nostro è la scissione tra conoscenza e libertà : l’esempio di Singapore è lampante. A Napoli quello che è successo a Singapore non riuscirebbe.  E questo è un elemento a nostro favore.  Siamo dentro a questo disastro. Una  disarticolazione della percezione e della conoscenza ridotta a cosa puramente pragmatica ha reso troppo mitica la libertà. Occorre rimettere insieme le due dimensioni proiettandole sul futuro. Un compito che spetta in modo particolare a chi riflette. Una sfida per la nostra cultura. L’università cos’è oggi da questo punto di vista? Lo dico con una  formula : 3+2=0”

 

 

MM: “Facendo una media ponderata dei concetti buttati sul tavolo: il calcolo può essere democratico, può essere trasparente?”
GG: Alla lista dei nomi citati da MM: Vannevar Bush, Claude Shannon, Alan Turing aggiungerei Von Neumann , grande rappresentante degli intellettuali ebraici di Budapest. Uomo dalla capacità straordinaria nel pensare le tematiche della società in termini matematici.  Lui poneva il problema della trasparenza del calcolo. Per Von Neumann la possibilità di cambiare paese e considerarsi cittadino del mondo e usare la matematica come strumento di comprensione è stato un esercizio di libertà profondo, indipendentemente da quelle che erano le sue convinzioni politiche.

 

 

DK: Possiamo ancora parlare di democrazia nel contesto attuale? Secondo me stiamo andando verso la datacrazia. La società occulta della matematica è occulta come lo è l’arte. La gente non si interessa alla democrazia come non si interessa all’arte,  perchè non le interessa,  non perchè ci siano cose nascoste.  L’orientamento dell’algoritmo va verso la datacrazia; non è più democrazia,  il potere alla gente.

 

 

 

MM: “Tutto questo discorso che è stato fatto deve avere per esistere  una base sociale e non può essere stata l’invenzione di qualcuno chiuso in una stanza. Ci deve essere stata da qualche parte una richiesta. Due citazioni:

 

 

Il quadro di  Hopper che riassume benissimo l’Umanità:

 

 

 

 

La seconda: We’ll Come from the shadow (da The Partisan di Leonard Cohen, del 1970 alla memoria di quattro studenti uccisi dalla polizia nella Kent State University – Ohio). Questa era la musica di quell’umanità: cittadina, individualista, competitiva e globale; tratta da un vecchio canto partigiano della Resistenza francese. L’ultimo verso ci dà la stura per cogliere il motivo e comprendere perchè la rete è quello che è: Noi usciremo dall’ombra.  Nel senso che l’umanità uscirà dall’ombra. Con una tutela o per affermare se stesso? Il tema finale è dunque:  questo meccanismo matematico è negoziabile come è stata la fabbrica nel ‘900?

Cioè l’algoritmo è uno spazio pubblico o no, a prescindere dalla proprietà? La scuola, la sanità e la televisione sono spazi pubblici anche se sono di proprietà di qualcuno: le scuole o gli ospedali privati devono dare determinati servizi previsti dalla legge secondo il codice dello Stato. La televisione anche se privata è spazio pubblico. L’algoritmo è dunque spazio pubblico in virtù di una sua trasparenza, modificabilità e negoziabilità?”

 

 

DK: ” Penso di si.  Il problema è che siamo nel mondo del data analytics per cui si investono tanti soldi dell’industria per avere accesso a dati e fare le previsioni. Il problema è che questi dati sono privati, non pubblici. Questi dati sono fuori dalla portata della gente. Io dico ai miei studenti: prendete adobe che è uno strumento di analisi dei dati gratuito, imparate a usarlo come si impara la musica e praticatelo così avrete un modo per prendere consapevolezza e  rispondere e difendervi da queste pratiche di controllo dei dati. Quindi la risposta alla tua domanda è: teoricamente si l’algoritmo è uno spazio pubblico,  ma nella pratica non lo è”.

 

 

FM: “Teoricamente sì ma praticamente no. Se qualcuno conosce cosa sono le scuole private italiane, la sanità privata, la tv, certamente no. Il problema è il controllo della forza della forma. Il problema non è l’algoritmo in sé, ma quello che noi vogliamo far fare all’algoritmo. Lo scopo dell’algoritmo lo decidiamo noi. La democrazia è spacciata se non c’è più il controllo sulle finalità. Se non c’è quel controllo la democrazia è liquidata. Non c’è un conflitto fra culture. Se riduciamo tutto ad un problema tecnico e non politico sbagliamo completamente e agiamo in modo anti-democratico. Se non restiamo attaccati con le mani anzi con le unghie ai nostri diritti e alla democrazia, questa datacrazia spazzerà via qualunque diritto in ogni società”.

 

 

MM: “Nelle redazioni, nelle smart city e negli ospedali che organizzano le cartelle elettroniche devono esserci filosofi per porre il problema dello spazio democratico che deve essere anche l’algoritmo?”

 

 

 

GG ” Occorre che ci sia un rappresentante popolare educato e che non sia totalmente assoggettato/dipendente a/dal mondo tecnologico (la Clinton era la tecnologa e ha perso contro Trump). Serve un pubblico educato, consapevole, conscio”.

 

DK: “E’ vero quello che dice Giorello ma è anche vero che la vittoria di Trump è anche il canto del cigno, il canto di morte definitivo della democrazia, dopo quello non c’è più nulla e non possiamo continuare”.

 

MM: “Alan Turing diceva: l’innovazione la troviamo lungo l’incerta linea che separa l’iniziativa dalla disubbidienza. Questo messaggio ci dice che la rete ha in se  un virus non facilmente omologabile. Rispetto a 30/40 anni fa due persone decidevano per tutto il mondo, oggi chi può fare questo? Quindi l’omologazione non è così facile, anzi è molto più difficile adesso. Oggi c’è una quota di protagonismo irriducibile da parte di ognuno di noi. La crisi dei giornali è un pezzo di questo mondo. Non è decadenza ma una domanda paritaria di partecipazione non una lettura passiva. Ci sono germi di una rinascita.  La potenza di un sapere prevede e richiede una cooperazione da parte di una potenza di ricerca. La domanda è: il sapere è incompatibile con gli spazi ristretti che potevano essere quelli di prima quando i matematici agivano fuori dalla società quasi da clandestini, e per testarsi deve uscire fuori dai confini cui è stato costretto?

Un esempio di questo ci arriva dal fallimento della spedizione  su Marte, la Schiapparelli, non è il computer che si è rotto e che ha fatto fallire la spedizione ma il software che la faceva funzionare che ha reso vana una spedizione da milioni di dollari e anni di ricerca e lavoro: non testato, non condiviso e non aperto. Meglio un software non condiso e non aperto o un programma testato da tutti in piena condivisione? Un software privato/riservato/esclusivo cioè non testato/non condiviso/non aperto è più vulnerabile oppure no? Se è più vulnerabile, l’efficienza torna a chiederci oggi, tramite l’open source, la trasparenza e la democrazia come risorsa tecnologica o no?”

 

 

GG: “Domanda difficile. Risponderei: dipende. Cioè dipende da noi, dalle scelte che facciamo nella scuola, sul lavoro e come persone di cultura. Bisogna lottare, ci vuole disobbedienza. Aveva ragione Turing”.

 

 

FM: “Sono perfettamente daccordo con Giorello. O lasciamo trasformare la scuola in mera istruzione o rivendichiamo la formazione educativa della scuola: nel senso di educazione al pensiero. Oggi si vuole semplicemente istruire e non educare a pensare. E per questo ci vuole una forma di resistenza civile. Ciò si realizza se si parte dalla coscienza morale del singolo”.

 

 

 

MM: “La connettività dell’intelligenza è la vera assicurazione sulla vita che abbiamo a questo punto?”

 

 

 

 

DK: “Siamo in una fase di metamorfosi e una tale fase non si fa se non vivendo incertezze e sperimentando senza ben capire le conseguenze di ciò che si fa. Di nuovo a livello globale abbiamo le guerre di religione. Bisogna superare l’ansia della trasformazione; non si può tornare indietro, non possiamo fermarla. Io sono stato molto favorevole da subito alla possibilità di liberare la gente, la possibilità di rispondere,  la conoscienza da acquisire facilmente grazie alla rete. Ora però guardiamo le cose in faccia e vediamo cosa sta davvero succedendo.  La lentezza nell’accogliere la cultura digitale che c’è in Italia può essere un buon antidoto contro la velocità a tutti i costi che è il paradigma che stiamo vivendo nel mondo. Preserviamo la nostra memoria non affidiamo tutto alla rete, tutto al cloud. Pensiamo a quello che è già successo a Pechino, a Kuala Lumpur a Singapore.”

 

 

MM: “Chiudiamo con un verso del Talmud che dice: ma se io sono solo per me chi sono mai io? Ma se non sono io per me chi lo è mai?

 

Il video integrale dell’evento:

 

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